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Sempre il torbido per confondere

di Gianfranco La Grassa - 15/02/2011

Fonte: conflittiestrategie

 
 
1. Prenderò le mosse da un articolo di Festa su Libero del 12 u.s. Sarà solo uno spunto, in quanto mi sembra consenta di vedere la linea seguita da chi tenta una “transizione” molto cauta, tanto cauta che è difficile predire se riuscirà o meno; nel caso riuscisse, gli obiettivi non mi sembrano proprio molto diversi da quelli di coloro che in questo momento – con grosse batterie: prima e terza carica dello Stato, la seconda defilata “alla democristiana”, un Tremonti di riserva ambiguo come non mai, la Lega “timida” perché non ha alcun reale obiettivo strategico, solo uno straccio di federalismo fiscale di cui nessuno capisce bene cosa sia (temo solo un aumento di imposizione) – sono all’assalto della “diligenza” per portare l’Italia sotto il tallone degli Usa, attuanti la nuova tattica (del serpente), che sembra avere qualche successo pure in zone a noi molto vicine (geograficamente).

L’articolo in questione presenta senz’altro ambiguità. Faccio solo qualche esempio. Si sarebbe favorevoli alla liberalizzazione della professione degli avvocati, ma è senza senso se si mantiene inalterato il potere della casta dei magistrati (la “più mostruosa corporazione esistente in una società occidentale”; per inciso, approvo pienamente, la considero un’associazione da “colpi di Stato” per ormai “intrinseca natura”). Si è favorevoli a liberalizzare il credito, ma è assurdo farlo se si mantiene inalterato il “potere autoreferenziale” delle Fondazioni bancarie (anche rispetto ai media). Infine, il colpo finale, il meglio assestato: “le liberalizzazioni dell’energia sono servite finora solo a colpire la produzione nazionale e a confortare il clan De Benedetti che ha generosamente ricambiato sostenendo i suoi vari sponsor, da Bersani a Bocchino [perfetta individuazione del fronte nemico, del PAB, che passa per Vendola, Ferrero, Diliberto e simili filo-atlantici mascherati, in realtà scatenati; nota mia]. Certe campagne contro l’Eni, come per esempio il ridicolo sventolare il caso Mentasti, hanno un’arietta di iniziative ispirate da ambienti intenti piuttosto che a liberalizzare l’Italia, a sottometterla a interessi non nazionali” (corsivi miei).

   Anche altre affermazioni non sono negative, quando ad esempio si critica la politica fatta finora: “politica di intesa tra le principali industrie e la Cgil, invece che rivolgersi alla più ampia platea di piccoli e medi imprenditori e valorizzando i sindacati riformisti. Con un complessivo eccessivo cedimento alle influenze straniere” (corsivi miei). Infine la parte finale: “è indispensabile avere una politica economica orientata a tenere unite le forze sociali fondamentali e a impedire che le nostre scelte siano condizionate da eccessi di influenze internazionali. Astrattamente sarebbe utile un clima di solidarietà nazionale ma parte delle forze politiche in campo rispondono a pure logiche da nomenclature o sono ricattate da settori della magistratura. Si tratta di individuare quindi una via di uscita simil-gollista (riforme istituzionali rigorose e sottomesse al giudizio popolare) piuttosto che da grande coalizione” (corsivi miei).

   Tutto questo è però immerso in un clima che ha del “surreale”, che sembra smentire la lucidità del giornalista. Intanto, avrete notato che non cita mai di quali influenze straniere si tratta. Sono quelle che si esercitano, a suon di “democrazia”, in varie parti del mondo; e laddove non ci si pieghi a simile falsa democrazia, ci sono aggressioni militari (Irak, Afghanistan e altre minori) o creazione di caos su cui inserirsi utilizzando le “quinte colonne interne” (esempio classico proprio il nostro paese). Mafia (“pentiti”) e magistratura sono state messe all’opera per attuare manomissioni dei “giudizi elettorali” con finzione di giustizia e, oggi, di moralità (sessuale, con condimento di puritanesimo per i cattolici, di rispetto delle donne per le decerebrate del movimento “femminista”, ecc.). Questi “influenti stranieri” sono gli Stati Uniti. Concediamo le attenuanti generiche a Festa per il mancato coraggio di nominarli; forse pensa che tutto sommato chi legge il suo articolo è informato e intelligente. Non lo dia troppo per scontato.

