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Dighe italiane in Montenegro: addio all’ultimo paradiso?

di Giorgio Cattaneo - 26/01/2011


Non sbarrate quel fiume: sarebbe una catastrofe per una delle aree naturali più integre d’Europa. L’allarme è partito dal Wwf, che ha denunciato il piano idroelettrico italiano per lo sfruttamento del fiume Morača, inMontenegro, alle spalle della capitale Podgorica: sotto accusa il progetto originario, costituito da quattro giganteschi sbarramenti. «Se fosse attuato, decreterebbe la fine di un autentico santuario della natura, con effetti devastanti anche sull’ecosistema del lago di Scutari, al confine con l’Albania, di cui il fiume è tributario». Niente paura: «Modificheremo il progetto», promettono i costruttori italiani. Ma l’opposizione montenegrina non si fida. E teme che tutti i vantaggi energetici vadano all’Italia, magari dopo aver devastato la valle più verde del paese balcanico.

Dopo la prima denuncia del Wwf risalente allo scorso ottobre, rimbalzata anche su alcuni quotidiani, del caso si è parlato pochissimo. Lo ha 113770risollevato un’inchiesta di “Rai News 24”, che ha sentito le parti: i progettisti italiani «al lavoro per una soluzione meno impattante», il governo di Podgorica sostanzialmente «fiducioso» e, sul fronte opposto, l’agguerrita schiera di oppositori e ambientalisti. Esplicite le accuse: non c’è nessuna garanzia che nella valle della Morača non venga condotto uno scempio, mentre non è chiaro quale reale vantaggio ne avrebbe il Montenegro. Secondo i detrattori montenegrini del progetto, l’offerta italiana per le dighe era la meno allettante: si lascia quindi intendere che il presidente Milo Dukanovic possa esser stato “ammorbidito” – con misteriose contropartite – per avallare un progetto pericoloso e di stampo neo-coloniale.

In base al progetto originario, quattro mastodontiche dighe dovrebbero alimentare una centrale idroelettrica della potenza di 600/700 GWh l’anno che, oltre a coprire il fabbisogno nazionale montenegrino, dovrebbe esportare energia in Italia attraverso un elettrodotto sottomarino in Adriatico, per la cui realizzazione esiste già un accordo tra i due governi. La Società elettrica montenegrina (Epcg), che gestisce il progetto della nuova centrale, è posseduta per il 43% dalla nostra A2A e l’amministratore delegato della Epcg è un italiano, come ricorda  il “Corriere della Sera”. L’Italia, per una scelta adottata già ai tempi del ministro Scajola, che avevaint_023558guidato una folta delegazione italiana a Podgorica, attraverso un gettito di circa 4,5 miliardi di euro è diventato il maggior investitore estero in Montenegro.

«Questo denaro non scorre per beneficenza – scrive il “Corriere” – ma per permettere all’Italia, che arranca rispetto agli obblighi Ue in tema energetico (arrivare al 20% di rinnovabile entro il 2020), di compensare il suo deficit importando elettricità di Paesi terzi». Visto che ora i nodi vengono al pettine, con l’avvio della gara d’appalto dei lavori, uno studio ambientale del Wwf avverte che bisogna prestare grande attenzione a come verranno sciolti: si deve prima di tutto accantonare la soluzione delle quattro dighe che risale a 25 anni fa. L’ecosistema della Morača, esteso fino al lago di Scutari, ospita 1900 specie vegetali e 400 tra mammiferi, pesci, uccelli, rettili e anfibi. Gli impianti idroelettrici minaccerebbero flora e fauna, ma anche clima, agricoltura, pesca e turismo.

Un patrimonio immenso, che rischia di subire uno squilibrio irreversibile se venissero costruite le famose quattro maxi-dighe, progettate – secondo il Wwf – in assenza di una seria valutazione ambientale e in violazione di quanto la Ue prevede in tema di trasparenza e sostenibilità. Tre le direttive europee violate, quelle sull’habitat, sugli uccelli e sulle acque. Ma il Montenegro non fa parte della Ue e, per entrarci potrebbe essere tentato di fare uno strappo a regole che non è ancora tenuto a rispettare. «E’ per queste ragioni – spiegava già l’autunno scorso Andrea Agapito, responsabile del Programma Acque di Wwf Italia – che chiediamo al gruppo A2A, che già possiede il 43% della società elettrica montenegrina, di non partecipare alla gara d’appalto, qualora questa venisse indetta alla luce di criteri contrari alle norme dell’Unione europea e in violazione degli interessi nazionali del Moraca 12Montenegro, seguendo l’esempio di altri investitori internazionali che si sono dichiarati indisponibili a lavorare in assenza di chiare regole di trasparenza e sostenibilità ambientale».

