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Il pedagogo si fa censore (per zelo democratico)

di Pierluigi Battista - 22/03/2011

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Si è affacciata negli ultimi decenni una nuova forma di censura. Corretta, benintenzionata, protettiva, umanitaria, ispirata da nobili motivi: ma sempre censura. Non vorrebbe nemmeno essere chiamata censura: ma è sempre censura. Non si appella a sentimenti antiquati e retrivi. Non impugna le forbici che hanno impedito la libera circolazione in Inghilterra dell' Amante di Lady Chatterley di Lawrence fino al 1960. Non manda al rogo Ultimo tango a Parigi. Ma come si chiama la richiesta di mettere al bando un libro sia pur impresentabile, un autore sia pur sulfureo? Richiesta censoria, appunto. È appena stato tradotto dal Mulino il libro di Martha Nussbaum Non per profitto. La tesi della Nussbaum appare ragionevole e generosa, sottolinea l' importanza dell' educazione umanistica, della lettura dei classici come pilastro di una pedagogia morale che non subordini ogni aspetto della vita al profitto, all' utile, al sapere tecnico. Ma l' autrice non si limita a esortare alla lettura dei libri indispensabili alla formazione di un buon cittadino. Pretende anche di prescrivere, proscrivere, vietare, cancellare. Censurare, insomma. Ecco come il generoso pedagogo democratico si trasforma nell' occhiuto censore democratico: «Ci sono tante opere d' arte che stimolano simpatie inopportune. I bambini a cui si chiede di allenare l' immaginazione leggendo letteratura razzista, o coltivando l' oggettivazione pornografica della donna, non crescono certo in maniera consona alla cittadinanza democratica». Ecco l' «eccesso di zelo democratico», l' «estenuante political correctness» di cui scrive giustamente Claudio Giunta sul Fatto quotidiano. Chi stabilisce l' «inopportunità» delle simpatie stimolate da moralmente dubbie opere d' arte? E chi stila il nuovo indice delle opere proibite che incitano all' «oggettivazione pornografica della donna». E cos' è la «letteratura razzista» da mettere al bando dopo congrui riti che accendano l' indignazione del virtuoso cittadino democratico? Domande che non possono trovare risposte che non suonino arbitrarie, formulate da chi si arroga un diritto a rilasciare patenti di «correttezza» sulla base di una pretesa posizione di supremazia nella coscienza etica del mondo. Risposte censorie. Ma la censura non è meno odiosa se esercitata nel nome della «correttezza democratica» anziché in quello, sempre più desueto, del «senso del pudore» invocato dalla censura antica. Odiosa quando cancella la parola «negro» dai romanzi di Mark Twain. O quando manda al macero diecimila copie di un libro su Céline in Francia. Nonostante le parole di Philip Roth ricordate da Agostino Carrino sul Secolo d' Italia (non ancora normalizzato): «Per leggere Céline devo sospendere la mia coscienza di ebreo, ma lo faccio perché lui è un grande liberatore e mi sento chiamato dalla sua parola». Leggere i testi più detestabili. E non censurarli mai. Nemmeno attraverso la zelante censura democratica.