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Operazione VEGA: l’appoggio incondizionato dell’AMI

di Giancarlo Chetoni - 24/02/2011


Venerdì 10 dicembre si è conclusa l’esercitazione Vega 2010 che ha visto la partecipazione di assetti italiani, israeliani e della Nato. La seconda fase, caratterizzata da missioni di tipo “air to round” ha visto impegnati i caccia bombardieri Tornado ECR di Piacenza e IDS (interdiction strike) del VI stormo di Ghedi. In Israele le missioni dei velivoli italiani consistevano nell’eliminare o eludere con i Tornado Ecr lo sbarramento difensivo costituito dalle difese contraeree e dai caccia in volo e permettere ai Tornado Ids di arrivare sull’obbiettivo con lo sgancio di armamento di precisione.
 
Ovda è una località a nord di Eilat a 40 miglia dal confine con
l’Egitto. Alla periferia della città, in pieno deserto, c’è un aerostazione per uso passeggeri e, decentrate, infrastrutture, scelther corazzati, radar e piste di volo da dove decollano e atterrano cacciabombardieri con la stella di Davide F15 e F16.
 
Cosa ci facevano i (nostri) Tornado Panavia con le insegne della Nato in “Israele a meno di 2 mesi dalla defenestrazione di Mubarak”?
 
Si esercitavano alla guerra “preventiva” contro il Paese delle Piramidi.
 
C’è in vigore un memorandum di intesa tra la repubblica italiana e lo stato sionista in materia di cooperazione militare firmato a Parigi dal ministro della Difesa Martino e dal Generale Shaoul Mofaz il 16 giugno 2003, rinnovato nel 2008. In forza di questo trattato non sono previste missioni dell’Aeronautica Militare Italiana in Israele. Il PdF parla chiaro.
 
L’intesa tra i contraenti in uno dei dieci articoli contempla altresì l’inserimento di clausole segrete. Facile capire che ce ne devono essere state.
Perchè fu scelta la capitale transalpina per firmare quel patto?
 
Per marcare la differenza con la politica “araba” del presidente Chirac eletto per 2 mandati consecutivi alla guida della Francia, dal maggio ‘95 al maggio 2007. Chirac farà curare il leder
Dell’ANP Arafat all’ospedale militare di Percy e gli farà tributare, alla morte, nel novembre del 2004, solenni funerali militari.
 
I governi del BelPaese, all’opposto, hanno sempre avuto un debole per la “sicurezza di Israele” sfregandosene della Palestina. Che non sia quella di Abu Mazen.
 
Non dimentichiamoci di un particolare di per sé ampiamente significativo. Sia gli esecutivi Berlusconi che Prodi hanno sempre avuto ministri degli Esteri e della Difesa o molto, ma molto vicini, a Gerusalemme o adeguatamente solidali.
 
La collocazione geografica dell’ “air base” Ovda e la data scelta congiuntamente da La Russa e Barak sono state intenzionali in previsione di un “cambio della guardia” in Egitto?
 
La risposta è sì.
 
Non è affatto vero, come si è sostenuto, che la rivolta partita da piazza Tahir abbi colto di sorpresa l’intera amministrazione Usa, la Nato e l’Europa.
 
Chi crede che le manifestazioni popolari siano state la spinta decisiva del “ch’ange” nella Terra del Nilo è semplicemente fuori strada. E’ da tempo che il seme di un “golpe” cova nel ventre dell’Egitto.
 
La frattura generazionale nelle strutture centrali e periferiche delle forze armate egiziane mandava da tempo segnali preoccupanti per l’Occidente.
 
Il Maresciallo Tantawi, liquidando Mubarak e il suo intero apparato di potere, prendendo le redini del “nuovo Egitto” ha semplicemente evitato, almeno per ora, la totale emarginazione delle gerarchie militari di alto grado che hanno assecondato per oltre 30 anni la politica della “vacca che ride”.
 
