Reato e colpa
di Luciano Fuschini - 14/02/2011
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Le questioni di parole non sono formalità, sono sostanza. Il rigore nell’uso di termini è la condizione necessaria per una comunicazione corretta e una discussione che non sia un dialogo fra sordi. Per questo è sempre necessario definire i termini e delimitare il loro campo semantico.
Reato si riferisce a quei comportamenti che sono passibili di sanzione penale. Ha a che fare sempre con una legge, con una norma scritta. Peccato appartiene al campo semantico delle religioni, soprattutto monoteiste. Il peccato è un’offesa alle leggi divine più che a quelle umane. Con la caduta dello spirito religioso, questo termine è pure caduto in disuso. Ormai evitano di utilizzarlo perfino i preti. Colpa si riferisce a comportamenti esposti a una sanzione morale, non necessariamente punibili a termine di legge. La colpa è giudicata da una morale che può essere anche laica, mentre il peccato appartiene sempre al campo semantico delle religioni.
Ebbene, tutto questo pistolotto di sapore pedantesco è la premessa obbligata a qualche considerazione in margine alle notti di Arcore. Un fatto che non ha avuto il rilievo che meriterebbe è la scomparsa del concetto di colpa in tutta la discussione che si è accesa. I difensori di Berlusconi si sforzano di dimostrare che non c’è stato reato: né concussione, né favoreggiamento della prostituzione, né sfruttamento della stessa. Se non c’è reato, il premier esce pulito, perché a casa propria ognuno fa quello che vuole. Gli accusatori di Berlusconi e della sua corte si sforzano di dimostrare che invece di reati si tratta. Anch’essi sono nella stessa logica dei loro avversari: non facciamo del moralismo, qui ci sono dei reati perseguibili per legge. Fare del moralismo, essere dei moralisti, sono diventati comportamenti e modalità di cui vergognarsi. Un tempo i moralisti erano i fustigatori dei costumi, individui benemeriti nella società. Oggi ci si vergogna perfino della parola.
Tutt’al più si sostiene che un capo di governo non può permettersi nel privato di comportarsi come un comune cittadino. Certi comportamenti espongono uno statista al ricatto e pregiudicano la sua sicurezza. Tutto qui. Se fosse un comune cittadino, un settantaquattrenne danaroso e influente nel mondo dello spettacolo potrebbe benissimo organizzare orgette attirando giovanissime con la lusinga dei soldi e di apparizioni sugli schermi della TV o del cinema.
Bisogna riflettere sulla gravità di questo modo di pensare, comune a tutti, destra e sinistra. Bisogna aprire gli occhi sul fatto che questo modo di pensare demolisce i princìpi stessi della corretta convivenza. Al fondo di questa sconfortante aberrazione sta l’abolizione del concetto di colpa. Che un vecchio ricco e potente attiri giovinette e le corrompa coi suoi soldi e col suo potere è qualcosa di peggio di un reato: è una colpa, una colpa grave, che sia o non sia presidente del consiglio. Io sono un grande estimatore di P.P.Pasolini. Sono fra quelli che ne rimpiangono la scomparsa. Era un militante della sinistra e allo stesso tempo un nemico della modernità. Un grande polemista antiprogressista, con tratti reazionari. Ebbene, pur stimandolo moltissimo, riconosco che certi suoi comportamenti erano gravemente colpevoli. Cercare avventure erotiche con ragazzi di borgata affascinandoli con la sua Mercedes argentata e col miraggio di farli entrare nel mondo del cinema forse non era reato, ma era qualcosa di peggio: una colpa.
Ecco il punto decisivo, il più rilevante in tutto lo squallore delle orge di Arcore e della relativa discussione: la rimozione totale del concetto per il quale ciò che conta è l’assunzione della responsabilità piena del proprio ruolo e della propria condizione, compresa la responsabilità attinente alla propria età. Se si viene meno a quelle responsabilità, si è in colpa. Che Berlusconi abbia commesso un reato o non l’abbia commesso è per me irrilevante. Deve dimettersi perché è incorso in una grave colpa venendo meno alla responsabilità del proprio ruolo e della propria condizione. La cosa più triste è proprio la costatazione che tutti i contendenti della feroce diatriba sul bunga bunga, su Ruby Rubacuori e il nano affetto da satiriasi, sono in realtà sulla stessa lunghezza d’onda. Tutti all’interno della filosofia del “proibito proibire”, del “godersi la vita”, del “non sono un moralista”.
La Chiesa è stata molto cauta nel condannare. Del resto chi ha tanti pedofili nelle sue file fa meglio a tacere. Il clamore è venuto da sinistra. Anche a questo proposito bisogna intendersi. Ci sono state almeno tre sinistre. Quella operaista, stalinista, dura, disciplinata, pericolosa nel suo dogmatismo fanatico ma ancorata a saldi princìpi morali. Per quella sinistra certi comportamenti erano non diritti di libertà ma luridume della decadenza borghese. In ogni sezione del vecchio PCI c’era la Commissione dei Probiviri, anziani militanti che godevano di considerazione e che avevano il compito di vigilare sulla moralità degli iscritti. Perfino l’adulterio veniva sanzionato (se non era del Capo, Togliatti: fin lì non si arrivava). Un iscritto sposato che avesse un’amante veniva prima richiamato, poi, se persisteva, poteva essere espulso. Proprio il sunnominato P.P.Pasolini conobbe dolorosamente la severità dei probiviri, quando fu espulso dal partito per omosessualità. Quella sinistra si è dissolta, non esiste più. Una seconda sinistra fu la socialdemocrazia, quella che ha dato vita alle cooperative, ai sindacati, che ha promosso la programmazione economica e i servizi sociali, che ha garantito ai salariati una lunga stagione di conquiste e di relativo benessere, pur non essendo mai uscita dalla logica del capitalismo. Anche questa sinistra è sparita. I suoi ultimi esponenti si sono convertiti al liberal-liberismo e sono i più fedeli sudditi dell’Impero tricefalo (New York, Londra, Tel Aviv). Resta una sola sinistra, quella anarcoide del “vietato vietare”, quella che parla sempre di diritti e mai di doveri, quella fru fru dei Vendola e affini, quella che parla di reati e non di colpe. Dovrebbe avere il pudore di tacere.