Le «pari opportunità» tra uomini e donne sono ad una svolta. Dopo più di 30 anni, si teme che siano state usate per garantire opportunità simili a chi, nei due gruppi, raggiungeva per meriti diversi posizioni di vertice abbandonando ai propri problemi chi non ce la faceva. Donne, soprattutto giovani cresciute in famiglie disfunzionali, e uomini espulsi da famiglia e casa per un divorzio chiesto dalla moglie, sono oggi pari nel dipendere dalle mense per poveri e dai dormitori pubblici.
L’aver aggiunto «nuove povertà» maschili alle tradizionali difficoltà femminili non aiuta le donne, ed aggrava invece le difficoltà di entrambi i sessi, precipitandoli in un arcaico «vinca il più forte» (che compare, infatti, spesso e senza pudore, nelle polemiche mediatiche).
Il nodo vero, profondo, delle dispari opportunità ancora vigenti è la famiglia, e la diversa posizione di uomo e donna nei confronti della prole, e quindi nel mondo del lavoro. Una situazione di pari opportunità reale, e non di facciata, nasce non da burocrazie e propaganda, ma dal sentire profondamente che al di là dei rispettivi e diversi ruoli biologici, i due, uomo e donna, padre e madre, hanno nei confronti dei figli uguali responsabilità e doveri. Il decidere come modularli durante la loro crescita è forse il principale banco di prova della forza e unità della coppia, e non compito dello Stato che deve solo riconoscere, non per convenienza politica, ma perché ne è convinto, l’uguaglianza tra i due. E fornire i mezzi e le condizioni perché essa sia reale.
Un nuovo piano del governo inglese guidato da David Cameron va in questa direzione, attentamente messa a punto nei due anni in cui il premier inglese si preparava alle elezioni. Il piano prevede che sia unicamente la coppia, e non le rispettive situazioni ed opportunità di lavoro, a decidere chi dei due starà a casa per i primi dieci mesi dopo la nascita del bambino.
I mariti potranno dunque essere a fianco della moglie nel primo periodo dopo il parto, e dopo, d’accordo con la madre che riprende il lavoro, rimanere a casa per quaranta settimane. Nelle prime sei settimane la retribuzione sarà pari al novanta per cento di quella precedente.
Un piano di aiuti, anche se massiccio come questo, non significa granché se non è inserito in una cultura e una visione del mondo e dei due generi, femminile e maschile, che lo sorregga.
In Italia gli assegni parentali per gli uomini esistono (7 mesi), ma sono ben poco utilizzati anche perché previsti come alternati a quelli per le madri, viste come le vere titolari della cura e crescita del bambino.
Si sta diffondendo però un modo di sentire diverso. Come dimostra l’osservazione del mondo dei padri separati, dove in gran parte dei casi la mancanza dei figli è il fatto di più destabilizzante sofferenza rispetto alla perdita della moglie e della casa, gli uomini del nuovo millennio hanno una relazione coi figli molto diversa dai loro padri e dei loro nonni. Tra figli e carriera sono spesso più interessati ai figli; e considerano la carriera il faticoso pedaggio da pagare per poterli crescere dignitosamente.
Intanto, sempre più spesso le donne, specie nelle zone in cui le opportunità di lavoro sono maggiori, sono soprattutto interessate alla carriera professionale, un mondo relativamente nuovo per il genere femminile. Senza nulla togliere al loro amore per i figli, in cui non pensano, tuttavia, di investire la loro vita.
È ora di smettere i manifesti ugualitari che però lasciano le donne a casa e gli uomini in azienda. Meglio aiutare ognuno a stare dove vuole, e vedere che succede.