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Il disprezzo per la donna è il segno distintivo della tarda modernità

di Francesco Lamendola - 07/02/2011




Il recentissimo “caso Ruby” ha messo in evidenza un aspetto essenziale di questa nostra tarda modernità: il profondo, rozzo, stupido disprezzo per la donna che, dalle sfere più alte delle classi dirigenti, si propaga, come fanno i cerchi prodotti dalla caduta di un sasso nell’acqua, a tutti gli ambiti della società.
Anche in questo caso, l’Italia rappresenta solo il caso emblematico di una situazione culturale largamente diffusa in tutto l’Occidente, anche se è innegabile che il nostro Paese, quel disprezzo, l’abbia teorizzato e gridato dai tetti giusto un secolo fa; e, dunque, non è un caso che proprio da noi quel fenomeno si manifesti con particolare virulenza.
Non aveva forse scritto testualmente, Filippo Tommaso Marinetti, al punto nove del suo roboante «Manifesto del Futurismo», che raggiunse notorietà internazionale con la pubblicazione sul parigino «Le Figaro», il 20 febbraio 1909: «Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore E IL DISPREZZO DELLA DONNA»? (Il maiuscolo è nostro.)
Ecco qui: «il disprezzo della donna»; e il disprezzo della donna è arrivato, fra l’altro camuffato da emancipazione e da “progresso”.
Non si tratta di fare del moralismo; poco ci importa delle abitudini sessuali private dei nostri uomini politici (anche se ci importano, e molto, quando si configurano come reati e quando forniscono un esempio deleterio di comportamento sociale), bensì di riconoscere la perfetta coerenza e la continuità del processo culturale che ci ha portati agli odierni fatti di cronaca.
La cosa più notevole, peraltro, non è che una intera categoria di maschi padroni si permetta di considerare la donna, o per dir meglio, il corpo della donna (e questa è la pornografia: la separazione della parte dal tutto) alla stregua di un giocattolo sessuale usa e getta; ma che le donne, ancora una volta, si siano dimostrate le più feroci nemiche del proprio sesso e della dignità che dovrebbe essergli da tutti riconosciuta.
Quando l’andazzo delle feste di Arcore ha gettato una luce fin troppo eloquente sulla natura dei rapporti esistenti fra il premier e il suo harem di ragazzotte, nonostante il grottesco tentativo di spacciarli come una forma di “beneficenza”, ci si sarebbe potuti aspettare che scattasse una profonda reazione di indignazione da parte di tutte le donne, di ogni età e condizione e, soprattutto, di ogni credo politico.
Così non è stato: non solo ci tocca sorbirci, nei telegiornali e sulla carta stampata, le penose esibizioni di queste giovani prostitute d’altro bordo, che parlano senza pudore del loro miserabile mestiere come se fosse la cosa più normale e, magari, più elegante di questo mondo; no: dobbiamo anche assistere allo spettacolo delle donne inferocite che si lanciano in una difesa all’ultimo sangue del premier, del suo stile di vita, del suo modo di rapportarsi con le ragazze in carriera, del suo diritto di fare ciò che vuole dentro i muri delle sue ville, compreso quello di premiare le sue amiche, chiamiamole così, con poltrone nella pubblica amministrazione e nella politica, pagate fior di quattrini dai contribuenti.
E vada per le parlamentari e per le donne che hanno qualcosa da difendere nel partito del presidente del Consiglio: perché esse non provino la benché minima indignazione, anzi, semmai la provino contro i pubblici ministeri che hanno osato inquisire il loro capo, lo si capisce fin troppo bene; ma le altre? Le donne qualsiasi, tanto le giovani e giovanissime, quanto le anziane?
Due interviste sono state particolarmente scioccanti, a nostro avviso, nei giorni più caldi del “Ruby gate”: quella a un gruppo di ragazzine che, imperterrite, erano andate ad ascoltare Lele Mora ad un pubblico incontro, per apprendere dal grande maestro i segreti per dare la scalata al successo; e quella di una vecchia signora fermata per la strada dai cronisti.
Le ragazzine, richieste se alle feste di Arcore, loro, ci sarebbero andate oppure no, hanno risposto in coro non solo che ci sarebbero andate, eccome, ma che si rammaricavano del fatto di non poter sfruttare una simile occasione, di non trovare il modo di essere invitate.
Che dire di questa mancanza di qualunque briciolo di dignità?
Eppure lo sapevamo: era da tempo, da anni, che le cronache ci informavano come sia ormai diffusa, fra le dodicenni e le tredicenni, la pratica di offrire la propria immagine senza veli su Internet, e magari non solo quella, in cambio di qualche euro o di qualche regaluccio da parte dei compagni di scuola; e questa, come la dobbiamo chiamare, se non prostituzione e smarrimento di ogni senso di pudore e dignità personale?
L’altra intervista era, a suo modo, ancora più impressionante. Si trattava del battibecco fra due donne non più giovani, davanti al microfono di un giornalista televisivo, l’una a favore l’altra contraria al presidente del Consiglio, per via delle sue feste a luci rose. La seconda cercava di ragionare; la prima, molto più anziana ed estremamente aggressiva, dopo aver puntato il dito contro la sua interlocutrice, fino a premerglielo contro il braccio, concludeva la sua tirata furibonda in difesa del proprio idolo con queste parole: «Ma certo che lo tornerò a votare; tornerò a votarlo cento volte!».