   Tuttavia, dove i dubbi si fanno più insistenti è nell’individuazione dei possibili alleati di complemento. Intanto, mai avevo letto in un giornale di “destra” sviolinate insensate ad Amato, Ciampi, addirittura a Padoa-Schioppa; e per di più proprio per quanto hanno combinato al fine di rovinarci completamente, portandoci in Europa e nell’euro. Che senso ha far riferimento a politiche simil-golliste quando poi si citano favorevolmente questi ignobili europeisti del tutto antigollisti che ci hanno ridotto alla mercé delle “influenze straniere” (di una UE asservita agli Usa), contro le quali si vorrebbe mettere in guardia? Una completa contraddizione in termini. Ma non finisce qui. Tra gli alleati “potrebbe essere utile anche imbarcare nuove forze, come quelle organizzate persino da Montezemolo (sic!), purché si inseriscano nella logica di costruzione concreta per il rinnovamento messa insieme per esempio da Tremonti (sic!sic!) e non si propongano invece di scardinarla”. Festa “c’è o ci fa?”. O ci prende tutti per fessi?

   E ancora: vuole l’alleanza pure con Marchionne, soprattutto per la sua intesa con i “sindacati riformisti” che gli hanno concesso di “fare le sue rivoluzioni” (proprio così: rivoluzioni!). E, naturalmente, ulteriori sviolinate al federalismo fiscale, che “può aprire una via per ridurre la spesa pubblica e creare le condizioni per tagliare le tasse”. Intanto, consente di aumentare l’imposizione locale; e che si paghi allo Stato o al Comune non dico sia esattamente la stessa cosa, ma certo non è proprio una diminuzione di imposte. Poi “può essere” (meno male che Festa usa il “può”) che si tagli la spesa pubblica, ma nessuno finora ha detto veramente come. Si chiacchiera perché si ha la lingua e si sa scrivere, ma nessuno si cimenta in spiegazioni, in proposte che salvaguardino effettivamente gli investimenti produttivi, gli investimenti cioè che diano propulsione alle industrie strategiche (come l’Eni citata da Festa in un contesto positivo) e che aiutino la nostra politica estera ad aprirsi verso le aree a noi più confacenti, con autorità simil-gollista, rintuzzando le “influenze straniere” (Usa). Tutto questo si otterrebbe accogliendo favorevolmente la politica di Ciampi e Padoa-Schioppa, alleandosi con Montezemolo e Marchionne, credendo all’opportunista e subdolo Tremonti? Mi sembra che veramente ci si consideri un po’ scemi.

   Adesso Tremonti vuol mandare Draghi alla BCE. La spiegazione più banale, come al solito del tutto personalistica, è che vuol liberarsi di un possibile concorrente in vista di un eventuale ricorso ad un Governo di transizione o di responsabilità nazionale, ecc.; visto che ormai Napolitano, due passi avanti e uno indietro, sta di fatto a fianco della magistratura nel suo massimo sforzo per buttare giù Berlusconi (il quale mostra tutta la sua debolezza non accettando la sfida delle elezioni, l’unica via di uscita decisiva). Questa motivazione, se c’è, è del tutto secondaria. Il fatto è che Tremonti è un “antiliberale” di pura forma, si maschera dietro la tipica ipocrisia cattolica dell’“economia sociale di mercato”; detto per inciso, quanto era migliore e non meschino Adam Smith con il suo fidarsi dell’egoismo, non della benevolenza (e “socialità” ipocrita), del macellaio per ottenere la buona carne! Un liberale, quanto a moralità, lascia un falso cattolico a distanza stellare. Tremonti, pur avendo probabilmente con Draghi le tipiche divergenze dei soliti “due galli nel pollaio”, è un autentico filo-statunitense. Draghi alla BCE – mentre magari lui trama, assieme ad ambienti leghisti, per divenire premier del “governo del Presidente” – è un’ottima soluzione per rinsaldare gli Usa, in piena attività anche nel Nord Africa e altrove, nella loro presa sulla UE.

