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Céline contro Céline

di Lorenzo Mondo - 30/01/2011

  

Maretta, negli ambienti culturali francesi, per la riproposizione del caso Céline a cinquant’anni dalla morte. Lo scrittore «maledetto» compariva nel calendario delle celebrazioni previste in Francia per il 2011, insieme ai titolari di altri eventi, come Luigi XIV e Pompidou, Marie Curie e Franz Liszt.

L’elenco era così variegato da risultare assolutamente neutro e da rendere inoffensiva l’inclusione di Céline. Ma le proteste del cacciatore di nazisti Serge Klarsfeld, in rappresentanza dell’«Associazione dei figli di deportati ebrei», ha indotto il ministro della Cultura Frédéric Mitterrand a cassare il suo nome, avviando al macero il volume già stampato per le commemorazioni. Quasi una damnatio memoriae inflitta all’autore del delirante pamphlet antisemita Bagatelle per un massacro, imputato tra l’altro di collaborazionismo con il governo Pétain. Si dà tuttavia il caso che egli sia considerato uno dei più importanti scrittori, non solo francesi, del secolo scorso.

Ferve dunque la polemica tra chi difende le ragioni di una memoria inespiabile e quelle, che sembrerebbero minime e oziose, della letteratura, da riservare a critici e filologi. In realtà, non è soltanto questione di bello scrivere. Nei suoi romanzi, a partire dal Viaggio al termine della notte, Céline ha denunciato con vertiginoso furore l’insensatezza della guerra, le brutture del colonialismo, l’appagato egoismo dei benpensanti (suscitando non a caso l’entusiasmo di un Bernanos). E nella trilogia dell’esilio a Sigmaringen, nel castello degli Hohenzollern dove si era rifugiato, ha rappresentato come nessun altro, con inarrivabile ironia, la miseria morale dei reduci di Vichy, presi nella tenaglia delle avanzanti truppe alleate, in un’aria di apocalittica resa dei conti. Dimentichiamo pure il fatto che non si sia macchiato di sangue e che abbia cercato un silenzioso riscatto prodigandosi dopo la guerra, come medico dei poveri, nel sobborgo di Meudon.

Atteniamoci soltanto ai suoi libri, ai due diversi Céline che in essi si manifestano e nei quali prevale di gran lunga il suo volto migliore. Non sarà l’esclusione dalla carta di futili annali, dettata da postumi rancori, ad attenuare la forza della sua scrittura e delle sue verità. Si è persa semplicemente l’occasione, penetrando nel torbido impasto del cuore umano, di contrapporre Céline a Céline, di concedergli uno scampolo di quella pietà che egli seppe esercitare sotto il velame della negazione e dell’ira.