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Non si arrestino i pensieri

di Marcello Veneziani - 26/01/2011


Le opinioni che negano la realtà stori­ca sono svariate, a volte avariate e diver­samente spregevoli; ma le opinioni non si puniscono col carcere. Primo, perché le parole si condannano con le parole, gli atti con gli atti. Secondo, perché pe­nalizzare le opinioni significa intimidi­re la ricerca storica che per sua natura è portata alla revisione dei fatti e dei giudi­zi. Terzo, perché creerebbe intorno agli ebrei un cordone sanitario di intoccabi­li­tà che è pericoloso perché rischia di ca­povolgersi nel suo rovescio. L’alone di immunità potrebbe scatenare desideri di infrangere il tabù, di violare l’inviola­bile e creare fanatismi di ritorno e anti­patie. Quarto, perché crea il principio dell’ereditarietà delle colpe e delle tra­gedie, con dolorose contabilità, e il rea­to di complicità ideologica, due mostri giuridici dagli effetti devastanti ed esten­sibili. Quinto, perché sarebbe ingiusto punire chi nega la Shoah e non punire chi nega altri massacri, precedenti o più recenti, di armeni e di kulaki, di russi e di cinesi, di vandeani e di indios, di giap­ponesi e di istriani, di colonizzati e di cri­stiani, e potrei a lungo continuare. Non propongo di punire anche gli altri nega­zionismi, per carità, perché se affidia­mo pure il giudizio storico ai tribunali e se mettiamo storici e docenti sotto tu­tela del magistrato, oltre a uccidere la ricerca storica, avveleniamo la vita ci­vile e scolastica. E devitalizziamo la giusta indignazione, l’impulso a repli­care con argomenti di verità alle men­zogne. Niente discussioni, basta la de­nuncia; al posto nostro ci pensa il giu­dice. Capisco le ragioni di questa pro­posta e perfino le convenienze, ma la­sci stare. La storia fa troppe vittime nel suo corso per farne ancora, a bab­bomorto, 66 anni dopo.