Una politica, è bene ricordarlo, che ha trasformato Esercito, Marina, Aviazione e Difesa Aerea in strumenti da parata militare.
 
Abbiamo sfogliato l’Almanacco dell’Egitto pagina per pagina. Ne siamo rimasti sinceramente sorpresi, amareggiati. Il Paese del Nilo come forza combattente non esiste più al di là dei numeri e delle dotazioni.
 
Niente che possa davvero impensierire al momento e per i prossimi 10 anni “Israele” ammesso che si trovi un solido ancoraggio con attori internazionali nel settore degli armamenti come Russia e Cina e i finanziamenti necessari per attuare una completa ristrutturazione militare e ancor prima le risorse finanziarie necessarie per dare avvio nel Paese a un nuovo indirizzo economico e sociale. Uscire da decine di anni di “dipendenza” dall’Occidente è un affare da far tremare i polsi.
 
A livello di “comunità internazionale” si farà di tutto per mantenere l’economia dell’Egitto in stato di costante precarietà senza farlo precipitare nel caos.
 
Svilupperemo questi argomenti in altre occasioni.
 
Torniamo a Eilat.
 
Per la “missione” a Ovda La Russa ha lavorato da sguattero di Usa e Nato per mandare oltre il canale di Suez precisi segnali finalizzati al rispetto e alla continuità degli accordi di pace firmati nel ‘76 da Begin e Sadat e al mantenimento della “sicurezza” per Gerusalemme.
 
Non era mai successo che l’Ami, come rappresentante della Nato, partecipasse a un azione simulata di guerra nello spazio aereo di Israele intenzionalmente diretta a intimidire, a minacciare, un Paese del Medio Oriente.
 
L’uso di vettori per la guerra elettronica (Ecr) e da attacco al suolo (Ids) decollati da una base della Hell Ha Avir a un tiro di sputo dalla linea C del Sinai egiziano non può non assumere un preciso significato politico e militare nei rapporti che, prevedibilmente, intercorreranno tra Roma e il Cairo dopo l’uscita di scena di Mubarak e più estesamente tra l’Italia e i Paesi dell’intera Area.
 
Il decollo dei Tornado da una striscia di terra che va dal Golfo di Aqaba al Mediterraneo, e segna per 260 km il confine tra i 2 Stati non potrà non essere interpretato da ampi settori di opinione pubblica e dalle organizzazioni politiche egiziane che escono da protagonista dalla rivolta del 25 gennaio come un gesto ostile.
 
A tempi medio-lunghi ne potrebbero risentire pesantemente anche i rapporti commerciali tra le due sponde del Mediterraneo. L’intera costa mediterranea del Paese del Nilo potrebbe trasformarsi, come effetto indesiderato, in punti di raccolta e di imbarco per l’esodo sempre più massiccio che dal Magreb
All’Africa subsahariana si riversa ormai da anni sulle coste della Repubblica delle Banane.
 
Israele non ha mai restituito all’Egitto dal ‘67 nonostante gli “accordi di pace”, perfezionati nel ‘78, prima del ritiro di Gerusalemme dal resto della penisola araba nell’ ‘82 la fascia D del Sinai.
 
In questo corridoio l’Idf mantiene pattuglie di perlustrazione, blindate, per un totale di 400 militari.
 
Osserviamo nel frattempo come tv e giornali nel Bel Paese si stiano dando un gran daffare in questi giorni per addolcire la liquidazione coatta di Mubarak, di Soleyman e dell’intero governo del “rais” cavalcando la barzelletta della caduta di nuovo muro di Berlino. Sono arrivati al punto di mandare sui telegiornali delle vecchie riprese del maresciallo Tantawi a colloquio con Barak quando comandava il sarcofago ambulante del Cairo per mettere al sicuro, in cassaforte, la continuità, anche in un prossimo futuro, degli “accordi” di Camp David.