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Cambiare tutto per non cambiare niente ?

di Pino Nicotri - 28/02/2011

Fonte: pinonicotri.it




L’Occidente e il mondo arabo: cambiare tutto per non cambiare niente? Per la Libia abbiamo parlato subito di “genocidio”, “interi quartieri civili bombardati” e di “fosse comuni”, ma a sproposito. Guarda caso, gli stessi termini, peraltro meno inappropriati, il cui uso è stato accuratamente evitato per la mattanza israeliana a Gaza

Ciò che accade in Libia è senza dubbio grave e apre spiragli verso un futuro migliore, sia per la Libia che di conseguenza per il resto del mondo arabo e non solo. Ma ci sono fatti che denotano con chiarezza mire occidentali perché “tutto cambi senza cambiare niente”, senza cioè che cambi in fatto di petrolio. Fa pensare al solito gattopardismo anche quanto accade nelle ultime ore in Tunisia e in Egitto. La rivolta popolare pareva avesse scacciato definitivamente gli ostacoli a una democrazia degna di questo nome. Ora invece pare che il potere preesistente non voglia uscire di scena dopo essersi rifatto una verginità cacciando i rispettivi capi di Stato e di governo, supportati docilmente per decenni, quando ormai non erano più difendibili. Ma veniamo alla Libia.
I mass media occidentali, e italiani in particolare, hanno cominciato a parlare immediatamente di “genocidio” quando le vittime della reazione di Gheddafy erano ancora solo decine o centinaia e venivano comunque indicate dai nostri giornali in “mille morti”. Mille morti su una popolazione di oltre sei milioni di abitanti chiaramente NON sono un genocidio. NON sarebbe un genocidio neppure se i morti fossero diecimila, come per prima hanno ipotizzato – ma NON affermato – le emittenti arabe Al Arabiya e Al Jazeera, di colpo prese per oro colato quando fino al giorno prima le deridevamo o guardavamo con sospetto. La nostra interessata ipocrisia, e annessa sporcizia morale, risulta in tutta la sua gravità se ci si ricorda dell’accanimento con in quale abbiamo rifiutato il termine “genocidio” quando l’esercito israeliano ha invaso Gaza provocando una mattanza di (altri) più o meno 1.500 morti (oltre 400 dei quali bambini!) su un totale di appena 1,5 milioni di abitanti. Un termine, “genocidio”, che ci rifiutiamo con accanimento di ammettere anche quando si contano le vittime totali palestinesi della repressione israeliana, che ormai ammontano a svariate migliaia di esseri umani. La nostra interessata ipocrisia, e annessa sporcizia morale, arriva al punto di rifiutarci anche di parlare di “pulizia etnica” per definire il continuo esproprio – cioè furto – di terra palestinese per far largo ai coloni, avanzo velenoso del colonialismo sconfitto dalla Storia. Ci rifiutiamo cioè di chiamare pulizia etnica quella che è una pulizia etnica.

Certi termini li usiamo solo se c’è da dare addosso agli “altri”, perciò ce ne riempiamo la bocca per il Kosovo, il Tibet, ecc., qualche volta magari per gli avanzi degli indios amazonici… Alla stessa stregua la Nato e gli Usa si muovono militarmente, anche imponendo le “no fly zone”, solo ed esclusivamente quando NON si tratta di disturbare gli israeliani, i loro massacri di palestinesi e la annessa pulizia etnica. Abbiamo perso il conto, e la memoria, delle manifestazioni pacifiche di palestinesi stroncate mietendo vittime tra di loro in numero tale che se si trattasse di Parigi, Londra o New York i responsabili militari finirebbero di corsa in galera. In Israele invece restano indisturbati, o diventano ministri, capi di stato maggiore e anche di governo. Da NON disturbare con critiche e tanto meno con accuse, pena la lapidazione in piazza al grido di “antisemita!”.

Non tutti hanno il coraggio della signota Merkel, che al telefono ha risposto per le rime a Netanyahu accusandolo chiaro e tondo di “non fare nulla per il processo di pace”, lui che aveva avuto l’ardire di rimproverare la Merkel perché la Germania all’Onu aveva – giustamente, con altri Stati, bloccati dalla solita complicità Usa – chiesto la fine dei soprusi colonialisti israeliani ai danni dei palestinesi. Strano – o no? – come la notizia della sfuriata della Merkel – che alle incredibili accuse di Netanyahu per il voto all’Onu ha reagito scandendo “Come osa! Siete voi che ci avete deluso. Non avete fatto il minimo sforzo per fare avanzare la pace!” – abbia dato notizia, se non m’è sfuggito qualcosa, solo il Corriere della Sera. Che il 26 febbraio l’ha comunque prudentemente relegata in un riquadrino in fondo a pagina 5. La signora Merkel pare sia l’unica ad avere letto suo giornali quanto rivelato dai “palestinian papers”, vale a dire che finora Israele grazie all’appoggio Usa ha solo fatto finta di volere la pace, puntando in realtà a disfarsi dei palestinesi e degli arabi israeliani, quattro milioni di persone, “trasferendoli” magari perfino in Amazonia, cioè dall’altra parte del mondo.

