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Lovecraft, i sogni anticipano la scienza

di Giulio Giorello - 14/03/2011


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Volete una definizione di quello che dovrebbe essere uno scrittore del fantastico? «È il creatore di un mondo che non è mai esistito e mai esisterà, e che pure abbiamo sempre conosciuto e bramato nei nostri sogni» . Così Howard Phillips Lovecraft (1890-1937), il «solitario di Providence» che ha inventato un’intera mitologia con il dio Cthulhu e i suoi ancor più esecrabili colleghi. Ora il volume Teoria dell’orrore, che in Italia vede la luce grazie all’attenta cura di Gianfranco de Turris (Bietti, pagine 556, e 24), offre al lettore l’altro volto di Lovecraft, quello di teorico e di critico letterario. Streghe, lupi mannari, vampiri, fantasmi e demoni hanno «abitato» il folclore di tutti i popoli e di tutte le epoche, e c’è davvero da chiedersi se «l’età del disincanto» li abbia relegati tra i ferrivecchi della superstizione. Lovecraft rispondeva di no: «L’elemento spettrale nella letteratura» resta «una branca essenziale dell’espressività umana» di cui non sarà facile fare a meno, «il tema tenebroso» per eccellenza... Lovecraft era un sincero entusiasta del «materialismo» , che per lui equivaleva alla scienza, capace di individuare i meccanismi reali dei più diversi fenomeni, senza lasciare spazio ad alcuna illusione «metafisica» . Per esempio, è inutile rimpiangere qualsiasi «perduta immortalità» ; piuttosto, «un’intelligenza ben temprata non teme nulla e si appaga di prendere la vita per quello che è, e di servire la società nel miglior modo possibile» . D’altra parte, non si possono non riconoscere le motivazioni egoistiche di gran parte della civiltà. «Persino i movimenti religiosi più importanti hanno una loro storia segreta, e di natura quasi sempre materialistica» . Lovecraft interpretava l’evoluzionismo come aveva fatto non molti decenni prima un bizzarro lettore tedesco di Darwin. Con l’avvento della mentalità scientifica sbiadiscono i valori della tradizione, ma «se oggi siamo meno pii, significa anche che siamo meno ipocriti. Una dozzina di finti santi non fa un onesto Nietzsche» . Potremmo anche dire che è tutta questione di prospettiva: «Un uomo un giorno può sentire che esiste una divinità e un altro giorno sentire che non ne esiste alcuna» . E quando si tratta non di divinità bensì delle forze fondamentali della fisica o della struttura della cellula, non c’è più la libertà del sentimento ma il rigore della ragione. Lovecraft finiva così con l’imbattersi nell’obiezione che gli muovevano i suoi critici più sottili. Perché scrivi di mostri e spettri, se sai che non ci sono? E non fare la figuraccia del filosofo materialista Thomas Hobbes, di cui malignamente si sospettava che di giorno negasse l’esistenza di qualsiasi entità incorporea, mentre di notte tremava per il terrore che «le anime dei defunti venissero a tirarlo per i piedi» . Orfano di qualsiasi Dio clemente e misericordioso, Lovecraft invitava allora a guardare alla miseria della condizione umana: siamo animali fragili, circondati da un ambiente ostile, cui la salvezza del singolo individuo è indifferente. Scienza e tecnica rappresentano così il «guscio» che protegge ogni essere cosciente dal timore dell’ignoto; ma se le cose stanno così, non è tanto in gioco l’esistenza di questo o quel mostro, demone o vampiro che dir si voglia, ma il senso profondo di «un orrore latente nella stessa natura» . Con un’intuizione straordinaria, Lovecraft traccia la storia del genere fantastico e horror uscendo dai limiti di quello stesso genere letterario, che ora gli appare uno scandaglio per investigare il movente più autentico della formazione della società civile: la paura, come aveva dichiarato appunto Thomas Hobbes! La fisica penetra sempre più nei misteri dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, la biologia svela caratteristiche sorprendenti della vita, la psicologia chiarisce i meccanismi dell’inconscio e l’antropologia mette in luce gli aspetti più segreti delle culture che si sono succedute nella storia. Ogni progresso sposta di continuo il confine tra ciò che è noto e quel che non è ancora conosciuto e questo fa sì che il senso della meraviglia (che non è soltanto fascino del bello, ma pure rivelazione di ciò che fa «rizzare i capelli in testa» ) cambi nel tempo. In altre parole Lovecraft ci regala una concezione della letteratura fantastica come strumento che ci permette di intuire quel che il pensiero scientifico non ha ancora compreso, mentre questo a sua volta rimodella di continuo i modi dell’immaginazione. Mentre magistralmente analizzava i grandi affreschi dei cantori delle «anime dannate» — da Dante a Shakespeare— e le fantasie dei colleghi che mescolavano racconto «gotico» e fantascienza, Lovecraft percepiva, magari oscuramente, il potere sovversivo delle nuove concezioni della natura e della psiche (non a caso cominciava negli anni Trenta a dipanarsi il dialogo tra un fisico «luciferino» come Wolfgang Pauli e un analista del profondo come Carl Gustav Jung). E gli universi di sogno del grande erede di Edgar Allan Poe se da una parte ci possono ricordare gli archetipi della psicoanalisi, dall’altra aspiravano a essere delle rappresentazioni figurate di un caos primigenio che nessuna teoria scientifica avrebbe potuto domare per sempre. Chissà quale «battito di nere ali» immaginerebbe Lovecraft se vivesse oggi, all’epoca degli «infiniti universi» della nuova cosmologia o delle chimere promesse o temute dalle biotecnologie.