Un tempo non troppo lontano si diceva che la vecchiaia porta la saggezza; ma che dire di questa signora, e di tante, troppe altre come lei, le quali, dopo aver subito un quotidiano lavaggio del cervello da parte della tv spazzatura (e questo da molto prima che il Cavaliere entrasse in politica), si sono abituate a ragionare non con la loro testa, ma con quella di Vittorio Feltri, di Maurizio Belpietro e dell’ineffabile Emilio Fede?
Che dire di una signora di circa settant’anni, che, davanti allo sconcio spettacolo delle “feste”, chiamiamole così, di Arcore, non sa dire altro che non c’è assolutamente niente di male, che si tratta solo di fango creato dalle “toghe rosse” per screditare il premier e che lei, appunto, tornerebbe a dargli la sua fiducia, nell’urna elettorale, non una sola volta, ma cento?
Che non trova un pensiero, una parola di biasimo per quei comportamenti, al di là della loro stessa valenza penale; che si sente fiera ed orgogliosa di continuare a sostenere un simile uomo politico, che, guarda caso, è a capo del governo di un grande Paese (ancorché umiliato e smarrito) come il nostro?
Queste “pasionarie” berlusconiane rappresentano un nuovo tipo antropologico: la donna che disprezza la donna così profondamente, da non trovare nulla da ridire sul conto degli uomini che trattano le loro amanti come pezzi di carne giovane a pagamento, né sull’ipocrisia quasi inverosimile di chi traveste quel commercio carnale sotto le vesti di “aiuto”, “bontà”, “solidarietà”, nei confronti di “povere” fanciulle in ristrettezze economiche.
Tuttavia, come dicevamo, il male parte da lontano: parte della massificazione della società, dal capitalismo selvaggio che a tutto pone un prezzo di mercato, dal consumismo becero che riduce la donna a puro oggetto e le impone la maschera dell’eterna giovinezza, dell’eterna salute, dell’eterna appetibilità sensuale; e vi hanno contribuito la televisione, il cinema, la letteratura, la stampa periodica, persino il fumetto, i videogiochi e i cosiddetti “giochi di ruolo”, senza dimenticare i giochi più tradizionali, come la bambole.
Basti pensare alle Barbie che, dietro la loro apparente innocenza, veicolano un messaggio profondamente diseducativo: quello secondo cui la donna non deve cercare di divenire sempre più se stessa (come del resto dovrebbe fare anche l’uomo), ma deve sempre adeguarsi all’immaginario sessuale maschile, il più sciocco e superficiale, fino a ridursi come una bellona plastificata e come un’oca perpetuamente sorridente.
Non disprezza la donna soltanto chi, come Marinetti, dice apertamente di disprezzarla (o magari chi lo dice, ma non lo pensa, come Nietzsche), ma anche e soprattutto chi la vede solo in una luce pornografica, cioè come possibile spasso dei sensi; e chi, dando di essa un’immagine immiserita, parziale, volgare, le toglie ogni rispetto e ogni considerazione e la abbassa ad un ruolo di puro e semplice intrattenimento sessuale.
Mostra un sovrano disprezzo per la donna, ad esempio, l’uomo (e la donna) che non sa lodare in lei che la giovinezza e la bellezza provocante; chi non nutre alcun senso di ammirazione per la donna matura, alcun senso di rispetto per la donna ammalata, alcun senso di solidarietà e umana simpatia per la donna povera e sola.
In breve, mostrano un sommo disprezzo per la donna tutti coloro i quali non sanno porsi davanti a lei se non in termini di eccitazione sessuale, né sanno eccitarsi se non per le giovanissime con un fisico da supermodelle; tutti coloro i quali non sanno vedere nella donna anche una possibile amica, una possibile compagna e una possibile sorella: che non sanno provare per lei anche il rispetto dovuto ad una figlia, se molto giovane, o ad una madre, se anziana.
Faremmo fatica, sfogliando tutta la letteratura del Novecento, a trovare un vero senso di rispetto per la donna ed una ammirazione verso di essa, che non nasca solo e unicamente dal desiderio sessuale, ma che scaturisca dal riconoscimento delle sue qualità o potenzialità interiori, dalle sue doti di grazia, intelligenza, cultura, onestà e, soprattutto, bontà.
Vanno di moda le donne vampiro o le donne guerriere, le donne assassine o le donne in carriera; le donne che sono femminilmente amiche e compagne dell’uomo, invece, riscuotono scarse simpatie, sia da parte dei signori maschi, che da parte delle loro parenti, delle loro amiche, delle loro colleghe di lavoro. Pur di piacere all’uomo, ci sono tante, troppe donne che non esiterebbero a pugnalare alle spalle la loro sorella, la loro madre, la loro amica del cuore.
Naturalmente, le donne mature sono gettate nella pattumiera degli oggetti inservibili; oppure tentano disperatamente di scimmiottare le loro figlie e le loro nipotine, per non sentirsi del tutto disprezzate e messe in disparte.
Crudele è lo sguardo dell’uomo che osserva la donna matura, non più sessualmente appetibile; crudele e terribilmente volgare. E, nel delineare un atteggiamento ampiamente diffuso a livello sociale, la letteratura di genere, il tascabile che si legge in treno o in corriera, è un indizio ancora più significativo del romanzo o del racconto dello scrittore importante.
Prendiamo un poliziesco qualsiasi, per esempio «Il delitto non invecchia» del giallista statunitense Ross Macdonal (pseudonimo di Kenneth Millar, 1915-83), creatore del personaggio dell’investigatore Lew Archer e considerato uno dei più significativi autori del genere “hard boiled” (titolo originale: «The Chill», 1964; traduzione italiana nella collana “I rapidi” della Mondadori, 1967, p. 16); vi incontriamo questa fugace immagine:

