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Egitto: un esercito formato e armato dal Pentagono

di Manlio Dinucci - 07/02/2011




L’immagine dei carrarmati che presidiano i centri nevralgici del Cairo, circondati dalla marea di manifestanti, è emblematica. Sono M1A1 Abrams, i micidiali tank statunitensi di ultima generazione, che vengono fabbricati in Egitto in base a un accordo di coproduzione. Sono il simbolo di quanto gli Stati uniti si siano impegnati nella costruzione delle forze armate egiziane e di quale fiducia abbiano accordato al regime di Mubarak. In trent’anni Washington gli ha fornito aiuti militari per l’ammontare di circa 60 miliardi di dollari, secondo le cifre ufficiali, cui si sono aggiunti altri finanziamenti segreti.

Attualmente il regime di Mubarak riceve dagli Usa circa 2 miliardi di dollari annui, piazzandosi dopo Israele tra i principali beneficiari. La maggior parte di tale cifra viene spesa nell’acquisto di armi statunitensi. Poiché il loro valore supera la disponibilità finanziaria, il governo egiziano ha accumulato un debito verso gli Stati uniti. Washington è stata però generosa: nel 1990, per ricompensare l’Egitto per la partecipazione all’imminente guerra contro l’Iraq, gli ha condonato 7 miliardi di dollari di debito militare. Dieci anni dopo, gli ha concesso un credito straordinario di 3,2 miliardi di dollari per l’ammodernamento delle forze armate: esse hanno potuto così acquistare 24 cacciabombardieri F-16 di ultima generazione, 200 carrarmati pesanti, 3 batterie di missili Partriot ed altri avanzati sistemi d’arma. Il Pentagono ha fornito inoltre alle forze armate egiziane armi che ha in eccesso, o che vengono rimpiazzate da altre di nuova generazione, per un valore annuo di centinaia di milioni di dollari. Contemporaneamente ha addestrato ufficiali e soldati egiziani, soprattutto delle forze speciali, organizzando l’operazione «Bright Star», una grande esercitazione biennale che si svolge in Egitto con la partecipazione di circa 25mila militari Usa.
Significativamente, nei comandi geografici stabiliti dal Pentagono su scala globale, l’Egitto di Mubarak non rientra nel Comando Africa ma è stato scorporato dal continente per essere annesso al Comando Centrale (CentCom), la cui area di responsabilità comprende il Medio Oriente. L’Egitto, spiega il CentCom, «svolge un ruolo chiave nell’esercitare una influenza stabilizzante in Medio Oriente», in particolare nell’«affrontare la crescente instabilità a Gaza». Il CentCom continua quindi a operare in stretto contatto con le forze egiziane per «bloccare gli illeciti invii di armi agli estremisti a Gaza e per impedire che l’instabilità di Gaza si diffonda in Egitto e oltre». Il governo egiziano, infatti, deve «affrontare una minaccia estremista interna». L’aiuto estero Usa è quindi «fondamentale per rafforzare il governo egiziano».

In tale quadro, significativo è il tema dell’ultima esercitazione «Bright Star»: «Operazioni militari nel terreno urbano». Nell’esercitazione, condotta nell’ottobre 2009 sotto la direzione del Pentagono e con la partecipazione di forze speciali Usa, forze egiziane sono state addestrate a combattere una guerra non nel deserto ma all’interno di una grande metropoli. La «Bright Star» si è svolta nella «Mubarak Military City», il campo militare costruito appositamente per tale esercitazione, cui è stato dato ovviamente il nome del dittatore.

Tutto previsto, dunque, per affrontare la «minaccia estremista interna». Salvo il fatto che essa ha assunto le dimensioni di una insurrezione popolare. Salvo il fatto che non si sa come si comporteranno quei militari, in gran parte di leva, che a bordo dei carrarmati Usa made in Egypt dovrebbero assicurare che l’Egitto, una volta caduto Mubarak, resti nella sfera d’influenza statunitense.