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Ma è vero che i grattacieli li costruiscono per risparmiare la campagna?

di Pietro Pagliardini - 08/02/2011

Fonte: Il quotidiano



«Basta rubare terreno all’agricoltura, costruiamo in altezza!», dice sempre più spesso chi desidera costruire grattacieli, un modello architettonico d’inizio Novecento spacciato per ultramoderno. Affermazione insidiosa, che riferendosi alla fonte della stessa sopravvivenza umana, la produzione di cibo, si appella alle corde più sensibili dell’ambientalismo profondo.
Sarebbe facile contestarla dal punto di vista storico, visto che la fame nel mondo, pur rappresentando ancora un dramma planetario enorme, è fortemente diminuita ed è ormai chiaro che le cause non sono imputabili, se non per aspetti marginali, all’occupazione urbana del suolo, ma a cause di ordine politico ed economico generali. Esistono però ragioni più semplici per smascherare la vacuità di tale affermazione.
Sia dunque dato un grattacielo di 20 piani, alto 70 metri e con base 25x25 metri, inserito al centro di un lotto quadrato di 70 metri. La misura del lotto deriva dalla considerazione che due grattacieli non possono affiancarsi come a New York per ovvi motivi di soleggiamento,  sicurezza, possibilità di parcheggi. Lo stesso Le Corbusier, nell’incubo urbano della sua Ville radieuse, distanzia i grattacieli per gli stessi motivi. Sia dato ora lo stesso lotto di ugual misura, e si costruisca lungo il suo perimetro un fabbricato profondo 13 metri e alto 14, cioè di 4 piani. Bastano due moltiplicazioni per constatare che si raggiunge praticamente lo stesso volume del grattacielo (con uno scarto del solo 5%). Si badi bene che tale differenza percentuale, riportata a scala urbana, vale solo nel caso in cui si decida di costruire una città interamente di grattacieli, ma laddove vi sia un’ovvia compresenza di altre tipologie, è chiaro che tale percentuale diminuisce fortemente.
Il risultato è che, per un pugno di metri cubi di edificio e di metri quadrati di terreno risparmiati, che non contribuiscono in niente all’agricoltura, si dovrebbe snaturare una città (è ad es. recente il caso di Pavia), cancellarne la storia, distruggerne la visione complessiva. No, il problema non sta nel “consumo di suolo”, bensì in altre considerazioni, tutte interne all’urbanistica, all’architettura, alla visione della città, alla vita di relazione tra gli uomini, alla loro stessa salute mentale, alla sicurezza dei cittadini dal crimine.
Christopher Alexander, il grande architetto e teorico americano, nella sua opera A pattern language (1977), fissa in quattro piani il limite in altezza degli edifici, in base a osservazioni e studi sulla (scarsa) salute mentale degli abitanti dei grattacieli; afferma che gli edifici alti distruggono il paesaggio urbano, lo spazio aperto circostante e la vita sociale, promuovono il crimine, rendono la vita difficile ai bambini, hanno costi di manutenzione altissimi.
Nikos Salìngaros, il matematico e teorico dell’urbanistica, in No alle archistar, 2009, scrive: «Il grattacielo deve essere alimentato con quantità enormi di energia. È costoso e impoverisce la città. Tanto maggiore è la costruzione, tanto crescerà l’esigenza di un suo sostegno sistematico che consuma in modo parassitario la zona circostante. Il mantenimento del grattacielo in un ambiente urbano è analogo al mantenimento di una colonia nello spazio. I problemi sono il rifornimento e il trasporto».
A terra, intorno al grattacielo, il vuoto non è solo fisico ma soprattutto di relazioni umane e sociali. Non esiste rapporto con la strada, non esiste la strada, in verità, se non per le automobili. Lo spazio vuoto agevola la criminalità perché, in assenza di attività vitali urbane a terra, non ci può essere gente, e non v’è polizia che possa tenere sotto controllo continuo immensi spazi deserti. L’alternativa al lotto con il grattacielo, cioè l’isolato con gli edifici costruiti a bordo strada, affiancato ad altri lotti con analoghe caratteristiche, ricrea le condizioni della città storica, permette di avere a piano terra negozi e attività varie che riempiono i marciapiedi di gente per una gran parte della giornata, col risultato di avere una città viva e il controllo della sicurezza affidato alla presenza stessa dei cittadini.
Spesso costruttori e politici vogliono i grattacieli, come ha recentemente dichiarato un assessore,  per avere «qualcosa di completamente innovativo. La gente che li abiterà deve essere contenta di tornare a casa». Ma come potrà essere contenta di tornare a casa se dovrà attraversare la sera spazi vuoti e intrinsecamente pericolosi? Oppure se dovrà parcheggiare con l’auto al secondo piano interrato di un garage che è il luogo più desolante e pericoloso che possa esserci?
Niente negozi, niente bar, niente giornalaio e dunque le aree potranno anche essere centrali, geograficamente, ma la sostanza resterà quella delle periferie e dei suburbi: dormitori senza vita urbana. Cari assessori, non c’è niente di innovativo nella ripetizione lussuosa del disastro delle periferie perpetrato nel secolo scorso e ancora in atto.
Le aree dismesse dentro la città sono certamente una grande risorsa per non sprecare territorio, facciamone un uso attento per ricostruire la città.