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Liberal chic. Istruzioni per l’uso

di Marco Petrelli - 08/03/2011

Chi ha buona memoria ricorderà che, fino a non molti anni fa, era in voga fregiarsi di appellativi quali social rivoluzionario, marxista, trozkysta, leninista, maoista. Che l’uno e l’altro termine potessero essere tra loro concettualmente in antitesi poco importava poiché lo scopo ultimo era quello di stupire, vendendo come cultura (ad interlocutori sovente poco preparati in materia) scarne e confuse nozioni politiche. Qualcuno coniò per questi confusi intellettuali Radical chic: dissertare di comunismo ed anticapitalismo tra un busto di Mao e una foto di Ho Chi Minh, avvolti in sciarpe Pierre Cardin e con una coppa di bollicine in mano.

Scaduto il prodotto ultra progressista, esautoratosi il mito del rivoluzionario sud americano o del guerrigliero d’Indocina, il nuovo Millennio propone una variante del radical: il liberal chic

Fateci caso. A destra come a sinistra, nelle discussioni pubbliche come sui social network, esiste una vera e propria competizione, un malsano agonismo nel definirsi liberali.

Già. Ma liberali in che senso?

Liberale come libertà, ok. Sono tollerante (o almeno dico di esserlo), voto per partiti moderati, rifiuto vecchie ideologie. Ecco, è per queste ragioni che sono liberale.

Un ragionamento piuttosto semplicistico che non trova risposta in una corrente di pensiero che va ben oltre l’uso indiscriminato del termine.

Uno è liberal – progressista, un altro liberal – conservatore, un altro ancora liberal – socialista: insomma, come già accadeva con il marxismo, anche oggi è prassi il tentare di far convivere forzatamente concetti tra loro contrastanti o addirittura antitetici. Un esempio emblematico coloro i quali pretendono d’essere “liberali in quanto liberisti” (in senso economico): sebbene per un liberale la libertà economica e la libertà politica non siano separabili, la vera concezione di libertà va ben oltre il mero aspetto pecuniario, navigando verso altri lidi, lidi etici e morali non legati al mero mercantilismo.

Sul ‘fronte’ conservatore occorre rileggere le parole di Friedrich H. Von Hayek, «il conservatorismo vero e proprio è un atteggiamento legittimo, probabilmente necessario e, certo molto diffuso, di opposizione a drastici cambiamenti. Ma la caratteristica principale del liberalismo è che esso vuole muoversi, non stare fermo». Risposta netta a chi si auto proclama un “conservatore liberale”: la paura del progresso, il sospetto verso ciò che si evolve non è una caratteristica del vero liberale per il quale il futuro è qualcosa di aperto, non di predefinito, riponendo così una certa fiducia in ciò che il domani preserva poiché, insieme ai problemi, il futuro porta con sé anche una visione completamente diversa e nuova di affrontare altrettanto nuove tematiche.

Ma non solo i conservatori. Quando Karl Popper definisce il liberale anti utopista diventa chiaro il riferimento all’area della gauche, soprattutto la gauche estrema. I progressisti di oggi (molti dei quali di provenienza PCI e sinistra extraparlamentare) al pari dei conservatori non posso più di tanto abusare del titolo “liberal”, poiché il liberal non si pone il problema di chi dovrà guidare la nazione, quindi se a farlo sarà un partito piuttosto che un altro, una classe sociale, una etnia. Il liberale semmai si concentra sul controllo, sulla “supervisione” della classe dirigente, al fine di  non vedere intaccata e messa a repentaglio la libertà.

Sono esclusi, infine, dalla categoria liberale, gli statalisti, i cultori dell’ Istituzione e delle sue forme.

Ancora Popper: «Lo Stato è un male necessario. I suoi poteri non dovrebbero essere accresciuti oltre il necessario».

Riflessione analoga per anarchici e anti-statalisti: (Popper) «l’anarchia è un’esagerazione del concetto di libertà».

In sintesi potremmo affermare che l’essere liberali è una scelta che appartiene alla sfera intellettuale e personale, più che prettamente partitica. In extrema ratio il be liberal è un modo di concepire il mondo, scevri da tentazioni e influenze di natura ideologica o da scelte elettorali.

Ai  liberal chic mi permetto di proporre un breve scritto, Il liberale secondo Popper, firmato dal filosofo Massimo Baldini. Breve ma particolarmente esaustivo. Agli stessi ricordo anche che l’uso improprio di alcuni termini, alla lunga, può generare incomprensione e, in seguito, ilarità. E’ facile perdere credo se (privi di un’infarinatura per lo meno generale su certi argomenti) si cerchi di far convivere concetti tra loro in parziale o totale antitesi.