L’uso immediato, fulmineo e a sproposito della parola “genocidio” nei fatti libici denota la volontà, nostra e di alcuni Paesi arabi, di drammatizzare sin da subito quei fatti. Anche i “bombardamenti di interi quartieri di Tripoli”, con annessa cifra di “10.000 morti e 50 mila feriti”, si è rivelata una balla. Il giornalista inviato Vincenzo Nigro scrive chiaro e tondo a pagina 3 di Repubblica di sabato 26 febbraio quanto segue: “Non è vero che i cacciabomardieri abbiano colpito indiscriminatamente i quartieri di Fashlun, Siahia, Gerganesh”, “non ci sono i segni dei bombardamenti”. Sempre Nigro nella stessa pagina scrive che “inventando e ingigantendo quello che è successo per davvero, i network arabi hanno accelerato la decomposizione del regime”. Ma la drammatizzazione serve per legittimare il nostro intervento militare “umanitario”. Non a caso però l’Occidente si guarda bene dal mandare le truppe di pace “umanitarie” nel posto dove da 60 anni è più urgente e utile mandarle, vale a dire in Israele-Palestina per separare i contendenti prima e poi per evitare che uno dei due si veda rubare ormai quasi tutta la terra e la stessa prospettiva della dignità nazionale e di uno Stato, nonostante quanto deliberato dall’Onu nell’ormai lontano 1948. Da notare che se al posto della solita retorica del menga l’Occidente avesse mandato un esercito per separare i contendenti e imporre loro una pace equa sarebbero state risparmiate decine di migliaia di vite, comprese quelle di alcune migliaia di ebrei israeliani.

Riguardo la Libia tutti i giornali hanno parlato di “fosse comuni” per seppellire “le migliaia di vittime”. Ma le foto a corredo della notizia mostrano fosse che NON sono affatto comuni, ma chiaramente singole e neppure improvvisate: si vede bene che hanno le pareti di cemento. In varie foto inoltre si vede bene che si tratta di un cimitero con tombe già in uso, e quindi le fosse vuote sono l’equivalente di quelle dei nostri cimiteri che preparano man mano le fosse per i nuovi inevitabili arrivi decisi da madre natura o da incidenti vari. Un’altra cosa strana è che si vede chiaramente il mare a pochi metri dalle fosse vuote, scavate nella sabbia. Chi costruisce cimiteri nella sabbia in riva al mare con la certezza che l’alta marea, il mare agitato e le tempeste spazzino via tombe, bare e defunti? Mistero. C’è qualcosa che non quadra.

A questo punto c’è da chiederci perché si voglia intervenire militarmente drammatizzando ben oltre la realtà quanto avviene in Libia, fermo restando il fatto che la caduta di Gheddafy, e annessa ingombrante famiglia, è certo una buona cosa se sostituita da una democrazia degna di un tale nome. La risposta alla domanda purtroppo può essere molto semplice e banale: petrolio. Lo stesso petrolio per il quale la Casa Bianca, abitata allora da Bush padre, tese un tranello a Saddam spingendolo ad invadere il Kuwait in modo da poter intervenire militarmente contro l’Iraq e a favore del medioevo kuwaitiano. Vale a dire, a favore del nostro poter disporre del loro petrolio. Disponibilità aumentata dall’invasione dell’Iraq voluta da Bush figlio e ottenuta mentendo agli americani e al mondo. Se Parigi val bene una messa, il petrolio val bene qualche altra guerra e massacro. Tanto non si tratta di massacri di americani o di europei…
Non so se si punti alla frantumazione della Libia per poterci assicurare le zone più ricche di petrolio. So però che anche i problemi libici derivano dall’essere la Libia uno Stato inventato dall’Europa, con i confini tracciati come al solito a Parigi, Londra e magari Roma, usando la riga e facendo riferimento a meridiani e paralleli anziché alla realtà geografica ed etnica locale. Lo stesso metodo usato per l’Iraq e molti altri Stati nati dal collasso del nostro colonialismo, anche loro con dentro popoli, etnie e tribù tenute assieme con la forza o con la corruzione, ma certo non unite dal senso di una comune appartenenza e dello Stato. Lo ripeto per l’ennesima volta: sono due secoli, dall’invasione dell’Egitto compiuta da Napoleone, che calpestiamo (anche) il Medio Oriente e gli imponiamo – o nei migliori dei casi tolleriamo – capi e politiche che fanno comodo a noi, ma non ai suoi abitanti.

