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Le tribù e il bunker

di Pepe Escobar - 21/03/2011

Fonte: italiasociale




La rivoluzione libica è una rivoluzione tribale. Non è stata, e continua a non essere, diretta da giovani intellettuali provenienti dalle città, come è stato per l’Egitto, o dalla classe lavoratrice (che per la maggior parte è composta da lavoratori stranieri). Anche se i protagonisti della rivolta contro Gheddafi possono essere un insieme di libici diseredati, giovani studenti e/o disoccupati, parte della classe media urbana e disertori dell’esercito e della difesa, quello che sta sopra di tutto è la tribù. Nemmeno internet è stato un protagonista decisivo nel capitolo libico della rivolta araba del 2011.
La Libia è tribale dalla A alla Z. Ci sono 140 tribù (qabila), 30 delle quali più importanti: una di queste, Warfalla, rappresenta un milione di persone (su una popolazione totale di 6.2 milioni). Quelle più piccole portano il nome delle città di provenienza. Il colonnello Gheddafi dice che la rivolta libica è un complotto di Al-Qaida sobillato da drogati con latte e Nescafé mescolato con droghe allucinogene. La realtà è meno fantasiosa: è un accordo fra tribù che alla fine porterà alla deposizione del re dei re africano.
Un immenso graffito nella Bengasi liberata dice: “No al sistema tribale”. È una illusione vana. Gli ufficiali dell’esercito libico sono un insieme di notabili tribali sedotti o subordinati a Gheddafi. Questo porta ad una strategia molto forte di dividere per governare fin dall’origine del regime nel 1969. Tanto in Tunisia quanto in Egitto è stata cruciale la caduta del dittatore. In Libia è molto più complicato. L’esercito non è tanto importante quanto le milizie paramilitari, private e mercenarie, dirette da figli e parenti di Gheddafi.
Gheddafi e suo figlio, il “modernizzatore” Safir, hanno giocato le loro ultime carte, anche a costo del genocidio: rivolta (fitna) e islamismo, come nello stile di Hosni Mubarak, come quando dice “o io o il caos”. Nel caso del clan Gheddafi è così: senza di me o la guerra civile (in realtà fomentata dallo stesso regime) o Osama Bin Laden (invocato come deus ex machina proprio da Gheddafi). La maggioranza delle tribù non si riconoscono in questo “dio uscito dalla macchina”.
Le prospettive per Gheddafi sono poco incoraggianti. La tribù Avalad Ali, al confine egiziano, è contro di lui. Az Zawiyya lo è diventata all’inizio di questa settimana. Az-Zintan, a 150 km a sudest di Tripoli, è alleata di Warfalla; tutte sono contro di lui. La tribù di Tarhun, che, strategicamente, comprende più di un 30% della popolazione di Tripoli, gli è opposta. Jeque Saif Al-Nasr, ex capo della tribù Awalad Sulaiman, ha fatto un appello ad Al-Jazeera per chiamare i giovani delle tribù del sud ad unirsi alle proteste. Anche alcuni della sua piccola tribù Qadhadfa adesso gli sono contro.

