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Negare l’Olocausto sarà un reato penale

di Massimo Morici - 26/01/2011



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Giovedì si celebra la Giornata della memoria per commemorare le vittime della Shoah. E il Guardasigilli Alfano ieri, durante un incontro, ha annunciato “la costituzione immediata di un gruppo tecnico di lavoro per valutare la scrittura di una norma che affermi il reato di negazionismo”, rilanciando di fatto una proposta sollecitata mesi fa dal presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici.

Un tema delicato: da una parte, infatti, chi nega lo sterminio messo in atto dai nazisti e dai fascisti (o ne limita le dimensioni) non solo offende la memoria e la sensibilità dei sopravvissuti ai campi di concentramento e dei loro familiari, ma ripugna a tutti coloro che difendono i valori di una democrazia; dall’altra, però, come hanno sottolineato alcuni esperti, introdurre un reato del genere potrebbe porre dei limiti alla libertà di espressione, con possibili ostacoli costituzionali (art.21).

Un dibattito non certo recente, quello sul negazionismo, e che ha diviso in questi anni l’opinione pubblica in Italia. In Europa alcuni paesi hanno già una legge in materia: in Francia, Austria, Germania e Belgio chi nega la Shoah finisce in gattabuia. In Italia, invece, è possibile negarla, persino all’università. Lo ha fatto il professor Claudio Moffa dell’Univeristà di Teramo: a ottobre ha tenuto una lezione per dimostrare che in nessun documento Hitler ha ordinato lo sterminio di massa di ebrei, zingari, omosessuali e disabili. Il caso, neanche a dirlo, è balzato sulle prime pagine dei quotidiani, ma dopo una settimana di polemiche tutto si è risolto in una bolla di sapone.

Ora, sollecitata dalla comunità ebraica, scende in campo anche la giurisprudenza. Ma la domanda resta: può il diritto penale combattere il negazionismo senza violare la Costituzione? Può, insomma, la legge contrastare un’opinione? Secondo il ministro Alfano è possibile, perché il negazionismo non è appunto un’opinione, ma “il risultato di una operazione che si colloca all’opposto dei valori delle nostre democrazie”.

”Negare la verità significa uccidere una seconda volta le vittime”, ha spiegato il Guardasigilli, rimandando a una tesi cara alla giurisprudenza tedesca secondo cui il negazionismo non è un problema in se stesso, ma lo diventa per ”l’offesa inaccettabile che si reca ai sopravvissuti e ai loro discendenti”. Secondo Alfano, insomma, chi nega la Shoah, anche con una parvenza di scientificità e di rigore nel metodo, come accade durante una lezione universitaria (vedi caso Moffa), sarebbe allo stesso livello di chi usa in pubblico slogan neonazisti o istiga alla discriminazione razziale, questi ultimi due in Italia reati (legge Mancino).

Eppure c’è chi pone alcuni dubbi a proposito: non è forse il dibattito nei giornali, negli atenei e nei convegni il luogo più opportuno dove mostrare la falsità di un’opinione, come quella di chi nega la realtà dello sterminio degli ebrei? Lo ha ricordato su La Stampa Sergio Minerbi, docente di relazioni internazionali all’università di Haifa ed ex ambasciatore israeliano a Bruxelles: ”Dubito che la definizione di reato sia la migliore per combattere il fenomeno: lo affiderebbe alla giustizia finendo per eliminare la discussione”. Senza contare che una legge del genere offrirebbe anche un pretesto per i negazionisti: li farebbe passare per vittime a cui è stata tolta la libertà di espressione. Tuttavia non vietiamo già in Italia agli ultras neonazisti di esporre la svastica nelle curve degli stadi, limitando di fatto la loro “libertà” di offendere chi di quel regime è stato vittima?