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Egitto, l'esercito si allontana dal popolo

di Silvia Mollicchi - 07/03/2011


Tensione tra militari e manifestanti che tentano di mettere le mani sugli archivi della polizia segreta

Dopo le dimissioni di Shafiq e la nomina di Essam Sharaf, che ha giurato come primo ministro di fronte al popolo di maidan Tahrir, sabato alcune migliaia di persone sono entrate dentro al quartier generale dell'Amin al-Dawla (la polizia segreta egiziana) nel sobborgo di Madinat a-Nasr, al Cairo. Un momento di vittoria, segno apparente di una graduale distensione. Ieri, però, quando diverse centinaia di manifestanti hanno provato ad entrare dentro al ministero degli Interni a Downtown, i militari hanno risposto in tutt'altra maniera.

L'area è sotto il controllo dell'esercito dal 29 gennaio, dopo i gravi scontri tra manifestanti e polizia. Tutto il complesso, che custodisce oltre agli uffici del ministero gli uffici centrali dell'Amin al-Dawla, è circondato da cordoni militari, check point su ogni strada tangente al recinto ministeriale e carri armati. Dopo circa quattro ore di protesta pacifica, ieri, i militari hanno scacciato i manifestanti a colpi di teaser, calci di fucile e sparando munizioni a salve. Molte persone sono state colpite mentre scappavano nella vicina strada del Majlis al-Sha'ab.

Gli avvenimenti degli ultimi due giorni sono in totale contraddizione gli uni con gli altri e, per questo, vale la pena ripercorrerli brevemente.

Sabato pomeriggio si è respirata veramente un'atmosfera da presa della Bastiglia in tutto Egitto, quando i quartier generali dell'Amin al-Dawla sono stati assaltati sia al Cairo che ad Alessandria. Accusato di abuso di potere e tortura, l'apparato della polizia segreta egiziana non è ancora stato riformato in alcun modo dall'Alto Consiglio delle Forze Armate, che ha assunto la giuda del Paese per la fase di transizione. Considerando i documenti ritrovati, le prove di indagini segrete e torture, nonché i piani interi di celle dove venivano rinchiusi i prigionieri politici, entrare dentro all'Amin al-Dawla, sabato, è stato un po' come aprire il vaso di Pandora.

Superati i cancelli di accesso, le persone hanno iniziato a raccogliere documenti e foto, anche se molti file erano già stati distrutti. Una volta arrivato sul luogo, un contingente dell'esercito ha condotto tutti fuori dall'edificio in maniera pacifica. I manifestanti sono stati perquisiti attentamente per evitare che alcun documento uscisse dalla sede. Quello che è stato ritrovato dentro il palazzo di Madinat al-Nasr, uno dei centri più temuti per quanto riguarda detenzioni e torture, potrebbe costituire materiale determinante per futuri processi e capi d'accusa ai danni dei vertici della polizia segreta e non solo. Le informazioni raccolte potrebbero giocare un ruolo significativo nel processo contro l'ex ministro degli Interni Habib al-‘Adli, iniziato proprio sabato mattina. Un procedimento che ha preso il via tra diverse polemiche: la sede del processo è stata spostata qualche giorno prima della data di inizio e pochissimi giornalisti hanno avuto accesso alla sala dell'udienza.

Da sabato sera, molti documenti riservati, ritrovati dentro al quartier generale di Madinat Nasr, sono stati pubblicati su internet su varie piattaforme, con il rischio di compromettere possibili future indagini. Quello che senza dubbio serve rendere pubblico ora, invece, sono le foto e i video girati all'interno della sede dell'Amin al-Dawla.

Durante le stesse ore di sabato e nella notte, i militari di guardia al ministero degli interni a Downtown si sono mobilitati. Apparentemente solo per ragioni cautelari, due dei sei carri armati in dotazione ai soldati sono entrati dentro ai cancelli del ministero. I militari hanno esteso l'area vietata alle macchine e hanno limitato al minimo l'accesso ai pedoni. Testimoni che abitano nell'area limitrofa hanno parlato di un traffico insolito. Hanno visto decine e decine di persone uscire dal cancello nord del ministero con borse piene e almeno sette camioncini della polizia centrale sono stati visti entrare dentro al recinto che protegge il complesso ministeriale. Il timore è che molti dei documenti riservati siano già stati evacuati in questi giorni dal ministero degli Interni o siano stati bruciati durante l'incendio del 23 febbraio.

