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Caro lettore…

di Francesco Lamendola - 15/02/2011





Caro lettore, le cose che mi hai scritto meritano qualche riflessione, sia da parte mia, sia - se lo riterrai - da parte tua.
In sostanza, non hai svolto alcuna argomentazione a sostegno di quel che affermi: ti sei limitato ad una appassionata, viscerale difesa del presidente del Consiglio, definendo senz’altro “calunnie” i precisi e circostanziati capi d’imputazione che gli addebitano le autorità inquirenti milanesi; e ad una altrettanto implacabile, se pure stringata, esecrazione nei miei confronti.
Partiamo da quest’ultimo punto, che è, in realtà, il meno importante, per poi soffermarci sulla questione principale.
Dici che mi leggevi volentieri, ma che, ora che mi sono accodato alla propaganda antiberulsconiana della sinistra, la stima che avevi della mia intelligenza è scesa parecchio.
Si vede che mi leggevi da poco: se no, sapresti che, da anni, la mia posizione circa il nostro presidente del Consiglio è sempre stata una ed una sola e non è cambiata di una virgola: quella di una critica totale, sia per il gigantesco conflitto d’interessi ch’egli si tira dietro, impensabile in qualunque Paese civile; sia per le origini piduiste del personaggio, vale a dire il peggio della Prima Repubblica; sia, infine, per la sua assoluta indifferenza al bene comune e la sua esclusiva attenzione ai propri interessi privati.
A ciò aggiungo l’estrema volgarità non solo del suo modo di fare politica, ma anche di fare televisione: oso anzi affermare che egli ha dato un contributo decisivo, molto prima di entrare in politica, al decadimento morale e all’involgarimento dell’Italiano medio, grazie alla inqualificabile televisione spazzatura con cui le sue reti ci hanno inondato per decenni (poi supinamente imitate dalla Rai, dalla quale, avendo tutta un’altra storia rispetto alle reti commerciali, sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di diverso).
Oltre a ciò, sono fermamente convinto che, nella vita, così come nella cultura, nello spettacolo, nella scienza, nell’economia, tutto si lega: e che, pertanto, non è lecito mai venire a patti, a compromessi, con ciò che è disonesto, brutto, volgare, magari in nome di un supposto bene d’ordine superiore, senza con ciò sporcare, degradare, insozzare se stessi e i propri ideali.
In breve, il berulsconismo mi è sempre sembrato, fin dall’inizio, la quintessenza dei peggiori difetti del carattere nazionale: la cialtroneria, la furberia da quattro soldi, la sopraffazione del più debole, la vile timidezza e l’acquiescenza davanti al più forte, il disprezzo delle regole, il credere che, coi soldi, tutto si possa fare, tutto si possa aggiustare, e qualunque cosa, anche le coscienze, si possa comperare.
Io non so quale dei miei scritti abbia potuto darti anche solo minimamente l’impressione che le mie idee in proposito potessero essere diverse; ti sfido, anzi, a trovare, in una sola riga, in una sola pagina delle centinaia e centinaia di articoli che ho scritto e pubblicato, sui temi più varî, una diversa filosofia, una diversa impostazione del rapporto che necessariamente deve esistere tra etica e politica, con l’indiscusso primato della prima sulla seconda, checché ne dica messer Machiavelli, segretario fiorentino: uno dei tanti cattivi maestri del carattere nazionale.
Nulla, assolutamente nulla, può mai essere sembrato tolleranza o connivenza con i comportamenti arroganti, disonesti e penalmente illeciti dei membri della nostra classe dirigente, nessuno escluso, di destra o di sinistra che essi si qualifichino.
In tutti i miei scritti ho sempre parlato dell’importanza di conoscere se stessi, di imparare a guardarsi dentro, di maturare una maggiore consapevolezza spirituale: esattamente il contrario di ciò che fanno tutti coloro i quali, nascondendosi dietro le maschere del denaro e del potere, cercano un surrogato illusorio alla propria intima insufficienza, al proprio vuoto interiore, allo squallido deserto dei propri valori etici.
Tuttavia permettimi, caro lettore, di fare una ipotesi: tu hai potuto pensare che io, sul caso in questione, la pensassi in altro modo, perché hai colto qualche cosa che ti sembrava familiare in termini ideologici; qualcosa che ti pareva, in certo qual modo, in consonanza con le tue convinzioni politiche.