Riguardo la Libia, il fatto che a parlare della situazione in tv e in conferenze stampa con la inviati esteri e a proporre accordi con i ribelli sia un figlio di Gheddafy, unito al fatto che i suoi vari figli possiedono grosse fette dell’economia libica, dovrebbe farci riflettere. Si tratta indubbiamente di comportamenti che confermano come al potere in Libia ci sia non un governo legittimo legittimamente espresso, ma un gruppo familiare insediatosi al seguito del suo patriarca. Ma confermano anche che il tentativo del nostro Umberto Bossi di creare la sua bella dinastia padana, indicando nei suoi figli i “continuatori della lotta per la libertà” e installando intanto nella Regione Lombardia l’insulso figlio Renzo, è un tentativo che va respinto perché pericoloso. Idem per quanto riguarda il tentativo del Chiavaliere e/o dei suoi servi di fondare una dinastia berluscona puntando non si sa ancora bene se sul figlio Piersilvio o sulla figlia Marina.

Ma che succede in Libia? E nel mondo arabo? Come andrà a finire? A giudicare dalle proteste e sollevazioni a catena, pare proprio che stia finendo il post colonialismo chiamato anche imperialismo, vale a dire la nostra capacità di installare al potere nelle terre ricche di petrolio e altre materie prime per noi strategiche governi più o meno fantocci, ma comunque in grado di garantirci il predominio economico e l’influenza politica decisiva. I Paesi arabi e quelli del cosiddetto Terzo Mondo hanno cominciato a volersi emancipare dal nostro abbraccio soffocante e a voler camminare sulle proprie gambe fin dai primi accordi tra loro, da quello di vari decenni or sono tra i “Paesi non allineati”, cioè né con l’Occidente capitalista né con l’Est comunista, a quello della Repubblica Araba Unita. Tutti tentativi non andati a buon fine. Anche perché quando in quei Paesi nasceva una democrazia veniva schiacciata nel sangue, come è successo in Iran, Cile, Congo e per certi versi anche in Indonesia,  se non garantiva l’usuale asservimento nei confronti in particolare degli Usa. Il petrolio per noi ha sempre avuto più valore del sangue delle popolazioni altrui.

Ora pare che anche quell’epoca stia finendo, ma resiste ben radicata nei posti peggiori in fatto di regimi impresentabili, come l’Arabia Saudita, il Kuwait, gli Emirati Arabi Uniti. Si tratta di territori nel cui sottosuolo giace gran parte delle riserve mondiali di petrolio. Che, ripeto, per noi vale molto di più del sangue e della vita delle popolazioni che ci vivono sopra. Non condivido l’entusiasmo di chi vede già la democrazia installata in Tunisia, Egitto e tra poco anche in Libia. Non solo e non tanto per il gattopardismo già in moto, ma anche perché non mi pare esista quel tessuto intermedio fatto di quadri dirigenti capaci di gestirla per davvero una democrazia evitando che sia solo una farsa come in Afganistan e Iraq. L’entusiasmo giovanile, nutrito a quanto pare dalle infinite vie di Internet, non basta.

Certo, la tempesta che scuote quei Paesi è salutare, anche se c’è purtroppo da contare i morti. Se le democrazie prendessero davvero il posto dei regimi servili sarebbe più facile anche porre fine alla tragedia israelo-palestinese, con un accordo di pace credibile con Israele che garantisca la vita di questo Stato e la fine del ricorso alle armi, terrorismo compreso. Stando così le cose appare particolarmente miserabile l’allarmismo seminato dai soliti untori che sanno vedere nel mondo islamico, un miliardo e mezzo di persone, solo terroristi e masse pronte a saltarci alla gola nonostante gli islamisti che seminano il terrore siano una infima minoranza. Allarmismo evidentemente frutto della nostra cattiva coscienza e coda di paglia: sappiamo bene che il male da noi fatto anche nelle  terre islamiche potrebbe giustificare il restituirci la pariglia. Allarmismo portato avanti anche dal giornalismo pessimo, cialtrone e guerrafondaio come quello che urla e si strappa i capelli dalle prime pagine di quotidiani come Libero. Il cui nome esatto e completo dovrebbe essere Libero Di Dire Cazzate. Se non ci liberiamo dei paraocchi e delle tossine, non sapremo cogliere le grandi opportunità offerte dal vento che soffia nel mondo arabo per costruire un rapporto tra noi e loro più giusto e duraturo. Loro si stanno muovendo, specie i giovani, verso di noi. Noi però restiamo fermi. Ovvio che se non facciamo passi verso di loro sarà anche questa una occasione sprecata.

Purtroppo Obama ha tradito la promessa fatta al Cairo un anno fa e che tanto aveva fatto sperare non solo il mondo arabo: “Costruiremo un rapporto più giusto con il mondo arabo e islamico”. Che l’abbia tradita lo dismostrano in modo clamoroso i “palestinian papers”, ma anche la recente vergognosa decisione, e annessa ipocritissima e ingiustificabile giustificazione,  di porre il veto alla richiesta avanzata all’Onu da molti Stati di bloccare il colonialismo israeliano. L’Europa dovrebbe rendersi conto che tocca quindi a lei rimboccarsi le maniche e cambiare strada. Purtroppo però non pare che fino ad ora lo si sia capito.