   2. La “sinistra”, pur dopo il passaggio di campo di Fini, è in pappe, non affianca con energia e capacità la manovra a tenaglia di magistratura e…. “ambienti più alti” (non per conto loro, sia chiaro, questo lo do per scontato fidandomi dell’intelligenza del lettore). Si è quindi, probabilmente, all’inizio di nuove manovre. E una, a mio avviso, è espressa nell’articolo di Festa di cui parlo. Ve n’è però un’altra; divergente, convergente a medio termine? Per il momento non si capisce. Mi riferisco al ritorno di Ferrara al pieno filo-berlusconismo (anzi è nuovamente divenuto il consigliere più ascoltato dal premier). Non può esservi dubbio sul filo-americanismo (e filo-israelismo) dell’ex piciista, che è comunque una persona intelligente, sia chiaro, piuttosto lucida a differenza degli emeriti idioti della “sinistra”, che passano per grandi politici e intellettuali, hanno infestato tutti i media, ma sono di una ottusità e rozzezza politica da far paura.

   Nel mentre Festa si attorciglia nelle contraddizioni sopra riportate, Ferrara nell’editoriale odierno (13 febbraio) del Giornale, pur con toni apparentemente “morbidi”, chiede esplicitamente a Tremonti di schierarsi con nettezza, chiarendo le sue intenzioni. Ferrara non sembra apprezzare troppo le misure scelte dal Ministro. Sempre per le solite ragioni tattiche, gli fa sviolinate per la sua bravura, per l’aver tenuto i conti sotto controllo ecc. ecc.; tutta la solita pappardella che dobbiamo sorbirci solitamente quando si parla di questo “genio” (un subdolo di tre cotte). Tuttavia, Ferrara scrive senza mezzi termini che, andando avanti di questo passo, Tremonti rischia di finire in compagnia di quelli che chiedono la patrimoniale e l’imposizione delle rendite (ormai la “sinistra”, indecente accozzaglia di sbandati, confonde le rendite con semplici risparmi, fra l’altro remunerati quasi a zero). Invece di ridurre l’imposizione, che è quanto chiede il grosso dell’elettorato del premier, si rischia di scontentarlo e allontanarlo definitivamente.

   Non vi è alcun dubbio, a mio parere, che se Ferrara parte in quarta a favore di Berlusconi, questi deve aver raggiunto un compromesso (logicamente al ribasso) con gli Stati Uniti in fatto di politica estera. Del resto, i filo-americani sono sempre stati maggioritari anche dentro il centro-destra. Dirò di più: Berlusconi è “per sua natura” della stessa pasta. Non scordiamoci che, in un primo tempo, pure lui tradì Craxi e si schierò, con Mediaset, a favore di “mani pulite”. Fu Occhetto a volerlo aggredire; ma per conto della Confindustria agnelliana in alleanza con il gruppastro De Benedetti, mentre all’epoca penso che gli Usa non lo filassero gran che. Quel management, e forse alcuni gruppi politici ormai “in clandestinità” (figurata logicamente), costituenti le ultime resistenze al “colpo di Stato” mascherato, si misero dietro di lui. Si andò così formando il primo gruppo di “resistenza” che ebbe subito un grosso successo elettorale perché i “golpisti” fecero fuori Dc e Psi, dando la preferenza al Pci (in semplice rinnegamento di se stesso, senza alcuna autocritica), nel mentre le classi cosiddette dirigenti fornivano, quale unica spiegazione (im)politica di un così rapido cambiamento di scelte, l’improvvida e arrogante frase di un mediocre e sopravvalutato personaggio qual era l’“Avvocato”: “i miei interessi di destra sono meglio difesi dalla sinistra”.

   Per mezzo secolo si è lasciato comandare un simile individuo, scadente come intuito politico, scadente come imprenditore, scadente come comune intelligenza delle cose. Questo è il quadro dell’Italia: un uomo di valore, Mattei, assassinato; un altro, meschino, padrone riverito quasi fosse un “gran signore”, mentre era la migliore rappresentazione della fine della borghesia in quanto reale classe dominante perché capace di egemonia. Da allora, in Italia, si è visto solo il prostrarsi davanti agli Usa – pur con piccole furbizie – di personaggi politici che, a parte qualche scatto di Craxi, sono sempre stati condiscendenti verso questi post-borghesi, incapaci di divenire veri funzionari del capitale. Però, con “mani pulite” e la pressione definitiva degli Usa, una volta “caduto il muro”, una simile “classe” industriale di inetti sperò di prendere tutto il potere e di governare, servendosi di semplici rinnegati ancor più meschini e incapaci dei loro padroni. L’elettorato Dc e Psi – malgrado il salvataggio dai processi di piccoli gruppi di miserrimi dirigenti di questi partiti che si misero ai piedi dei vecchi avversari – li ha sempre puniti nei loro propositi. Berlusconi, spinto da coloro che se ne sono serviti (tuttora “nell’ombra” a mio avviso, e ciò è male), è divenuto così l’elemento catalizzatore della situazione.

