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All'armi siam fumetti: l’arte che parla attraverso le nuvole

di Ivo Germano - 07/02/2011

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Chiariamoci subito: si farebbe una gran torto a considerarla un’antistoria. Sbagliatissimo derubricarla, poi, a controstoria della cultura del fumetto in Italia.
Magari potessimo iscriverci? A chi? A che cosa? Ad un nuovo rassemblement? Non proprio e non tanto. Alla nuova sintesi postmoderna delle categorie usuali e usurate del
costume politico?
Fuoco. Fuochissimo del fumetto. C’è tutto un mondo, una storia, un’analisi. Quello sì e una sanissima volontà di squadernare e rovesciare le trincee e gli steccati che, semmai siano esistiti, hanno otturato la strada vivace della forma la più alta e inarrivale della pop-culture: il fumetto.

Ma chi è quel Parsifal, da intendersi come “puro folle” che ci si è messo d’impegno per fare tutto ciò? Cognome, nome: Roberto Alfatti Appetiti, giornalista del Secolo d’Italia. Soprattutto scandagliatore della machinerie pop, grazie all’archivio-blog: l’eminente dignità del provvisorio: articoli, suggestioni culturali, pop e dintorni…
Alfatti Appetiti si occupa, ma non si preoccupa di culture popolari e d’immaginario sociale e, parafrasando un titolo di una sua rubrica settimanale, di “Appopriazioni (in)debite”.