Uccidendo la società civile

La tribù, con i suoi clan e le sue suddivisioni, è l’unica istituzione che, durante i secoli, ha regolato la società di questi arabi che hanno vissuto nelle regioni colonizzate dagli italiani all’inizio del secolo XX, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.
Dopo all’indipendenza della Libia, nel 1951, non ci furono partiti politici. Durante la monarchia la politica ebbe a che fare solo con le tribù. La rivoluzione di Gheddafi del 1969 ripensò il ruolo politico delle tribù: diventarono garanti dei valori culturali e religiosi. L’ideologia della rivoluzione di Gheddafi girava attorno al socialismo, con il popolo, teoricamente, come soggetto. Anche i partiti politici furono esclusi. Era il periodo dei comitati popolari e del congresso popolare. La vecchia élite, i vecchi delle tribù, fu messa da parte.
Ma il tribalismo portò al golpe. Primo, perché Gheddafi decise che gli incarichi nell’amministrazione pubblica dovevano essere distribuiti secondo le affiliazioni tribali. E poi perché, durante gli anni ’90, Gheddafi rinnovò l’alleanza con i dirigenti delle tribù; aveva bisogno di loro “per liberarsi della crescente opposizione e dei diversi traditori”. E comparvero i “comandi sociali popolari”, per combattere la corruzione, per risolvere dispute locali e alla fine le tribù diventarono un protagonista politico.
Gheddafi si assicurò una alleanza impenetrabile con la tribù di Warfalla e, mediante una strategia basata su di un ordine di “popolo armato”, ottenne di domare l’esercito. I posti chiave nel servizio segreto furono assegnati alla sua tribù, Qadhadfa, e ad uno dei suoi amici rivoluzionari, Maqariha. Questo significò essenzialmente che queste due tribù ottennero il monopolio di tutti i settori chiave e dell’economia ed eliminarono, letteralmente, tutta l’opposizione.
Il risultato inevitabile di questo sistema politico tribale fu la disgregazione di una società civile basata su istituzioni democratiche. La classe media acculturata restò senza niente. Poi venne l’embargo delle Nazioni Unite, durato dieci anni. L’economia, che ormai versava in cattivo stato, cadde in picchiata; non ci fu mai una redistribuzione equa della ricchezza proveniente dal petrolio e dal gas. L’inflazione e la disoccupazione aumentarono. La retorica fu sempre quella della “democrazia diretta”; la realtà era che i pochi vincitori che facevano parte di una borghesia statale reazionaria, erano o riformisti diretti da Saif; o conservatori (fedeli al Libro Verde di Gheddafi); o tecnocrati (che tenevano i rapporti con le multinazionali straniere).

Anno zero in Cirenaica

Non è un caso che la rivolta sia cominciata a Bengasi, città rimasta fuori dalla strategia dello sviluppo in una regione, la Cirenaica, con infrastrutture assolutamente inferiori a quelle della Tripolitania.
Ora, il cosiddetto Jamahiriya, “lo Stato delle masse”, è sul punto di crollare. È l’anno zero in Cirenaica. È impossibile non fare il paragone con i primi giorni dell’Iraq “liberato” nell’aprile del 2003. Lo Stato è scomparso. Comitati popolari, gruppi islamici e bande armate controllano ora interi territori. Nessuno sa come andrà a finire tutto questo o quello che potrà succedere dopo la battaglia di Tripoli (supponendo che l’opposizione possa riuscire ad avere delle vere armi pesanti). Una possibilità reale è l’emergenza nei territori tribali auto-governati controllati dalle tribù, come in Afghanistan e in Somalia o, di fatto, che regioni intere si rendano indipendenti, nonostante gli sforzi fatti per dissipare questo timore dell’opposizione in esilio.
Prima di questo, come ha già avvertito Gheddafi, scorrerà molto sangue. Le forze aeree sono controllate direttamente dal clan di Gheddafi. Inoltre, due dei suoi figli ricoprono posizioni chiave: Moutassim è capo del Consiglio Nazionale di Sicurezza e Khamis è il comandante di una brigata di forze armate. L’esercito conta 150.000 soldati. I più alti comandanti militari hanno solo che da perderci nel caso che non appoggiassero Gheddafi. Secondo i calcoli migliori Gheddafi potrebbe avere a disposizione ulteriori 10.000 soldati. Senza considerare l’esercito mercenario “africano nero” pagato in oro, per la maggior parte arrivato in Libia attraverso il Ciad.
Sia quello che sia quello che emergerà da questo vulcano, non è difficile immaginare una Libia fratturata lungo le linee tribali. E’ giusto dire che la gioventù libica proveniente dalle tribù, che è scesa in piazza per lottare contro il regime armato di Gheddafi, considera la mentalità tribale come la peste. Non scomparirà da un giorno all’altro. Senza dubbio la miglior speranza possibile in queste circostanze, con la minaccia di una crisi umanitaria e lo spettro di una guerra civile, è che Internet possa spingere il paese in un’era post tribale. Prima di questo deve cadere un bunker.

Pepe Escobar è l’autore di “Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War” (Nimble Books, 2007) e di “Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge”. Il suo ultimo libro è “Obama does Globalistan” (Nimble Books, 2009). Può esser contattato tramite: pepeasia@yahoo.com.

Fuente:http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MB26Ak05.html

dAsia Times Online
Traduzione di Erika Steiner per italiasociale.net