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Perché gli USA non vogliono perdere l’Egitto

di Andres Sallari - 09/02/2011




Gli eventi delle ultime settimane in Africa settentrionale e parte del Medio Oriente, ci impongono di riflettere su alcuni paesi sono rimasti ai margini della consueta analisi geopolitica, e ciò rende più che mai evidente come il concetto di impero sia più attuale che mai.

In Egitto sembra che l'ultima parola sul futuro del sistema politico non spetti a Il Cairo, bensì a Washington.

Gli Stati Uniti hanno approvato per anni il governo di colui che ora è visto dai media occidentali come il dittatore Hosni Mubarak.

L’ex vicepresidente ultraconservatore Richard Cheney, identificando Mubarak come un vecchio amico e alleato degli Stati Uniti, ha pure esortato la Casa Bianca a tenerlo in considerazione nell’affrontare la crisi in qui versa il paese. L'ideologo dell'invasione dell'Iraq, ha dichiarato: "Penso che Mubarak abbia bisogno di essere trattata come merita, perché è stato un buon amico". Cheney l’aiuto fornito dal dittatore agli USA durante la guerra del 1991, consentendo la presenza di aerei statunitensi.

Sembra che la linea espressa dal vecchio falco non sia marginale, l'inviato di Barack Obama in Egitto, Frank Wisner, ha definito: "Il perdurare della figura di Mubarak nella leadership politica egiziana è essenziale: ha l’occasione di scrivere da solo la propria eredità".

L'Egitto è il secondo cliente per l'industria di armi statunitense dopo Israele. Mubarak spende tra 1.200 e 2.000 milioni di dollari all'anno per comprare le armi made in USA.

Questa scoperta ci fa capire perché Washington non possa permettersi un governo ostile al Cairo. Se Washington non si può permettere che l'arsenale nucleare pakistano cada in mani islamiche, la stessa logica vale per il miliardario arsenale egiziano.

Geopolitica regionale

In Asia centrale, Medio Oriente, in Nord Africa e persino nel corno d’Africa somalo è in corso una feroce battaglia condotta da Washington e dai governi alleati per fermare l'avanzata dei movimenti islamisti.

I punti più caldi in questa contesa sono Pakistan, Afghanistan, Iraq, Libano, Yemen e Somalia.

Con le recenti rivolte popolari, si aggiungono alla preoccupazione dell’impero Tunisia, Egitto e Giordania.

Per arginare vari tipi di islamismo in queste regioni Washington arma e supporta feroci operazioni militari contro i talebani nel nordovest del Pakistan, invade l'Afghanistan con più di 100 mila soldati, manovra politicamente – ancora con più di 100 mila soldati – in Iraq, fa tutto il possibile per frenare la presa del potere di Hezbollah (il Partito di Dio) in Libano, iscrive il governo democraticamente eletto di Hamas nella Striscia di Gaza nella lista delle organizzazioni terroristiche e riempie lo Yemen di agenti della CIA per combattere nei campi di Al Qaeda nella penisola arabica meridionale.

Alla fine del 2006 gruppi politico-militari islamisti conosciuti come le corti islamiche presero il potere a Mogadiscio, capitale della Somalia. Gli Stati Uniti ordinarono al governo etiope di invadere la Somalia per cacciare gli islamisti, raggiunto l’obiettivo, la battaglia è lungi dall'essere conclusa.

Questi fatti ci aiutano a capire quanto forte stia giocando Washington nella regione.

Egitto

L'Egitto non è l’impoverita Somalia, è una potenza regionale con un esercito altamente attrezzato. Il Cairo è molto vicino a Tel Aviv (Israele) e Mubarak è stato un fattore importante nel mantenere gli interessi arabi più vicino a Washington e Tel Aviv che verso il popolo palestinese, e ciò non può cambiare.

Nei primi decenni della seconda metà del secolo scorso l'Egitto rappresentò un faro per molti paesi della regione e del mondo, la culla del nazionalismo arabo guidato da Gamal Abdel Nasser.

Washington conosce la capacità d’influenza dell'Egitto nella regione, fu Nasser ad ispirare la rivoluzione libica di Muammar Gheddafi e il partito Baath di Saddam Hussein in Iraq.

Questo significa che se un processo anti-egemonico o anti-imperialista sta emergendo in Egitto, l'impatto sulla strategia degli Stati Uniti nella regione potrebbe essere devastante.

Finora non è apparso alcun gruppo politico che possa sfruttare tutta l'insoddisfazione verso il regime di Mubarak, né dalla parte del nazionalismo arabo, né dalla parte dell'islamismo. Ad oggi, non esiste in Egitto nulla come il Movimento di Resistenza Islamica Hamas, che governa la vicina Striscia di Gaza, o il Partito di Dio che è sempre più vicino a conseguire l'egemonia politica in Libano.

Evo e l'Iran sulla scena

In linea con il rafforzamento della propria presidenza sullo scenario internazionale, Evo Morales, presidente della Bolivia, ha espresso il suo punto di vista al Forum Sociale Mondiale in Senegal: "C'è una rivolta araba contro l'impero degli Stati Uniti, la lotta dei popoli sarà inarrestabile nonostante il governo degli Stati Uniti finanzi con milioni e milioni il tentativo di fermare tali movimenti. "

I leader della Repubblica Islamica dell'Iran, il grande nemico geostrategico dell'impero all'interno del mondo musulmano, giocano le loro carte.

Guida Suprema della Rivoluzione, l'Ayatollah Ali Khamenei, celebrò quello che ha definito un "movimento di liberazione islamico" nel mondo arabo, e consigliò il popolo d'Egitto e la Tunisia a unirsi intorno alla loro religione e contro l’occidentale .

Khamenei ha aggiunto che la rivoluzione iraniana del 1979 che depose lo scià sostenuto dagli USA e stabilì la repubblica islamica, potrebbe fungere da modello per altre insurrezioni araba.

"Il risveglio del popolo egiziano islamico è un movimento di liberazione islamico e io, a nome del governo iraniano, saluto il popolo d'Egitto e il popolo tunisino", ha detto Khamenei ai fedeli durante la tradizionale preghiera del Venerdì a Teheran.

Washington vigila, l'avanzata islamista nei territori palestinesi o in Libano è un problema molto grave, se prendono Il Cairo sarebbe un disastro.

Washington è riuscita a mantenere in piedi il loro alleato dittatore per 30 anni, e il destino di Mubarak ancora non è chiaro. Con centinaia di migliaia di egiziani nelle strade per chiedere democrazia, mantenere il tiranno sarebbe un compito complesso.

Una nota del New York Times mette a nudo le intenzioni dell’impero per continuare a controllare l'Egitto: un accordo tra forze armate e il vicepresidente Omar Suleiman, con Mubarak confinato nella sua residenza estiva a Sharm el Sheik, o inviato in Germania per un checkup medico.

Ognuno continuerà a giocare le proprie carte, e Washington farà del suo meglio per mantenere l’egemonia in Egitto. Il risultato finale di questa partita dipenderà probabilmente dalla volontà trasformatrice delle masse che queste settimane occupano le strade egiziane.


Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=122003&titular=por-qu%E9-ee.uu.-no-quiere-perder-egipto-

Tradotto da Matteo B. Lucatello (www.matteolucatello.it)