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Governare la transizione

di Simone Olla - 07/02/2011



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A Roma, il 21 novembre 2010, è stato firmato un documento che getta le basi di un nuovo soggetto politico, Uniti e diversi.
All'esperienza torinese della Rete provinciale dei Movimenti e delle Liste di cittadinanza, legata – forse come reazione, nella sua accezione più vasta e (pro)positiva – ad un luogo e ad un tempo condiviso, si uniscono altri soggetti di pensiero e azione – Movimento per la Decrescita Felice (Maurizio Pallante), Movimento Alternativa (Giulietto Chiesa), Per il Bene Comune (Monia Benini) e Movimento Zero (Massimo Fini) – la cui geografia d'azione – come si legge nel documento politico – è sovraregionale. Questo indirizzo sovraregionale, non deve (?) annichilire le aspirazioni di sovranità popolare, le richiesta di sussidiarietà e la necessità quanto mai urgente di una dimensione locale da parte di quelle comunità che non si riconoscono più in una dimensione sovraregionale e che vedono nello Stato moderno un limite o un ostacolo. Si può quindi avere una approccio glocale per governare la transizione?

Al punto 8 del documento si legge: «Il nuovo soggetto politico, di cui c’è bisogno per sostenere a livello istituzionale proposte coerenti con un paradigma culturale che sostituisca il parametro quantitativo della crescita con parametri qualitativi finalizzati a superare la crisi economica creando occupazione in attività produttive in grado di attenuare la crisi ambientale, non può che collocarsi in uno spazio definito da coordinate diverse da quelle che definiscono lo spazio in cui da più di due secoli si svolge il confronto tra le opzioni politiche di destra e di sinistra.»
E ancora, al punto 9 del documento, si legge: «Il nuovo paradigma, i nuovi stili di vita, di produzione, di utilizzo-riutilizzo, di consumo devono diventare patrimonio di immense masse popolari. Ciò è non solo necessario perché la transizione verso una nuova società avvenga in modo pacifico, ma anche perché si realizzi un più alto livello di partecipazione e di democrazia. Noi viviamo però, da ormai due generazioni, in una società dove la democrazia è stata trasformata in un combattimento di tecnologie per manipolare la coscienza collettiva.»
Perché un nuovo paradigma culturale diventi patrimonio di immense masse popolari (sic!), ci sono – evidentemente – diverse strade; ma, prima di ipotizzare questo percorso metapolitico di azione sulle coscienze, risulta doveroso chiedersi quali e dove siano le immense masse popolari a cui ci si rivolge, e soprattutto con quali strumenti. Si crede davvero che sostituendo i messaggi dei media tradizionali si possa modificare un paradigma culturale? Ammesso e non concesso che questo possa accadere, rimane la sudditanza dal mezzo e la sospensione del dialogo democratico. La democrazia deve salire dal basso e non dev'essere calata dall'alto. Una rivoluzione nelle e delle coscienze è auspicabile, purché questo cortocircuito abbia un luogo in cui manifestarsi, un territorio nel quale la rete sia dialogo orizzontale e partecipato, una strada dove l'unico medium accettato sia l'uomo e la sua comunità di riferimento. E da qui, da questo spazio e da questo tempo in comunione, il cortocircuito democratico deve salire verso l'alto attraverso successive cessioni di sovranità: la sovranità si cede dal basso, non può in nessun modo essere ceduta dall'alto. La sussidiarietà di Althusius prevede che le decisioni politiche siano prese da coloro che ne subiranno le conseguenze più dirette: il potere che sale dal basso fino alla costruzione di diversi poteri politici sovraordinati rimane, ancora, un esempio fra i più lucidi.

Nel documento politico di Uniti e diversi, leggiamo ancora: «Un nuovo soggetto politico, quale noi intendiamo costruire, dovrà perciò porsi il compito cruciale di invertire il funzionamento della macchina dell'inganno e del frastuono, ovvero del rumore di fondo che obnubila e distrae. Tutto ciò per riportare l'uomo al centro di se stesso e della società, al posto di economia, tecnologia, virtuale,  e per recuperare il suo bene più prezioso: il tempo. […] Ecco, dunque, che occorre portare la battaglia sul campo della informazione comunicazione: dalla sua democratizzazione, al potenziamento dell'azione pubblica, come effetto della constatazione che le televisioni (e in generale i media di ogni tipo) hanno assunto un ruolo centrale e dominante nella formazione del tenore culturale e intellettuale di una intera nazione. Tra le misure indispensabili per accompagnare una transizione consapevole occorrerà ridurre drasticamente la massa dei messaggi pubblicitari.»

Internet, nonostante tutti i limiti del mezzo, è l'unico strumento in grado (ancora) di riportarci dentro uno spazio e un tempo condiviso, di riportarci ad un luogo, al confronto, al dialogo qui e ora, liberato dalla stato quotidiano di dipendenza dal virtuale: torniamo all'odore della parola, al suono del significante. È la geografia che dà confine all'oralità dell'uomo, al senso narrato, alla stratificazione di quel segno orale, al suo deposito dinamico che puntualmente, nello spazio e nel tempo, determina l'identico, l'altro da sé riconosciuto, le identità.
Il confine geografico è lì apposta per essere oltrepassato; il confine della parola è l'immaginazione.