L’appello del Wwf non è caduto nel vuoto. Già alla fine dello scorso ottobre era intervenuto sul tema l’amministratore delegato (italiano) che guida la società elettrica montenegrina, Enrico Malerba: «Epcg e A2A si sono fatti promotori perché avvenga una modifica sostanziale del progetto iniziale, che risale a 25 anni fa, in modo che, utilizzando le nuove tecnologie attualmente disponibili, la soluzione minimizzi da un lato gli impatti ambientali e dall’altro dia le massima garanzie di sicurezza e di efficienza economiche». Tutto questo, secondo Malerba, all’interno delle impostazione europea alla quale il Montenegro si sta velocemente adeguando. Va aggiunto che il settore energetico per il Montenegrorappresenta un’opportunità strategica.

Ora che A2A è al lavoro per il piano-B che minimizzi l’impatto, gli oppositori non sono tranquilli: accusano il governo del Montenegro di aver fatto uno “strano favore” all’Italia, massima beneficiaria dell’operazione. E così, in questi giorni si rilancia l’allarme ambientale che minaccerebbe il paradiso naturale della Morača: sconosciuto ai più, nonostante si trovi di fronte alle coste italiane, potrebbe subire lo stesso destino riservato ai baciniint_01820dell’Amazzonia o del Congo, dove lo sfruttamento delle risorse idriche per la produzione di energia non tiene conto del grande patrimonio di biodiversità e dei servizi economici ad esso legati.

Secondo gli ambientalisti del Montenegro, radunati attorno all’associazione Green Home, sono a rischio di sparizione specie ittiche molto rare e all’orizzonte si profila una riduzione dei proventi dal settore della pesca del 30%, con una perdita di reddito pari a 1,5 miliardi di euro l’anno. Il grande lago di Scutari, di cui il fiume Morača è il principale affluente al termine dei 113 chilometri del suo corso, è protetto dalla Convenzione di Ramsar ed è al113850centro di una zona umida di straordinario pregio naturalistico, a cominciare dalla spettacolare gola di Plaije, paradiso dei rafter di mezzo mondo.

Rischiano inoltre di essere definitivamente compromessi siti di importanza comunitaria come il Mala Rjeka e Mrvtca (siti già entrati nella rete Smeraldo, programma per i Paesi europei che non sono membri Ue per la tutela di aree strategiche per la conservazione della natura), l’ecosistema ittico da cui dipendono intere comunità, patrimoni storici e artistici come il Monastero Morača, che lambito dalle rive subirebbe le inevitabili conseguenze dell’umidità.

Occhi puntati, dunque, sull’italiana A2A, multi-utility dell’energia nata nel 2008 dall’unione di Aem Milano, Asm Brescia e Amsa con l’apporto di Ecodeco. Una società di rilievo ormai europeo, leader in Italia nel settore ambientale grazie agli oltre 3 milioni di tonnellate di rifiuti trattati. A2A è al primo posto tra le ex municipalizzate italiane per clienti e fatturato, è leader nazionale del teleriscaldamento, è al secondo posto in Italia per capacità 113852elettrica installata e volumi di vendita ed è il terzo venditore italiano di gas. L’operazione idroelettrica inMontenegro rappresenta un impegno rilevante, fatto di alta tecnologia.

Fiore all’occhiello del “made in Italy”, le più avanzate competenze costruttive della A2A non bastano, tuttavia, a rassicurare gli ambientalisti montenegrini, almeno per ora. «Un anno fa – afferma il Wwf – la norvegese Statkraft ha rinunciato a lavorare in Montenegro proprio perché applica procedure molto stringenti per lo sviluppo dell’idroelettrico in tutto il mondo». Secondo l’azienda norvegese, reduce dalla realizzazione di impianti in Albania, «in Montenegro il quadro è incerto e non vi è garanzia che il progetto-dighesia fondato su principi solidi di sostenibilità ambientale e inteso a minimizzare l’impatto sociale».