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Manuale di scrittura non creativa

di Maario Grossi - 08/02/2011


È da tempo che c’è un proliferare di manuali che tentano di insegnare tutto e il contrario di tutto all’improvvido lettore che vi si accosta. Non sono come i manuali classici del tipo Manuale dell’Architetto o del Geometra, tesi a fissare in pillole, formule ricorrenti, problemi di cantiere o di progettazione che l’utilizzatore ha, nel corso dei suoi studi, appreso e che gli vengono riproposti, in forma sintetica e operativa, per agevolarlo nel suo lavoro quotidiano.

E non sono nemmeno come quei tomi, più o meno corposi, che venivano e vengono utilizzati nelle scuole per predisporre un percorso formativo all’allievo, strumenti che, utilizzati dall’insegnante e studiati dall’alunno, gli permettono di apprendere nozioni e conoscenze in forma coerente e secondo un tracciato prestabilito.

Ci sono esempi classici che sono lì a testimoniarci come i manuali ci hanno sempre accompagnato nel corso della nostra vita.

A me viene in mente la Summa teologica di San Tommaso d’Aquino, perché mi ha sempre impressionato la notizia, non so se vera (ma in questi casi sono solito non indagare credendoci perché mi piace), che un tempo costituiva il testo di filosofia per studenti adolescenti.

Il Talismano della felicità che insieme al suo acerrimo nemico, l’Artusi, ha segnato, in campo culinario, la scienza informatrice dei fornelli di tutte le massaie d’Italia, travolti poi dai loro indegni epigoni che culminano nel contemporaneo Cotto e mangiato della Parodi, best seller incontrastato del momento.

I celeberrimi Bignami che, a modo loro, possono essere considerati dei manuali, dei concentrati di ogni scienza, buoni per schiere di ritardatari alle prese con le loro scadenze.

Oggi, lasciati nelle aule scolastiche e universitarie i manuali di stretta osservanza, tramontati quelli che si fondavano su una vera e propria conoscenza, vanno di moda quelli che, come il gioco d’azzardo, indicano la falsa scorciatoia che dovrebbe portare al successo, alla felicità o all’eccellenza ma senza troppa fatica e in un tempo che, visto la compressione della contemporaneità, deve essere congruamente breve.

Quasi dei manuali istantanei del disimpegno che hanno un’altra caratteristica: devono esagerare.

Siamo passati dal Manuale del perfetto scalatore o del perfetto subacqueo, ai manuali il cui titolo ne è esplicita filosofia esistenziale, Come scalare l’Everest senza bombole d’ossigeno e senza sherpa in quarant’otto ore, o Come raggiungere il fondo della Fossa delle Marianne in apnea, o giù di lì.

Dei manuali, pare di capire, del perfetto aspirante suicida o dell’illuso, alle prese con frustrazioni da vita quotidiana che la dicono lunga sul substrato sul quale attecchiscono.

Alcuni di questi sono francamente esilaranti, Come vincere un milione di Euro col Superenalotto fa sganasciare, visto che non si capisce perché l’autore, se realmente detenesse un tal segreto, non lo dovrebbe utilizzare per se stesso e prendersi la briga di faticare per scrivere un libro che lo spiega agli allocchi che se lo vanno a comprare.

Questa mania credo sia in buona parte importata dagli Stati Uniti che hanno sfornato manuali su tutto, con una dedizione che rispecchia da un lato un atteggiamento pragmatico nei confronti di tutti i problemi, risolvibili in modo semplice con un dettato di regolette cui applicarsi e dall’altro suona un po’ come una sconfitta del loro modello di società.

Come presentarsi a un colloquio di lavoro o Come organizzare una presentazione in Power Point sono esempi dell’atteggiamento pragmatico di cui sopra. Come sono esempi della sconfitta di un certo modello di società titoli di questo tenore: Come raggiungere la felicità, Come farsi degli amici, Come avere successo con i vicini di casa.

Se trasferiamo tutto questo nel campo della scrittura è facile costatare come questa moda sia dilagata in modo grottesco. I manuali della cosiddetta scrittura creativa si sono susseguiti incessantemente, riproponendo in chiave letteraria un’illusione per gli egocentrici novelli romanzieri in pectore che si aggirano in massa (visto il successo che risquotono questi manuali e gli infiniti corsi che vengono organizzati).

Anche qui la parabola è identica allo schema che ho illustrato finora.

Come scrivere un romanzo di successo o Come diventare un poeta, fanno leva sui più bassi istinti di chi li legge, credendoci, e stimolano volgarmente la loro presunzione compiendo un misfatto che è, secondo me alla base, dell’analfabetismo di ritorno che ci affligge tutti.

Non mi dilungo oltre su questo punto. Sarebbe banale spiegare una cosa che si spiega da sé. Poeti non si diventa, poeti lo si è e a nulla servirebbe il manuale che non può certo insegnare una pulsione profonda, una caratteristica dell’anima che c’è o non c’è. Uno può imparare a distinguere un sonetto da una composizione in versi sciolti, può imparare la metrica, ma non a essere poeta.

È per questo che, pur con qualche scetticismo, mi sono comprato, provandone in realtà scarso giovamento, un manuale che, almeno dal titolo, non ha la presunzione di insegnare ciò che non può essere insegnato.

Mi sono comprato Manuale di scrittura non creativa di Federico Roncoroni della Bur, che credo sia una riedizione rivista e corretta di un volume stampato qualche anno fa.

