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Agricoltura industriale, colture geneticamente modificate e biodiversità

di Carlo Modonesi - 13/02/2011


L'agricoltura industriale controlla estensioni agricole per miliardi di ettari che vengono trattati con pesticidi e altri composti derivati del petrolio. Gran parte di questa terra non viene coltivata per l'alimentazione umana ma fondamentalmente per produrre mais e soia per il bestiame domestico allevato in batteria, i cui derivati sono alla base della dieta ad alto input di materia ed energia del mondo occidentale. Tale situazione viene spesso contrabbandata come un miracolo delle tecnologie avanzate impiegate nell'agricoltura moderna, con l'alibi che queste sarebbero in grado di garantire un altissimo output di prodotto utile a sfamare l'intera popolazione mondiale a prezzi accessibili.
Va tuttavia osservato che il continuo rincaro dei combustibili fossili, i problemi relativi allo smaltimento dei liquami provenienti dagli allevamenti industriali dove si alimentano animali con mangimi GM, il sovrasfruttamento delle risorse idriche e dei suoli, la riduzione della qualità nutrizionale e organolettica degli alimenti prodotti con metodi intensivi e transgenici e la continua erosione della biodiversità naturale e agricola, dovuta proprio alle pratiche dell'agricoltura industriale, raccontano una storia molto diversa. Ciò invita a riflettere sull'idea di "innovazione tecnologica" cavalcata dalle corporation dell'agribusiness e sul significato assunto dall'agricoltura in un mondo dominato, ormai, da una concezione solo ideologica dell'economia, della scienza e della tecnologia.
L'agricoltura industriale si è rivelata insostenibile. Il suo obiettivo è stato unicamente quello di arrivare ad un monopolio del mercato dei prodotti alimentari al costo di distruggere i sistemi agricoli tradizionali e le dinamiche funzionali dell'ambiente. Già oggi il territorio si trova in una condizione di grave deterioramento, determinato dal cambiamento climatico, dalla contaminazione chimica e biologica, dall'alterazione fisica, dalla frammentazione degli habitat, dall'introduzione di specie alloctone, dal dissesto idrogeologico, dalla cementificazione, dalla produzione eccessiva di rifiuti, dalla distruzione delle foreste, dal sovrasfruttamento e diversione dei corsi d'acqua, così come dall'abuso delle pratiche venatorie, e molto altro ancora: tutti sintomi di una Terra malata a causa del sempre più potente impatto tecnologico dell'uomo. E' disarmante rilevare come l'apparato dei ritrovati e dei dispositivi tecnologici dell'ultimo mezzo secolo, così sofisticati e potenzialmente invasivi, sia stato utilizzato con tanta incompetenza ambientale e incoscienza sociale.
Per quanto riguarda la riduzione della biodiversità, i dati del monitoraggio biologico (fonte IUCN) ci dicono che negli ultimi 100 anni, per un congruo numero di specie di vertebrati, invertebrati e piante, si è avuto un incremento del rischio di estinzione dovuto a cause antropiche. Attualmente, il 12% delle specie di uccelli e il 25% delle specie di mammiferi del mondo risultano "minacciati", soprattutto per l'impatto ecologico dell'agricoltura. Le stime disponibili, inoltre, fanno ipotizzare che, in assenza di un'adeguata strategia di intervento, i ritmi futuri di estinzione delle specie cresceranno di 10 volte rispetto ai ritmi attuali: tutti i dati convergono nell'indicare che siamo entrati nella sesta estinzione biologica di massa. Va precisato che le morie di cui stiamo parlando non si verificano soltanto per un incremento della mortalità delle popolazioni biologiche, ma anche per la preoccupante riduzione della loro natalità. Molti animali, per esempio, si riproducono di meno per una serie di ragioni, e tra queste vi è il fortissimo impatto di un gruppo di molecole di sintesi denominate "distruttori endocrini" che da molto tempo interessano i medici epidemiologi e gli zoologi perché responsabili, sia nell'uomo, sia negli animali, di una serie di effetti patologici, incluso il cancro. Tali molecole minano gli ormoni sessuali e alterano la normale funzione del sistema endocrino all'interno dell'organismo. L'effetto più importante è una riduzione della fertilità dei maschi di molte specie di vertebrati, dagli storioni agli alligatori, fino ai felini e agli esseri umani.
Il problema, tuttavia, oggi viene anche dal rilascio in campo aperto di piante geneticamente modificate. La letteratura scientifica ha documentato, attraverso studi di campo e di laboratorio, una serie di casi di rischi ecologici e biologici associati alle colture ingegnerizzate. Per esempio, un'importante indagine comparativa, basata su test di laboratorio effettuati su roditori, ha evidenziato che per tre mais ingegnerizzati (NK-603, MON-810 e MON-863) esistono rischi biologici significativi dovuti ad alterazioni rilevate a livello dei reni, del fegato, del cuore, del surrene, della milza e degli organi ematopoietici. Tuttavia, quello che oggi possiamo e dobbiamo dire con tutta onestà è, in fondo, ancora più preoccupante. Nessuno studioso del mondo, infatti, ha la minima idea della portata degli effetti che le piante geneticamente modificate potranno sortire su scala ecosistemica globale. La biotecnologia sta diventando una sorta di totem alchemico, basato sul mito del controllo e del dominio dei sistemi biologici: un controllo e un dominio decisamente infondati, dal momento che trascurano completamente la conoscenza dei loro effetti collaterali.