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Quale libertà?

di Stefano D’Andrea - 17/03/2011

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Alcuni credono che le rivoluzioni e i grandi programmi politici di riforme aspirino sempre e soltanto ad ottenere “più libertà”. Una rivoluzione o l’attuazione di un programma di riforme strutturali sarebbero sempre azioni collettive volte ad instaurare un ordinamento più liberale. Essi sono smentiti dalla storia.

Le rivoluzioni comuniste e le riforme socialiste hanno soppresso o limitato alcune libertà: la libertà d’impresa; la libertà di licenziare; la liberta di assumere con contratti a termine; la libertà di approfittare dello stato di bisogno; la libertà di arricchirsi; la libertà di utilizzare il denaro per prevalere nella contesa politica; la libertà di coltivare il lusso; la libertà di non lavorare; la libertà vivere di rendita; la libertà di mantenere incolti grandi appezzamenti di terreno dei quali si era proprietari. E’ abolendo o limitando alcune libertà che il comunismo perseguiva l’uguaglianza e il socialismo maggiore giustizia sociale.

Le rivoluzioni islamiche hanno i medesimi caratteri. Esse mirano a sopprimere libertà: libertà di apostasia; libertà di bestemmia; libertà di essere coniugi infedeli; libertà di prestare denaro ad interesse; libertà di non farsi crescere la barba; libertà di produrre e vendere beni contrari ai precetti religiosi dell’islam.

Le rivoluzioni e le guerre creative di nuovi stati nazionali storicamente hanno imposto doveri e limitato una o altra libertà: dovere di prestare il servizio di leva, eventualmente per un periodo molto lungo – dunque limitazione prolungata della libertà somma: la libertà personale;  dovere di utilizzare una specifica lingua negli atti che concretizzano la vita pubblica; dovere di accettare una determinata moneta; dovere di far frequentare ai propri figli la scuola pubblica.

Quando poi le rivoluzioni o i grandi processi di riforma si verificano in situazioni di corruzione e criminalità diffuse e di inefficacia dell’apparato pubblico di repressione, le rivoluzioni e i processi di riforma impongono maggiori sanzioni, aumentano il numero dei reati e sopprimono alcune garanzie, false o vere che fossero. Queste rivoluzioni e queste riforme strutturali perseguono l’ordine in situazione di disordine. Raramente o forse mai l’obiettivo dell’ordine è la ragione della rivoluzione o del programma di riforme; spesso è elemento secondario e accessorio; non di rado l’obiettivo dell’ordine manca del tutto. Comunque, quando l’obiettivo della eliminazione del disordine c’è, ancora una volta, le rivoluzioni e i grandi processi di riforma aspirano a sopprimere o limitare libertà.

Gli obiettivi – uguaglianza, giustizia, conformazione della società ai principi di una religione, creazione di uno stato nazionale, soppressione del grave disordine – si perseguono sempre proponendo limiti ad una o altra libertà.

La promozione continua e assoluta della libertà è promozione continua della disuguaglianza e perciò è tradimento del comunismo. E’ promozione  dell’ingiustizia e perciò tradimento del socialismo.

La promozione continua e assoluta della libertà è promozione della materia e tradimento dello spirito, religioso o laico.

La promozione continua e assoluta delle libertà è promozione dei grandi spazi – gli spazi aperti del mercato europeo, del mercato globale, delle grandi reti di collegamento, dei grandi gruppi societari di omologazione mediatica – ed è tradimento: dei processi generativi degli Stati e delle costituzioni nazionali, da un lato; delle culture e delle tradizioni locali, dall’altro.

Quando poi, in un determinato ordinamento, la libertà non è funzionale a specifici fini ma è libertà di perseguire indefiniti fini, ossia nichilismo, la libertà è tradimento della stessa funzione di orientamento – il diritto dirige e orienta; funzione che da tempi immemori è stata costitutiva degli ordinamenti giuridici di ogni genere e specie. Nel fondo è promozione del caos e del disordine e tradimento dell’ordine e del senso: non di uno specifico senso; bensì di qualsivoglia senso della vita associata.

Con queste note non intendo prendere posizione contro una o altra libertà; tantomeno contro “la libertà”. Mi sembra tuttavia che un pensiero rivoluzionario, o che aspiri per vie pacifiche ad un profondo mutamento di un ordine costituito, per essere preso sul serio, debba assolvere l’onere di precisare quali libertà intende limitare, salvo che si presenti – come è accaduto per la rivoluzione silenziosa verificatasi nell’ultimo venticinquennio – come rivoluzione liberale.

Alcune rivoluzioni si fanno per ottenere più libertà – e sia chiaro che in determinati contesti storici e geografici le rivoluzioni liberali sono importanti e sacrosante. Tutte le altre pongono obiettivi raggiungibili soltanto per mezzo di limitazioni o soppressioni di libertà. Nell’ultimo venticinquennio si è verificata una grande rivoluzione liberale. Una rivoluzione silenziosa; è stata una rivoluzione, almeno a giudicare dai mutamenti che sono stati introdotti negli ordinamenti giuridici. Chi intendesse contestare il termine rivoluzione dovrebbe comunque ammettere che alle spalle abbiamo un venticinquennio di continue riforme liberali. La crisi – e intendo la crisi economica e la crisi spirituale, che pochi possono negare si sia particolarmente accentuata tra la metà degli anni ottanta e oggi – è l’esito della tempesta di libertà che si è abbattuta sulle società occidentali.

Riusciremo di nuovo a distinguere tra libertà e libertà? Saremo capaci di comprendere fino in fondo che il perseguimento di uno o altro interesse generale è intrinsecamente limitativo di libertà? Torneremo a separare le libertà fondamentali riconosciute dalla Costituzione e le “libertà” che tali non sono, perché indicano soltanto una sfera del lecito che può e talvolta deve essere soppressa? Sapremo tornare alla distinzione tra libertà fondamentali e poteri? Rifletteremo che là dove non è possibile creare l’uguaglianza di libertà agevolando i “liberi senza potere” è necessario limitare il potere dei liberi che hanno la possibilità di fatto di esercitare una o altra libertà? Per questi interrogativi passano i destini delle società occidentali, sempre che esse aspirino ad uno o altro destino e non decidano di sottostare alla putrefazione nichilistica, che è il cancro provocato dalla tempesta di libertà che ci ha tramortiti.