Ebbene, hai capito male: prima di tutto, perché le categorie classiche della “destra” e della “sinistra” sono diventate obsolete e, se già prima erano fonte di contrapposizione pregiudiziale e distruttiva tra le persone, ora sono anche fuorvianti sul piano della stessa ideologia; in secondo luogo, perché ritengo che l’etica venga prima di qualunque senso di appartenenza e mi sono persuaso da un pezzo che le brave persone sono brave persone e basta, siano esse pure di destra o di sinistra; mentre i cialtroni sono e rimangono soltanto dei cialtroni, anche se sfoggiano tessere di questo o quel partito e se sventolano queste o quelle altre bandiere nei comizi e nelle manifestazioni.
Più in generale, la tua lettera mi sembra un perfetto esempio dell’atteggiamento che tanti Italiani hanno nei confronti di scrittori o filosofi: è un atteggiamento che ho verificato spesso anche da parete del pubblico, nel corso di frequenti conferenze e seminari culturali. In breve, si tratta di questo: se lo scrittore o il conferenziere scrive o dice cose che concordano con le proprie convinzioni, lo si loda e lo si applaude; se scrive o dice cose diverse, lo si stronca e lo si insulta, MA SENZA MAI ENTRARE NEL MERITO DEI RAGIONAMENTI.
Molte persone non leggono libro o articoli e non si recano ad ascoltare delle conferenze, se non per trovarvi la conferma del proprio solipsismo: non per aprirsi a nuove ipotesi, a nuove possibilità, a nuove prospettive; non per lasciarsi mettere in crisi, ma una crisi salutare, da domande scomode e alle quali non sanno rispondere.
Non vogliono essere turbati e disturbati nelle loro riposanti certezze; peggio: non vogliono ragionare. Nel caso specifico: non vogliono riflettere se certi comportamenti e certe azioni di un determinato personaggio politico siano leciti o illeciti, se siano morali o immorali; vogliono ridurre tutto a un referendum pro o contro di lui. Vogliono solo amarlo o detestarlo visceralmente, fideisticamente:vogliono un credo, non un pensiero.
È la strategia ora adottata, in soccorso del presidente del Consiglio, da Giuliano Ferrara: semplificare e generalizzare; non prendersi il disturbo di andare a vedere se questa o quella cosa è vera, se è accettabile oppure no: ma pronunciarsi semplicemente pro o contro di lui, sorvolando sia sull’aspetto giudiziario, sia sull’aspetto etico. Ma così non si aiutano le persone a  crescere, a pensare con la loro testa: si alleva un gregge di pecore o una mandria di buoi.
Dietro tanti appelli al popolo, dietro tanta retorica sul popolo che è il vero ed unico giudice degli uomini politici, insomma dietro tutta questa ostentazione di populismo a buon mercato, c’è un profondo disprezzo nei confronti del popolo, ridotto al rango di strumento inconsapevole di interessi arroganti e inconfessabili e manipolato sfacciatamente attraverso una disinformazione sistematica e prezzolata.
Del resto, cosa possono saperne del “popolo” questi politici ricchissimi, questi strapagati manutengoli del potere, che non hanno la minima idea di come vivano le persone comuni, e che cosa siano l’angoscia della disoccupazione, la difficoltà di arrivare alla fine del mese con le bollette ancora da pagare e il frigorifero vuoto? Cosa ne sanno loro, che per una notte di sesso sono pronti a pagare somme che un onesto lavoratore non riesce a vedere dopo mesi e mesi di fatica in fabbrica, in ufficio, in bottega, nei campi, nella scuola?
Siamo così venuti a parlare dell’altra e più importante questione sollevata dalla tua lettera, caro lettore:  la difesa pregiudiziale, emotiva, scomposta, di un personaggio che non ha mai fatto nulla per meritare tanta stima e tanta passione, se non lusingare gli aspetti meno belli del carattere nazionale: l’individualismo proprietario, fatto di egoismo, di chiusura, di edonismo spicciolo, di disprezzo delle leggi, di prevaricazione cialtrona.
Caro lettore, davvero ti sembra normale che una Nicole Minetti vada ad occupare una  poltrona nel Consiglio regionale della Lombardia, a spese del contribuente?
Sulla base di quali meriti?
E chi ce l’ha messa?
Chi l’ha accettata, tollerata, e chi continua a difenderla; e perché?