In realtà era da un pò che m’interrogavo sulla qualità di quello che vado scrivendo nelle mie impressioni di lettore e sulla mia capacità di avere un dignitoso rapporto con la parola scritta, anche perché per motivi professionali sono costantemente costretto, attraverso relazioni, presentazioni, note tecniche e non, a esplicitare il mio lavoro, talvolta per descrivere, talvolta per convincere (in genere chiedere soldi per i progetti che sottopongo alla mia direzione), talvolta per sintetizzare percorsi che a me, che ci lavoro tutti i giorni, sono evidenti ma che risultano oscuri a chi li osserva dall’esterno prendendoli in considerazione, tra mille altri, per alcune ore soltanto.

Poi, un giorno, un amico (che non smetterò mai di ringraziare per questo), mi ha detto che trovava bello quello che avevo scritto su un suo libro ma che in alcuni passaggi la mia punteggiatura andava corretta. Così, quando mi è passato sotto gli occhi questo manuale me lo sono comprato. Volevo applicarmi per correggere quell’ombra che aleggiava, a suo dire, sulla mia parola scritta.

Il Manuale di scrittura non creativa è in sostanza proprio questo, una carrellata che vuole passare in rassegna tutti quei fondamenti non-creativi che possono essere considerati, se proprio volete, i fondamenti della scrittura creativa, che può essere praticata, banale dirlo, solo da coloro che creativi lo sono per davvero.

È questo il pregio, anche se non particolarmente originale, del libro, la riscoperta per nulla banale, all’interno di un vento che vorrebbe far credere che tutti noi possiamo essere Dante Alighieri, Jack London o Emilio Salgari, di quei fondamentali che non possono essere trascurati e che sono la cura che uno deve avere di sé quando parla e quando scrive nella vita di tutti i giorni.

Anche quando quei fondamentali poi uno li vuole stravolgere e soprattutto quando li vuole cancellare o deformare in nome del suo stile.

Come si potrebbe infrangere consapevolmente una regola se non la si conosce a fondo?

Il caso della mia punteggiatura è didascalico. Io cerco solamente di correggerla, per migliorare lo strumento di comunicazione che ho a disposizione. Ma pensate a un novello scrittore che ad esempio (gli esempi del recente passato li lascio a voi perché sono innumerevoli) voglia abolire qualsiasi segno d’interpunzione dai suoi scritti. Come potrebbe farlo se non padroneggiasse l’uso della punteggiatura che vuole cancellare?

Così Roncoroni passa in rassegna forme diverse di testi e condensa qualche regola sintetica sulla loro stesura. Sembra un gioco banale ma un testo descrittivo, come può essere un trattato tecnico, una guida, un opuscolo scientifico, è diverso in forma, peso, enfasi, da un testo espositivo: un articolo di costume, un avviso, un comunicato, una relazione tecnica, così come è diverso da un testo narrativo (un articolo di cronaca) e da un testo interpretativo-valutativo: una recensione, come da un testo argomentativo: le arringhe, i discorsi politici, gli articoli di fondo.

Ma c’è un po’ di tutto nella nostra vita, le lettere (oggi assai in disuso), gli slogan, i graffiti sui muri, le locandine, le sdolcinate dichiarazioni sintetiche nei Baci Perugina.

Tutte forme di scrittura non creativa o paracreativa che affollano i nostri giorni fatti di pensieri che sono espressione rarefatta, di parole che sono espressione verbale, di scritture che sono espressione condensata.

In fin dei conti l’espressione è come l’acqua che si presenta sotto tre forme fisiche fondamentali: liquida, solida e gassosa. Questo manuale s’interessa della forma solida e nella sua semplicità ci rimanda alla completezza del nostro linguaggio ricordandoci che è strumento potente e pericoloso.

Vale la pena saperlo maneggiare per meglio farci capire, lasciando ai poeti e ai letterati di compiere, in santa pace, il loro percorso interiore, senza interferenze, gioendo solo della possibilità che la parola ci permette: restituire con nitidezza una porzione del nostro mondo rendendola disponibile agli altri con quel rispetto necessario che ogni nostro interlocutore merita.

Se c’è un appunto da fare a questo manuale di scrittura non creativa, che tra i suoi pregi annovera quello di non voler illudere nessuno, è quello che manca di un pizzico di attualità.

Oggi, nel mondo virtuale, che non ha fatto, come qualcuno pensava, piazza pulita della parola scritta, la parola scritta ha acquistato un peso forse maggiore che nel passato, con regole, ritmi, stili diversi che è importante indagare, studiare e praticare per poter comunque comunicare.

Le e-mail, gli sms, i messaggi twitter sono forme di scrittura non creativa che vivono di proprie regole, ritmi, stili. Non conoscerli è un buco vuoto nelle nostre possibilità.

Forse queste regole, nella liquida fluidità che ci circonda non sono ancora condensabili, o mutano ad una velocità che le rende difficili da codificare.

Ma anche qui, per tornare alla punteggiatura, si assiste a un cambio di registro. Sul web i testi si accorciano, le frasi si fanno sincopate, le parole stesse si comprimono, i segni d’interpunzione tendono a svanire, inseriti in quel flusso compresso di tempo e di spazio virtuale in cui sono inserite.

Non prenderli in considerazione, conoscendo le regole che vanno modificandosi, ci rende un po’ più simili al pitecantropo da cui vogliamo emanciparci e meno capaci di poter dire ai nostri simili.

Magari Roncoroni le inserirà, come forme base da conoscere, nella prossima edizione del suo manuale.

Mario “vox clamans in deserto” Grossi