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Di recessione in recessione

di Davide Stasi - 16/03/2011


Il giudizio è durissimo e arriva da un “insospettabile” come Mervyn King, il governatore della Banca d’Inghilterra. Vietato illudersi: non stiamo affatto uscendo dalla crisi e, anzi, ci attende una  seconda fase della depressione in cui siamo precipitati nel 2008


Sorprendente nel suo concetto di base, ma sconfortante nelle conclusioni, è stato il discorso tenuto ieri a Tokio da Mervyn King, governatore della Banca d’Inghilterra. Sorprendente è stato che abbia ammesso, al termine di una disamina molto lucida del presente, che l’unica soluzione è porre un freno agli squilibri determinati a livello globale dalla follia finanziaria esplosa tra il 2007 e il 2008. Non ha specificato oltre, in realtà: non c’è da aspettarsi dal governatore centrale di un paese anglosassone la messa in discussione di un intero sistema, ma che questi accenni al fatto che il paradigma dato finora per assoluto possa aver fallito è comunque una notizia.

L’analisi di King è spietata. La condizione debitoria emersa nel sistema creditizio mondiale a partire dal 2007, e innescata da strategie finanziarie deliranti che erano legate in gran parte al mercato immobiliare, non è affatto scomparsa, come sembrerebbe. L’intervento degli stati, per lo meno di quegli stati che potevano permetterselo, finalizzati a travasare liquidità nelle banche in crisi, tutte too big to fail (troppo grandi per fallire), ha avuto come unico risultato quello di trasferire l’insieme delle situazioni critiche dal settore privato a quello pubblico. Un esempio gigantesco e globale di socializzazione delle perdite e preservazione di utili privati.

Sono dunque gli stati che oggi si trovano a dover affrontare il Frankenstein che stava devastando il sistema bancario internazionale, ossia il suo stesso creatore. E che ora rivolge le sue attenzioni alle finanze pubbliche. Ora la devastazione si traduce in deficit incolmabili o situazioni debitorie fuori controllo. King cita ad esempio proprio il Giappone, con il suo rapporto debito/PIL al 200%. A questo proposito, il governatore ironizza, ma garbatamente visti il luogo e la situazione, sull’indicatore statistico della ricchezza: il PIL del Giappone, un paese sostanzialmente in ginocchio, ben presto si alzerà in modo significativo, grazie alle attività di ricostruzione e agli incentivi fiscali che vi saranno collegati. E questo, sottintende la sua ironia, nonostante buona parte della popolazione abbia subito un annientamento delle proprie condizioni di vita.

Altri stati non sono messi meglio. King cita gli USA, anzitutto, che solo trent’anni fa avevano un debito pubblico pari a 1.000 miliardi di dollari, e che oggi si attesta su 13.000, ma anche Grecia, Irlanda e Portogallo. Dimentica l’Italia, forse per un mero lapsus, o forse perché, per un fatto di fusi orari, non gli era arrivato l’aggiornamento di Bankitalia, che quota il debito pubblico italiano ormai vicinissimo alla soglia dei 1.900 miliardi di euro. E valori di questo tipo si scoprono un po’ ovunque, dall’Ungheria al Belgio e alla stessa Gran Bretagna.

Tutto questo, fa notare King, avviene mentre operatori economici e finanziari occidentali tornano in patria dai viaggi in Sud America e in Asia raggianti per lo sviluppo che sta prendendo l’abbrivio in quelle aree. Uno sviluppo che marcia bene nonostante crisi, e che genera una richiesta crescente di fonti energetiche, petrolio in primis, proprio ora che i maggiori paesi produttori stanno conoscendo turbolenze inattese. Una situazione instabile che, già lo si vede, farà aumentare il prezzo del greggio, e dunque l’inflazione. Presto l’unica arma sarà aumentare i tassi d’interesse, rendendo più costoso il ricorso ai prestiti e aggravando ancora di più la situazione debitoria delle nazioni che sono già ora in difficoltà con i loro debiti sovrani.

L’orizzonte dunque è tempestoso. Gli stati andranno all’inseguimento della ripresa, attualmente appannaggio solo di alcune aree del mondo, mentre le banche, ancora vacillanti, presto dovranno gettare la maschera, insieme a tutte quelle realtà economiche rimaste “glaciate” in attesa di tempi migliori. La lotta all’inflazione che presto scatterà ovunque nelle economie occidentali, i tassi più alti, la riduzione dei prestiti e la diminuzione dei profitti per gli alti costi energetici, potrebbero portare a fallimenti a catena tra le banche, finalmente costrette a palesare tutte le perdite finora tenute celate tra le pieghe dei bilanci. 

Così la previsione di King è che alla recessione non seguirà una ripresa, ma una “fase due” della recessione. Ossia: raggiunto il fondo, cominceremo a scavare, a meno che non si cambi paradigma. Niente di nuovo per chi legge queste pagine. Ma sentirlo dire, anche se con un’innocua allusione, dal governatore della Banca d’Inghilterra, concedetelo, fa una certa impressione.