Sono cose che, in qualunque Paese serio, non sarebbero concepibili se non, al massimo, al livello di barzelletta, di puro esercizio della fantasia.
Da noi, sono realtà quotidiana, ormai diffusa a tutti i livelli: e chi ha creato questo andazzo, chi ha reso abituale questo modo di fare politica?
Sono queste pratiche, è questo spettacolo desolante, che stanno facendo dell’Italia un Paese in declino, nel quale la speranza sta morendo, soprattutto nei giovani.
Se i posti di maggiore responsabilità vanno a personaggi di quel genere, in base a quelle logiche e a quelle pratiche, non c’è da stupirsi che i giovani di talento, dopo aver atteso invano, per anni, una decente occasione professionale o amministrativa, finiscano per gettare la spugna e per rassegnarsi; e una società in cui i giovani si rassegnano, semplicemente non ha futuro.
Ecco: la morte della speranza, beninteso per le persone oneste e meritevoli (non certo per i mariuoli e i bricconi), è il peccato dal quale i nostri uomini politici non potranno mai trovare perdono, né comprensione, né scusanti di alcun genere. Avevano il potere, e ne hanno fatto un uso vergognosamente privatistico: e tanto basta a escluderli per sempre, non solo dalla fiducia, ma anche dalla stima dei cittadini perbene.
Nulla li può giustificare, nulla può attenuare la gravità delle loro responsabilità: specialmente di questi tempi, con una crisi economica così devastante e la perdita quotidiana di centinaia e centinaia di posti di lavoro. Lo spettacolo della loro disonestà, della loro sfrontatezza, della loro lussuria è uno schiaffo in pieno viso a tutti quei cittadini onesti e laboriosi che fanno sempre più fatica a sbarcare il lunario.
Così, mentre nei paesi seri gli uomini politici che vanno al governo prendono provvedimenti per limitare il disagio sociale, per creare impiego e per ridare speranza ai giovani e ai meno giovani, da noi un presidente del Consiglio usa il suo immenso potere mediatico per invitare le donne a cercarsi un marito ricco, in modo da risolvere i propri problemi economici…
Che squallore morale e, prima ancora, che squallore culturale, ci sono dietro frasi del genere. Non è moralismo, ma pura e semplice dignità e rispetto di se stessi, reagire a simili comportamenti con una sola frase, ma ripetuta fino alle dimissioni dell’interessato: «Vergogna: non sei degno di ricoprire quella carica!»
Caro lettore, anzi, ex lettore, spero di essere stato abbastanza chiaro, stavolta, senza che sia rimasto adito a dubbi di sorta.
Ma c’è un’ultima cosa che ti vorrei dire, una ulteriore ragione per essere quanto mai decisi nel pretendere che il satrapo se ne vada al più presto: ed è che, oltre al disonore e al ridicolo che sta gettando sull’Italia agli occhi del resto del mondo, egli non si fa scrupolo, né mai se lo è fatto, di alimentare irresponsabilmente un clima di odio fra i cittadini, sino quasi ed evocare i fantasmi della guerra civile, pur di restare aggrappato a quel potere che gli consente di scansare platealmente tutte le sue numerose pendenze giudiziarie.
Lo scontro permanente fra i poteri dello Stato, da lui alimentato per spostare l’attenzione dalla reale natura delle accuse che pendono su di lui (e non certo solo per il “caso Ruby”); il disprezzo per il Parlamento, nel quale si reca raramente e solo per insultare e provocare le opposizioni; la campagna diffamatoria contro i giudici, iniziata fin dal 1994, con la sua prima vittoria elettorale; il bavaglio e la censura nei confronti della pubblica informazione; il suo estremo fastidio per le critiche, la sua insofferenza per le manifestazioni popolari, insomma la complessiva inadeguatezza del suo atteggiamento verso la normale dialettica di una società democratica: tutto questo ha creato un clima di latente guerra civile, che è estremamente pericoloso.
Perfino il linguaggio da lui adoperato, nonché dalla stampa di cui è proprietario e da quella che gli è asservita: un linguaggio truculento e manicheo, caratterizzato da parole come “traditori” per poter demonizzare un nemico, quale che sia (avversario è un concetto troppo raffinato e cavalleresco  per la sua rozzezza): perfino il linguaggio dimostra che costui, per reggersi al potere, ha bisogno di questo clima avvelenato, ha bisogno di nemici da insultare: e che, se non ci fossero, farebbe in modo di inventarseli.