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Il Gattopardo arabo: cambiare tutto per salvare il petrolio

di Robert Fisk - 07/03/2011




Ho il triste sospetto che il destino di questi Paesi si deciderà ancora nei luoghi dell’oro nero e della corruzione

Il terremoto che ha sconvolto il Medio Oriente nelle ultime cinque settimane è l’esperienza più tumultuosa, sconvolgente e sorprendente della storia della regione dalla caduta dell’Impero Ottomano. Una volta tanto l’espressione “shock and awe” coniata per l’Iraq dagli alti comandi americani, calza a pennello.
I docili, supini, passivi, indolenti arabi si sono trasformati in combattenti per la libertà e la dignità invadendo un territorio che noi occidentali abbiamo sempre ritenuto nostra esclusiva riserva di caccia, nostro monopolio. Uno dopo l’altro i satrapi stanno crollando e le popolazioni che, pagati da noi, dovevano controllare stanno diventando artefici della loro storia. Il nostro diritto di interferire con le loro vicende (cosa che ovviamente continuiamo a fare) è scemato per sempre.
Le faglie tettoniche continuano a muoversi con conseguenze tragiche, imprevedibili e talvolta persino divertenti. Innumerevoli sono i potentati arabi che hanno sempre sostenuto di volere la democrazia in Medio Oriente. Re Bashar in Siria ha deciso di aumentare gli stipendi ai dipendenti pubblici. Re Bouteflika in Algeria ha improvvisamente revocato lo stato di emergenza. Re Hamad del Bahrain ha aperto le porte delle prigioni. Re Bashir del Sudan ha annunciato che non si presenterà alle prossime presidenziali. Re Abdullah di Giordania sta vagliando l’ipotesi di una monarchia costituzionale. E Al Qaeda se ne sta in silenzio. Chi avrebbe mai potuto pensare che il nostro vecchio barbuto che vive in una grotta sarebbe stato colpito all’improvviso, uscendo dal suo antro, dal bagliore della libertà e non dalle tenebre manichee cui era abituato dopo innumerevoli video lugubri trasmessi dalle televisioni di tutto il mondo?
In tutto il mondo musulmano ci sono stati numerosi martiri, ma nemmeno una bandiera islamista. I giovani e le giovani che hanno decretato la fine dei dittatori erano per lo più musulmani, ma erano animati dalla voglia di vivere non dal desiderio di morte. Sono credenti, ma a rovesciare Mubarak ci hanno pensato loro senza aspettare Bin Laden e i suoi proclami che ormai sapevano di stantio.
Ma stiamo attenti. Non è finita. Oggi proviamo una sensazione di euforia, ma ci saranno altri tuoni e altri fulmini. Il film horror di Gheddafi non è ancora terminato e la sua trama è il solito terribile mix di sangue e farsa cui siamo abituati in Medio Oriente. E il suo declino, inutile dirlo, è un segnale sinistro per i nostri patetici, meschini potentati. Berlusconi che per molti versi è già la spettrale parodia di Gheddafi Sarkozy e Blair si avviano a diventare più squallidi di quanto siano mai arrivati a pensare. I loro occhi hanno benedetto Gheddafi, l’assassino.
Ora è tutto un invitare l’Egitto a seguire il “modello turco”, vale a dire un gradevole cocktail di democrazia e di Islam sotto stretto, attento controllo. Ma se questo auspicio si avverasse, la conseguenza inevitabile sarebbe un governo militare, non amato e non democratico per decenni a venire. Come ha sottolineato l’avvocato Ali Ezzatyar: «I capi militari egiziani hanno parlato di minacce al modo di vivere egiziano facendo riferimento alla Fratellanza Musulmana. Sembra il ripetersi della storia turca». L’esercito turco per ben quattro volte nella storia della Turchia moderna ha invaso il campo della politica per far da pacere. E chi se non l’esercito egiziano sponsor di Nasser, sostenitore di Sadat si è liberato dell’ex generale Mubarak?
E la democrazia quella vera, nella versione che noi occidentali abbiamo finora così amorevolmente coltivato per noi nel mondo arabo non avrà vita facile né felice considerato il modo in cui gli israeliani trattano i palestinesi e considerato il furto dei territori della Cisgiordania. Dinanzi alla prospettiva di non essere più “la sola democrazia del Medio Oriente”, Israele ha disperatamente sostenuto con l’appoggio della monarchia saudita che era necessario tenersi la tirannia di Mubarak. A Washington, Israele ha cercato di fare leva sullo spettro della Fratellanza Musulmana e ha messo in azione la solita lobby della paura per spingere una volta ancora Obama e Hillary Clinton a prendere la decisione sbagliata. Al cospetto di quanti manifestavano per la democrazia, i responsabili di Washington hanno sostenuto gli oppressori fin quando hanno capito che era troppo tardi.
Desiderano una “transizione ordinata”. E basta la parola “ordine” per capire di cosa stiano parlando. Solo il giornalista israeliano Gideon Levy ha capito al volo: «Dovremmo dire “Mabrouk Misr!”!», ha detto. E Mabrouk Misr significa: congratulazioni Egitto!
Dedichiamo troppa poca attenzione a questa banda di principi autocrati e ladri. Li riteniamo arcaici, analfabeti quando si tratta di politica intesa nel senso moderno del termine, ricchi (sì, “più di quanto potesse sognare Creso”) e ci siamo messi a ridere quando re Abdullah si offrì di aiutare finanziariamente il regime di Mubarak al posto degli Stati Uniti, così come scoppiamo a ridere ora quando veniamo a sapere che il vecchio re ha promesso ai suoi sudditi 36 miliardi di dollari a condizione che tengano la bocca chiusa. Ma non c’è niente da ridere. La rivolta araba che finalmente ha cacciato gli ottomani dal mondo arabo ha avuto inizio nei deserti dell’Arabia dove i capo tribù si fidavano di Lawrence, di McMahon e del resto della cricca. Dall’Arabia è venuto il wahabismo, la pozione inebriante la cui terrificante e semplicistica dottrina faceva presa su tutti gli aspiranti musulmani e sugli aspiranti attentatori suicidi sunniti. I sauditi hanno promosso Osama bin Laden, Al Qaeda e i talebani. Non parliamo nemmeno del fatto che da lì vengono la maggior parte degli attentatori dell’11 settembre. E oggi i sauditi sono convinti di essere gli unici musulmani ancora in armi contro il mondo che cambia. Ho il triste sospetto che il destino di questa pagina tragica e farsesca della storia del Medio Oriente si deciderà nel regno del petrolio, dei luoghi sacri e della corruzione. State a vedere.
E ora una considerazione più leggera. Mi sono messo alla caccia delle citazioni più memorabili della rivoluzione araba. Si va dal «Torna presidente, stavamo solo scherzando» di un dimostrante egiziano al discorso in perfetto stile Goebbels di Saif el-Islam el-Gheddafi: «Dimenticate il petrolio, dimenticate il gas: ci sarà una guerra civile». Ma la citazione che preferisco, ancorché personale, è quella del mio amico Tom Friedman del New York Times che, unendosi a me per fare colazione al Cairo, con il solito disarmante sorriso mi ha detto: «Fisky, ieri in piazza Tahrir mi si è avvicinato un egiziano e mi ha chiesto se ero Robert Fisk!». Questa sì che è una rivoluzione.
(c) The Independent Traduzione di Carlo Antonio Biscotto