«Lo trovarono: un uomo esile e vivace che portava una grossa macchina fotografica appesa al collo. Tra i costumi da bagno  e i colorati indumenti da spiaggia, il suo vestito scuro gli dava un’aria da impresario di pompe funebri. Stava scattando alcune fotografie molto spontanee di una donna sulla cinquantina dentro un bikini dal quale traboccava. Il suo ombelico guardava con aria truce l’obiettivo, come un’orbita senz’occhio.
Quando ebbe finito il suo orribile lavoro, il fotografo  si rivolse ad Alex con un sorriso. “Salve. Come sta vostra moglie?”.»

Come nel caso di quella vecchia signora intervistata dal giornalista televisivo a proposito del “Ruby gate”, questa comparsa nel corso di un romanzo di oltre trecento pagine, che occupa appena tre o quattro righe, è, a nostro avviso, più eloquente di un personaggio importante, di un protagonista che riempie interi capitoli di un libro: perché è nelle piccole cose e nelle situazioni fugaci che si rivela la verità delle cose, senza finzioni e senza orpelli.
Del resto, Manzoni (e, prima di lui, Dante ed Omero) ce lo hanno bene insegnato: non occorrono molte parole per creare un personaggio indimenticabile; Pia dei Tolomei occupa appena due terzine della «Commedia» e la madre di Cecilia, ne «I promessi sposi» , non più d’una paginetta: ma chi le ha più potute scordare, dopo averle incontrare nelle proprie letture?

Ebbene, il disprezzo per quella anonima signora cinquantenne in costume da bagno, che traspare dalla crudele e beffarda descrizione di Ross Macdonald, è pari soltanto  alla sua misoginia: in essa si concentrano tutta la stupidità e l’insensibilità maschile per la donna non più giovane e non più piacente, ossia non più appetibile come oggetto sessuale.
Quella carne che trabocca dal bikini è, da parte dello scrittore, un tocco di puro sadismo; la definizione di “orribile lavoro” per l’atto del fotografo da spiaggia che la sta ritraendo, è più brutale di uno schiaffo assestato in pieno viso.
E perché mai l’ombelico di quella donna viene paragonato ad un’orbita senz’occhio che fissa con aria truce l’obiettivo, se non per sfregio e per crudele derisione? Forse che avrebbe descritto così l’ombelico di una ragazza giovane e snella?
Che tristezza, gli uomini che sanno giudicare le donne solo dall’apparenza esteriore.
E che tristezza, le donne che non solidarizzano mai con le altre donne, ma sanno solo denigrarle e parteggiare per l’uomo, anche quando quest’ultimo assume il ruolo più turpe…