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Le ultime 100 tribù “incontaminate”

di Mattia Bernardo Bagnoli - 07/02/2011


In Brasile indios che non hanno mai visto i bianchi: “Stiamo lontani, o moriranno”


Gli etnologi Survival International sta cercando gli aborigeni: le immagini hanno fatto scalpore in tutto il mondo I cercatori d’oro Battono la zona abitata dai «selvaggi»: c’è il rischio che portino epidemie devastanti nei villaggi indigeni
Neolitici Le tribù mai contattate dai bianchi sono cacciatori raccoglitori che vivono come i nostri antenati della preistoria L’impatto con la società moderna potrebbe essere devastante Già nel 1500 all’arrivo degli europei epidemie e guerre decimarono gli indigeni
Il nostro mondo è pieno come un uovo, Internet ormai raggiunge ogni dove, eppure allo scoccare del 2011 esistono ancora quasi cento popolazioni che non hanno mai visto l’uomo bianco, figuriamoci un computer o uno smartphone. E neppure una banca, una macchina, o il presidente Obama. O il concetto di Stato. Tribù, insomma, ferme a un periodo premoderno - quasi primitivo, in certi casi - grazie alla protezione offerta dalle foreste pluviali. Che però si fanno sempre più piccole a causa del disboscamento. Popolazioni che sono quindi in pericolo non tanto di restare per sempre isolate ma, al contrario, di venire a contatto con l’uomo contemporaneo: e venir dunque decimate dalle malattie, come capitò agli indios al tempo dei conquistadores.
Il caso dei popoli perduti è riemerso con forza dopo che sono state diffuse le immagini di una tribù scoperta dall’organizzazione Survival International ai confini tra il Brasile e il Perù. L’Ong ha adesso rivelato che un altro gruppo indigeno, sempre parte della popolazione degli Yanomami, vive indisturbato nella parte settentrionale dello stato brasiliano di Roraima. La tribù, i Moxateteu, vive però in un’area piagata da un’alta concentrazione di cercatori d’oro illegali. Se questi bracconieri di metalli pregiati non verranno presto espulsi, dicono gli esperti, c’è il rischio che la maledizione dell’uomo bianco possa colpire i Moxateteu, come è già capitato altre volte in passato.
«Ci sono molte popolazioni indios sperdute», ha detto a Survival International Davi Kopenawa, portavoce del popolo Yanomami - di quella parte cioè già emersa dal cuore della giungla. «Io vorrei aiutarli: hanno il nostro stesso sangue e non hanno mai visto il mondo moderno».
Il mito delle popolazioni perdute, insomma, non è una leggenda ma un fatto. «Queste persone esistono davvero», ha spiegato all’ Independent on Sunday José Carlos Meirelles, funzionario del Funai, il ministero brasiliano per gli Affari degli Indios. «Quegli spazi vuoti del parco Yanomami - ovvero la zona off-limits creata nel 1992 dopo varie campagne di pressione internazionali - non sono così vuoti come la gente pensa. Anzi mi spingo sino a dire che in quest’area possa esistere più d’una tribù ancora da scoprire».
«Queste immagini - ha commentato Fiona Watson, direttrice del settore ricerca di Survival International - ci dicono che queste popolazioni sono vive e più che sane. E contraddicono in pieno il pensiero di chi sostiene siano state inventate dagli ambientalisti impegnati nella battaglia contro lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi in Amazzonia».
Il Sudamerica, insomma, è davvero una specie di Arca di Noé dei popoli perduti. Oltre a Brasile e Perù, infatti, anche il Paraguay custodisce una tribù ancora da contattare: gli Ayoreo-Totobiegosode. Gli unici a vivere al di fuori dell’Amazzonia, nella vasta distesa di boscaglie che si estende tra Bolivia, Paraguay e Argentina. Ovvero un’altra area ad alto rischio ambientale a causa degli interessi legati all’allevamento del bestiame. La storia è sempre la stessa: giù le foreste e largo ai pascoli.
L’altra zona della Terra che potrebbe custodire molte sorprese è la Papua occidentale. Qui la presenza dei militari e il terreno particolarmente accidentato rendono infatti le esplorazioni praticamente impossibili. Detto questo, il direttore di Survival International ha sottolineato come un cambiamento di attitudini da parte dell’uomo «civilizzato» nei confronti di queste popolazioni possa essere la vera chiave per proteggere il loro stile di vita. «Spesso - ha dichiarato - questi popoli vengono visti come retrogradi perché vivono in modo diverso dal nostro. Ma è questa stessa nozione ad essere invece retrograda e incivile».