   Data la sua scarsa consistenza politica, e quella ancor peggiore dei mascalzoni soltanto rinnegati e venduti, si è vissuto per quasi vent’anni sulla contrapposizione tra pro e contro quest’individuo. Nessuna politica effettiva è stata svolta in Italia dai guitti in pessima recita. Sotto la copertura della farsa, approfittando della fine del monocentrismo statunitense (dall’inizio del secolo) e dal farsi avanti del multipolarismo, Berlusconi ha condotto, per conto di gruppi strategici pur deboli (ma non troppo), una nuova timida politica estera di assai parziale indipendenza. Per quanto possa sembrare strano, ha in fondo avuto maggiore spazio di manovra (pur essendo costantemente contrastato dall’interno e dall’esterno, e sicuramente pure da ambienti americani) quando era in auge la “tattica della tigre” degli Stati Uniti, che si intestardivano nel credersi l’unica vera superpotenza centrale. L’Italia (sia con il centro-sinistra che con il centro-destra) forniva aiuto alle loro imprese belliche e le nostre industrie strategiche si riprendevano qualche autonomia. In particolare – com’era logico, visto che certi settori avevano resistito al colpo di Stato di “mani pulite” tramite lui – è stato proprio Berlusconi a mettere a segno i migliori colpi per un allargamento dei nostri affari ad “est” e a “sud”.

   Preso atto del multipolarismo crescente, del non poter dare più ordini secchi – nemmeno nella zona dove, nell’epoca bipolare, mettevano a segno brutali colpi di Stato militari – gli Usa seguono ora una tattica più “flessibile”; è però subdola e pericolosa. Credo non ci si renda conto che, negli ultimi tempi, si sono rivitalizzati e hanno l’iniziativa. Provocano, poi si tirano apparentemente indietro per aggirare le posizioni, ricominciano, ecc. Non fomentano direttamente le rivolte e sedizioni. Stabiliscono, in paesi di tradizioni dette antidemocratiche (come se quelli capitalisticamente “avanzati” fossero realmente democratici), ottimi collegamenti con le classi medie di costumi occidentalizzanti (in realtà americanizzanti). Quando la situazione, creata in parte dalla fase economico-socialmente critica prodottasi anche per il nuovo “caos” multipolare, raggiunge una fase di instabilità e insopportabilità popolare, gli Usa agiscono per linee “interne”, in dati casi sfruttando queste classi medie, in altri utilizzando i militari a loro sostanzialmente fedeli, ecc. Non “tutte le ciambelle, ecc. ecc.”, ma stanno comunque ottenendo alcuni risultati discreti, certamente non peggiori di quelli conseguiti con dirette azioni belliche.

   3. Diverso è però l’atteggiamento che gli Usa tengono nei paesi dell’area sviluppata europea. Qui hanno saldi legami con forze sociali e politiche formatesi durante la sedicente “difesa del mondo libero” dalla possibile aggressione e sovversione “comunista”, che sarebbe stata alimentata dall’Urss. In realtà, i “liberatori” hanno messo i paesi europei occidentali sotto tutela della Nato. Hanno trovato non solo organismi conservatori (con l’eccezione di certo gollismo), ma anche e direi soprattutto “progressisti” (anche qui con parziale eccezione di settori socialdemocratici tedeschi all’epoca dell’ostpolitik), per tenerci in sostanziale soggezione. In Italia vi è stata una particolare storia, da riscrivere completamente, in cui gli Usa hanno sfruttato pure il peggiore (passato per migliore a livello di menzogna) partito eurocomunista, di speciale utilità per loro dopo il “crollo socialistico” e dell’Urss (adesso non ripeto tesi già sostenute innumerevoli volte dal sottoscritto e dal blog in genere).

