Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Tempo degli alberi, delle pietre e degli uomini

Tempo degli alberi, delle pietre e degli uomini

di Alberto Lombardo - 14/03/2011



Il detto secondo cui il vino buono soggiornerebbe nelle piccole botti facilmente vale anche per il mercato editoriale: i libri di qualità si trovano spesso pubblicati dai piccoli editori (in entrambi i casi, però, non vale la regola opposta, e cioè non sempre le piccole botti contengono buon vino). Ad ogni modo, per restare all’esempio, un’ottima piccola botte – o meglio, casa editrice – è la Herrenhaus (tel. 0362 – 240096 – e-mail herrenh@tin.it), specializzata in letteratura e cultura mitteleuropee, e che ha già messo a segno nei suoi primi anni di vita degli interessantissimi “colpi” editoriali. Il “vino buono” di cui si diceva poc’anzi risponde ai nomi di Ernst Jünger e del suo biografo Heimo Schwilk, del Wandervogel Walter Flex, di Hermann Löns e di parecchi altri significativi pensatori di epoche varie (da Linneo a Gadamer).

L’ultimo dei volumi che la Herrenhaus abbia dato alle stampe è L’albero di Ernst Jünger. Al libro è stato dato per titolo quello di uno dei quattro saggî che lo compongono, scritto nel 1962 per il volume Bäume (“alberi”) di A. Renger Patsch: un titolo azzeccato poiché, come ben rileva Alessandra Iadicicco nella postfazione Epifanie del tempo, tutti i quattro scritti raccolti raccolgono riflessioni sul tempo, le sue dinamiche e i suoi rimandi simbolici (si tratta di un vero e proprio Leitmotiv dell’intera filosofia jüngeriana). L’albero è infatti un simbolo assai potente del divenire, e ciò dalla profondità delle radici alle fronde; per questo motivo in esso siamo portati ad ammirare «la potenza dell’archetipo».

Anche attraverso le pietre, cui è consacrato il secondo dei saggî, contempliamo il flusso del tempo. Però qui si tratta di quel tempo che si muove alla velocità della rotazione cosmica, non al mutare delle stagioni: questo dà pertanto l’occasione all’Autore di introdurre, col suo classico stile adamantino, una serie di stimolanti considerazioni sul rapporto tra gli elementi – e in particolare tra la pietra e l’acqua. La narrazione prende spunto da un episodio specifico: un piccolo paese di campagna avrebbe dovuto essere presto abbandonato, per via della costruzione di una diga. «Presto laggiù l’acqua avrebbe riempito stanze e granai; avrebbe sommerso i tetti delle case, il campanile della chiesa, anche le tombe». Come è caratteristico dello stile jüngeriano, l’episodio particolare apre la via a una lunga serie di profonde riflessioni, variamente concatenate.

Le ultime due prose, strettamente legate, chiudono non solo il libro ma anche l’anno: sono infatti consacrate rispettivamente a Novembre e Dicembre. E come il mese di Novembre si apre con la festa dei morti (il che presso alcuni popoli avveniva anche prima della cristianizzazione) allo stesso modo il Novembre di Jünger si apre con un richiamo all’Angelo della Maliconia (quello della famosa incisione di Albrecht Dürer). «Dovremmo offrirgli sacrifici, e non sfuggirgli», ci ammonisce Jünger, poiché ogni stagione e ogni mese dell’anno e della vita vanno vissuti sino in fondo e il tempo non deve essere sciupato. Esso passa, lentamente, avvicinandosi alla notte più oscura dell’anno. Sebbene i rumori e le lampadine ci ottundano i sensi, ancora avvertiamo il senso della “crisi” solstiziale: «dietro il timore delle genti che il sole non possa più ritornare si cela una consapevolezza: per ciascuno esso un giorno si spegnerà, e inizierà un inverno eterno». Eppure se riusciamo a percepire i varî ritmi del tempo ci coglie la sensazione che la luce rinascerà anche per noi.

* * *

Ernst Jünger, L’albero. Quattro prose, Herrenhaus, Seregno 2003. Traduzione e cura di Alessandra Iadicicco, € 10,00.