In ogni caso, se sabato pomeriggio l'esercito ha lasciato che i cancelli di uno dei luoghi più impenetrabili dell'Egitto di Mubarak si aprissero a qualche migliaio di manifestanti, chi ha provato il giorno dopo ad accedere al ministero stesso ha trovato ad attenderlo una risposta ben diversa.

La protesta di fronte all'entrata est del ministero si è svolta senza particolari tensioni fino alle cinque e trenta del pomeriggio quando alcuni baltaghi (assoldati per creare caos e attaccare la folla) hanno provato ad avvicinarsi. I manifestanti li hanno allontanati, poi hanno messo insieme un sistema di sicurezza con un check-point all'accesso dell'aerea dove si teneva la protesta. Circa un'ora e mezzo dopo, quando il numero dei partecipanti stava aumentando, i militari hanno deciso di intervenire sparando a salve e rincorrendo le persone per strada con teser e fucili. L'agenzia stampa MENA riporta che l'intervento delle forze armate aveva il solo scopo di separare i civili dagli infiltrati dell'Amin al-Dawla in borghese con armi bianche e pistole, ma la storia non sembra molto lineare. Nel frattempo, l'unica via di uscita era occupata da altri baltaghi, che lanciavano pietre verso la folla di persone in fuga, dall'area di maidan Lazughli (la piazza in fondo alla strada di accesso al ministero). Dopo un lungo momento di panico, centinaia di manifestanti si sono diretti verso maidan Tahrir per ri-organizzarsi e provare a tornare di fronte al complesso ministeriale.

Nel frattempo, alcuni di loro sono stati arrestati (il numero non è ancora confermato). Trascinati verso il lato nord del complesso, sono stati condotti prima nell'antro che individua l'accesso sul lato di shar'a al-Sheikh Rihan, poi, sono stati fatti salire su dei furgoni della polizia centrale egiziana. Testimoni hanno sentito distintamente urla di persone brutalmente picchiate e il rumore di quella che poteva essere una frusta. Uno di loro ha commentato laconicamente: "L'ultima volta che ho visto persone picchiate per strada e trascinate all'entrata del ministero è stato il 29 gennaio, ma quel giorno era la polizia e non l'esercito a torturare gli arrestati. Pensavamo che le cose ora fossero cambiate".

Due punti invece sono chiari. Da un lato, gli agenti della temutissima Amin al-Dawla sono in giro e ben operanti, dall'altro invece lo slogan "al-sha'ab wa al-gheish yid wahda" (il popolo e l'esercito uniti mano nella mano) non ha più molto senso. La fiducia nell'esercito, da sempre uno dei principali clienti del regime, rischia di erodersi velocemente. Per molti incontrati oggi in strada diventa sempre più evidente che "i generali sono solo un altro pezzo del regime e dobbiamo guardarci anche da loro", come ha commentato uno dei manifestanti.

Nonostante la scelta di un nuovo primo ministro vicino ai desideri di chi ha occupato Tahrir, con reazioni come quella di oggi, l'esercito mostra un comportamento contraddittorio e inaffidabile. Certo, entrare al ministero degli Interni ha un valore notevole, soprattutto in termini simbolici. Significherebbe accedere ad uno dei luoghi chiave della brutalità del regime di Mubarak e costituirebbe una dimostrazione di potenza da parte del popolo mobilitato sulle forze armate. Questa potrebbe essere una delle ragioni per cui il ministero rimane off-limits, anche se l'aggressività mostrata oggi dall'esercito suggerisce che quello che i carri armati stanno difendendo non è solo un simbolo.

Per oggi è stata chiamata un'altra manifestazione di fronte al ministero. La speranza degli attivisti è che il numero dei partecipanti aumenti e le persone non si lascino spaventare.