Con l’animo dell’ebanista e non del killer, non svillaneggia “la parola avventura” onorando il sentimento artistico ed il lascito estetico di Hugo Pratt e di “Corto Maltese”. Tranquillamente sarebbe un perfetto Yanez de Gomeira e mi auguro che, prima o poi, un grande quotidiano possa affidargli una pagina o l’inserto sui fumetti. Se ne impippa dei segni sovraesposti delle bacheche mediatiche, adorando semmai la loro faccia sdrucita, un paio di scarpe sacramente out. Affiliato di un brillante circolo Pickwick di chi non ci crede fino in fondo, indossando, producendo e, soprattutto adorando. Un signore austero e sobrio, equilibrato e, perciò stesso, estremamente
chic che non se ne cala del ristretto, ristrettissimo e pseudodemocratico dell’addetto al lavoro. Alfatti Appetiti ricerca l’ordine calmo e pacato delle cose, non necessariamente allineabili e derubricabili alla voce “appeal” e “glam”.
Provocatoriamente un vero definitivo sacrilego della fuffa furiosa che rende evento ciò che non lo è, dell’obbligatorio vocabolario dell’arte e dello spettacolo, della trasgressione e del lusso, degli eccessi di stile e delle bulimie danarose, della sovradimensionata produzione coreografica, il più delle volte, autorappresentativa e globalmente autocelebrativa.
Adesso firma il volume “All’armi siam fumetti” (I libri de “Il Fondo”, euro 12,50) ordinabile su lafeltrinelli.it o direttamente presso le librerie Feltrinelli, dando le mosse ad una sarabanda vertiginosa, a botte di de-mitizzazione e di luoghi comuni da sfatare su giornali, giornaletti. In particolare sugli eroi di carta, come il John Doe disegnato da Massimo Carnevale inchiodato lì sulla copertina che fa tornare in mente un verso di Up Patriots to arms: “ alla riscossa stupidi che i fiumi sono in piena potete stare a galla…”.
Roberto Alfatti Appetiti si è dato una missione rilevantissima, oltrepassando la stasi critica e l’esclusiva un po’ gauchista degli studi sul fumetto. Una cernita di articoli dedicati al mondo vivido del fumetto, dal 2006 al 2010, pubblicati sul Secolo testimoniano come la filologia, impeccabile, si combini ad una pressante volontà empatica. Non simpatizza semplicemente, neppure antipattizza. Semmai è empatico, verso tutto quanto è letterariamente messo in forma segnica. Insomma avrete capito che c’è più dialettica politica in MisterNo che in millanta e uno avvizziti talk-show politici.
Con cura certosina il libro non eccede, mai e poi mai, a bailamme, ma interroga l’attualità di un tragitto di figure, eroi, personaggi, prima di tutto, vissuti e, tangenzialmente, consigliati. Parlandone con Sergio Bonelli o Gianfranco Manfredi. Accogliendo la prefazione di Roberto Recchioni, uno dei massimi sceneggiatori di comics Roberto Recchioni.
Il fumetto è postmoderno e libertario o non è. Il milieu culturale dell’intero libro suona più o meno così, di fatto, tracciando la discriminante fra le “coccole autoriali” e le “la nervosa oggettività”, intrigantissima, del fumetto, come pre-testo esplorativo di categorie e metafore. Anche, meglio, oltre le ipoteche di senso e l’antico vizio dell’egemonia che ricorda tanto una fumosa dottrina sugli zero pro e gli infiniti contro della cultura di massa. La verità vera è che Zagor contava più dei “Malavoglia”.
Semplicemente perché usciti da scuola, dopo noiossime esegesi la carta, la china, la copertina mappavano la scoperta di un mondo. Da integrare, affiancare, allargare sino allo sconfinamento di generi e punti di vista. Edgar Morin il sociologo ed epistemologo che studia la complessità illustrò un concetto che vale ancora, per interpretare il significato dei fumetti e, più in generale, della cultura di massa. Se ne vuoi studiare i fenomeni devi amarli, cioè ti devono piacere.
Ad una prima fase incrementale che si sviluppò fra gli anni Trenta e Quaranta caratterizzata da Topolino e l’Uomo Mascherato è seguita, almeno in Italia, il lungo dopoguerra del misconoscimento e della diminutio del fumetto, come depotenziamento dei sani valori di una volta. Di fumetti non si poteva, anzi, non di doveva parlare. Guardarli, poi, era tentazione moralmente disdicevole ed esercitazione piccolo borghese, antitetica ai doveri della rivoluzione.
Non a caso, il libro di Alfatti Appetiti sceglie quale grimaldello la letteratura nobilissima di Conrad, Ernst Jünger, Jack London, fondendola ad Arthur Fonzarelli e all’Uma Thurmann icona di Quentin Tarantino. Tutto si tiene nel fumetto. Più un fumetto “tiene” nel tempo, pare sottolineare Alfatti Appetiti, più l’immaginario scavalcherà ostacoli e ritrosie.
“All’armi siam fumetti” mette in risalto il “ruolo chiave” d’icone sopraffini. Una su tutte: Andy Capp, il personaggio di Reg Smythe celebre in Italia per la strip apparsa per decenni sulla Settimana Enigmistica col titolo “Le avventure di Carlo e Alice”. Berrettino perennemente calcato sugli occhi, sigaretta in bocca, è la rappresentazione una via irregolare (e libertaria) alla contestazione: “l’altro ’68, quello anglosassone: maestro di nessuno, è a mezza via tra Ernst Jünger e Antonio Pennacchi (che ha lui si è ispirato per il suo berretto), fra l’anarca e il fasciocomunista». Un po’ come Alan e il “gruppo Tnt” nell’Italia del compromesso storico. Era tempo che i fumetti confermassero quanto andava cantando Bob Dylan e cioè che “i tempi stanno cambiando”. Sono proprio cambiati. Se vostro figlio vi chiede un fumetto, comprateglielo.
E basta!

Ivo Stefano Germano (1966) è professore universitario ma soprattutto borghese di provincia all'Amicimiei, sociologo e giornalista. Ricordarne le molteplici pubblicazioni è opera complessa, diciamo che scientificamente si occupa di produzione culturale e strutture simboliche dell'immaginario contemporaneo. Incline a scrivere e interessarsi di cose inutili, curiosamente e felicemente borghesi.