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Céline: “Ho un solo scopo: essere sgradevole”

di Felice Piemontese - 30/01/2011

 

«Il mio unico e preciso obiettivo è quello di riuscire massimamente sgradevole… a tutti quelli a cui posso pensare… o che siano semplicemente sfiorati dal mio pensiero». Così scriveva Louis-Ferdinand Céline in una lettera del 1937, di poco successiva, cioè, a quello che è con ogni probabilità il suo capolavoro assoluto, Morte a credito . E, si potrebbe commentare, non si può dire che non ci sia riuscito, ad essere sgradevole, e si tratta evidentemente di un eufemismo.
La lettera, con un centinaio di altre, è una scelta di quelle indirizzate, in più di venticinque anni, a Marie Canavaggia, una donna per molti aspetti straordinaria, che andrebbe meglio conosciuta. Di origine corsa, figlia di un magistrato, è nota come la «segretaria» di Céline. Ma fu molto di più, sia per lui che in assoluto. Traduceva benissimo dall’inglese e dall’italiano (Moravia ad esempio), si occupava di editing , come si direbbe oggi, ed ebbe intensi rapporti letterari con un altro personaggio notevole, l'italo-francese Gian Dauli, scrittore apprezzatissimo negli Anni Trenta e oggi quasi dimenticato, tra i primi ammiratori di Céline, di cui fece tradurre quasi subito in italiano il Voyage au bout de la nuit .
Per quel che riguarda Céline, la Canavaggia si occupava di tutte le incombenze letterarie, oltremodo gravose dato il personaggio e il suo rapporto ossessivo con la scrittura: rileggeva i manoscritti, diceva la sua opinione sulle infinite modifiche a cui venivano sottoposti, li faceva dattilografare, teneva i rapporti con gli editori (sempre burrascosi). E quando le sciagurate posizioni antisemite di Céline lo costrinsero all'esilio e alla prigione - e ci fu il rischio tutt’altro che remoto di una condanna a morte - lo sostenne e non gli fece mai mancare la propria indefettibile solidarietà, aiutandolo a riemergere dall’abisso in cui era precipitato.
Le lettere ora pubblicate in italiano - un quinto circa dell'intero epistolario con la Canavaggia - consentono di seguire dal vivo, per così dire, le traversie dello scrittore, soprattutto nella fase, durissima, dell'esilio danese, dopo la folle cavalcata (con la moglie Lucette e il gatto Bébert) nella Germania in fiamme, distrutta dai bombardamenti e dall'avanzata delle truppe alleate. Vicende note, che del resto hanno fornito a Céline la materia per i grandi romanzi degli ultimi anni, ma che si ripercorrono con interesse particolare attraverso una scrittura che non aveva nessuna pretesa di letterarietà, ma che reca pur sempre tracce evidenti di quell’inventiva, di quella genialità, di quel gusto dell'iperbole e dell'eccesso che rendono unica, e immediatamente riconoscibile, la prosa céliniana.
Naturalmente la Canavaggia era anche romanticamente e pudicamente innamorata dello scrittore. Che la maltratta con affettuosa durezza per le «ridicole balordaggini» sentimentali alle quale talvolta si lascia andare. Troppo impegnato com’era a inveire contro il mondo, contro i «persecutori», a lamentarsi della salute malferma, a seguire con ansia la propria vicenda giudiziaria, e soprattutto a portare avanti la sua impresa letteraria («non è facile dissuadermi dal rivoluzionare la letteratura francese»).