   In Italia era forte anche il blocco industriale, dominato dai sedicenti antifascisti del tradimento del 25 luglio e 8 settembre, contrastato solo parzialmente da quello dell’industria “pubblica”, del resto “avvertita mafiosamente” tramite quello che va chiamato con il suo nome: assassinio di Mattei. Il “compromesso storico”, la “concertazione” tra sindacati (apparati burocratici di Stato) e tale blocco industriale, hanno creato vasti strati sociali di sostanziali parassiti; come detto più volte, non perché esecutori di lavori inutili, ma perché gonfiati n volte rispetto alle esigenze degli stessi. Da questi strati sono nati i conati del ceto intellettuale degli ultimi 40 anni, schierato “a sinistra” tramite sussulti perfino delinquenziali supportati, collateralmente, da cialtroni e conniventi occulti con una sempre potenziale sovversione, del resto ben gradita e coccolata dai post-borghesi dell’antifascismo traditore, incapaci d’essere vera classe dirigente; sempre intenta invece a mungere lo Stato con crescita abnorme della spesa pubblica (spesa corrente con pochi reali investimenti utili) e l’attitudine a tartassare quei ceti del lavoro “autonomo” e piccolo-imprenditoriali, che sono un’altra caratteristica della storia italiana.

   E’ nei settori parassitari, per farla adesso breve, che pescano oggi gli Usa per la loro “tattica del serpente”, atta alle nuove esigenze della fine sia del mondo bipolare sia del loro transitorio monocentrismo. E sono questi settori a rinverdire nel nostro paese le cialtronerie di Pulcinella e Arlecchino (che erano almeno importanti come maschere della commedia dell’arte). Si vedano oggi, ad esempio, le dementi radical chic (condite con Vendola, Gad Lerner e altri “maschioni”) alla manifestazione delle donne; superano perfino i loro “compagni” uomini, che ormai sono “alla canna del gas”. Se non esistesse un centro-destra di pastafrolla, si potrebbe dare a tale marcio schieramento di infami una “ripassata” definitiva, che metterebbe nel contempo termine alle speranze Usa di servirsi dell’Italia come testa di ponte nella UE per continuare a vessarci. Impossibile descrivere la nausea da cui si è presi nel sentire ancora vociferare questa “sinistra” immonda, con l’aggiunta degli altri del PAB (poltiglia anti-Berlusconi). Avremmo bisogno di veri “liberatori”, non quelli del ’45.

   Per tornare al punto di partenza, mi sembra che si stiano oggi profilando – e non so se in concomitanza casuale con quanto accade nel resto del mondo, soprattutto nelle regioni africane a noi vicine – differenziazioni tra le forze che, tutto sommato, cercano una via d’uscita alla putrefazione quasi ventennale del paese. Non sto parlando di via d’uscita da considerarsi positiva, semplicemente di una via d’uscita per impedire comunque lo sfacelo più totale, che è quello cui si assisterebbe sicuramente ove si lasciassero ancora agire per molto tempo i falliti, e marci e corrotti, dell’ammucchiata di rinnegati denominata “sinistra” (con le aggiunte dei finiani, ecc.). Quello che propone Festa, se ben capisco, è una nuova coalizione, non so quanto solida, che resista alle “influenze straniere” (da non nominare espressamente) e difenda, minimamente e “molto elasticamente”, quei settori (“ombra”) di resistenza a “mani pulite”, di ieri e di oggi, con il loro “uomo-vetrina”, Berlusconi, cui hanno però concesso quasi vent’anni di apparentemente isolata rappresentanza di “certi interessi”.

   Evidentemente, non ci si vuol scontrare apertamente con gli Usa – visti anche gli incerti andamenti delle “novità” presenti in Nord Africa, dove comunque, al momento, sembrano in vantaggio i progetti “del serpente” – e si cerca quindi di convincere all’alleanza settori come quelli rappresentati da Marchionne, Montezemolo, con l’aggiunta di un infido Tremonti, per non lasciare isolati i settori strategici. Nel contempo, si fa presente che simile alleanza, molto friabile, deve essere rafforzata con i settori dei lavoratori “autonomi” e piccolo-medio imprenditoriali; i quali, tuttavia, non sembrano troppo favoriti dal Ministro dell’economia con la sua “cinghia stretta” e l’ossessione – chiaramente una mascheratura – dei conti pubblici.

   Ferrara, della cui fedeltà filo-atlantica nessuno credo possa dubitare, sembra fare un discorso diverso. L’impressione è di non eccessiva fiducia in Tremonti – quindi, a rigor di logica, nemmeno del tutto nei confronti della Lega – che pensa sia tenero perfino verso un’eventuale patrimoniale, misura invisa ai “ceti medi”, ai lavoratori produttivi ma non dipendenti. Tale atteggiamento tremontiano in effetti appare strano, dato che il Ministro è da tutti ritenuto vicino ai leghisti e non dovrebbe quindi scontentare questi “ceti medi”, soprattutto situati al nord, continuando ad evitare un deciso taglio della spesa pubblica, da cui inizi la riduzione dell’esercito degli “improduttivi” (nel senso letterale del termine, compresi quegli intellettuali che sarebbero senz’altro da falcidiare e ridurre al silenzio con chiusura definitiva dei loro canali di “comunicazione” menzognera ed eversiva). In ogni caso, Ferrara, il filo-americano, sembra più reciso e duro nei confronti di coloro che favoriscono, o almeno vorrebbero favorire, proprio le “influenze straniere” di cui parla Festa, per contrastare le quali costui sembra propendere per una politica di confronto meno teso con settori “centristi”, di fatto vicini a quelle “influenze”. Ferrara sembra suonare con maggiore energia la tromba della riscossa contro l’ammucchiata dei rinnegati e i loro intellettuali privi di qualsiasi dignità e…..intelletto.

   C’è qualcosa che non torna, che stride come una porta non bilanciata sui suoi cardini. Forse, ambienti americani – che si muovono in modo diverso nei vari teatri del mondo e, ultimamente, nelle nostre immediate vicinanze – hanno capito che si debbono lasciare “sul terreno” i piccoli vermi di “sinistra”, ormai in demenziale movimento confuso e scervellato? Però, dovrebbero allora lasciar perdere anche la magistratura fellona ed eversiva. A meno che questa non serva semplicemente a garantire l’indubbio (almeno per me) compromesso, cui è giunto Berlusconi con le “influenze straniere” per salvarsi ancora una volta dall’accerchiamento. Difficile districarsi. Dobbiamo soltanto stare con le “orecchie molto alzate”.

   Non è nemmeno detto che, immediatamente, le nostre industrie strategiche debbano risentire del mutato clima, delle mutate mosse strategiche statunitensi, del compromesso cui, lo ripeto, è giunto a mio avviso il premier con chi, dall’estero, tende a farlo fuori. Nemmeno è sicuro che tale compromesso sia reale o, se reale, tenga a lungo, se sia una boccata d’ossigeno temporanea, nel mentre però i disperati del PAB continuano a tenerlo sotto assedio con una magistratura che potrebbe essere fuori controllo (tutti conosciamo la storia dell’“apprendista stregone”) o invece, come appena detto, perseguire un’opzione mantenuta sempre all’ordine del giorno se non altro come “riserva” e per rendere il compromesso più stabile e sicuro.

   Ci sono poi le voci secondo cui si vorrebbe sostituire Scaroni all’Eni perché la Gazprom sarebbe insoddisfatta di certe sue “timidezze” nei confronti delle pressioni statunitensi. E’ credibile la voce oppure si tratta ancora una volta di fumo gettato negli occhi? Certamente, la “realtà” è resa opaca, l’acqua è continuamente intorbidata. Siamo fondamentalmente degli osservatori. Cerchiamo di usare il cervello per cogliere dagli indizi il più possibile di tale “realtà”. Soprattutto smettiamo di attenerci sempre all’apparenza che ci viene suggerita. I superficiali abbondano tra coloro che – in buona fede oppure no, difficile “sceverare il grano dal loglio” – ci attorniano e vorrebbero stordirci con sciocche interpretazioni, immergerci nel mare della pura banalità. Facciamo il possibile per mandarli al diavolo, tentando di afferrare l’essenziale. E’ però sempre più complicato nella nuova fase storica di tendenziale multipolarismo.