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Kurt Cobain icona curiosa e indecifrabile della libertà musicale

di Federico Zamboni - 28/03/2011



Diciassette anni, dalla morte di Kurt Cobain all'inizio di aprile del 1994. Non il classico anniversario a cifra tonda che viene utilizzato dai media per commemorare persone o avvenimenti. Una scelta anomala che probabilmente a lui sarebbe piaciuta. Ancora meglio: che lui, probabilmente, avrebbe trovato quasi ovvia, in una realtà che a differenza di quella attuale non fosse gravata dalle abitudini, dalle pressioni, e dalle ottusità, correnti.  
Era ciò che aveva sempre cercato, del resto. Quello che aveva sempre desiderato. Con tutti gli eccessi e le imprecisioni di un ragazzo inquieto e disorientato, che non poteva concedersi il lusso di prendersi tutto il tempo necessario a ragionare più a fondo e in maniera più distaccata, visto che quella di cui si sforzava di venire a capo era la sua stessa vita. E non un caso di studio. Non un fenomeno sociale, che riguarda chissà chi, ma comunque degli sconosciuti, e che si svolge chissà dove, ma comunque lontano.
Kurt era cresciuto in una piccola città dello Stato di Washington, all'estremità nordoccidentale degli Usa. Una cittadina che si chiama Aberdeen e che, tanto per cambiare, lo ha rifiutato da vivo e lo ha celebrato da morto. Prima lo ha ignorato, o persino aggredito, quando aveva bisogno di comprensione e di aiuto. Dopo, quando ormai era diventato una rockstar di fama planetaria, ha scoperto che quel tipo intrattabile non era poi così male. Il titolo di una sua canzone è diventato il motto di benvenuto sui cartelli stradali: Come As You Are, Vieni come sei.
Sembra così accogliente. Così amichevole. Così aperto nei confronti di chiunque, indipendentemente da com'è e da quanto può essere diverso dalla popolazione del luogo. E invece è così subdolo, così scorretto, così ingiustificato. Primo: perché la gente di Aberdeen è l'esatto opposto. Secondo: perché è una citazione che isola un frammento dal suo contesto. E di conseguenza lo snatura. Che impressione fa, per chi non sappia da dove arriva? Niente di che. Una variante dell'ormai usuratissimo "Welcome". Una formula come un'altra. Una banalità come un'altra. Ehi, amico, ti va di farti una birra? Ti va di venire al barbecue, stasera? Sottotesto: siamo tutti della stessa pasta e ci va bene così. Gagliardi boscaioli del Nord. Pronti a menare le mani e a scopare tutte quelle che ci capitano a tiro. O almeno a parlarne. Per confermarci l'un l'altro che saremmo all'altezza di farlo, se ce ne fosse l'occasione. Vero: la vita che facciamo non assomiglia un granché a quella che abbiamo in testa. Ma non importa, amico. Un marinaio resta un marinaio, anche se non ha modo di imbarcarsi. Un uomo in gamba resta in gamba, anche se fa le solite cose. Ti va un'altra birra? Ti va un'altra bella bistecca?
La canzone diceva altro. La canzone diceva: Vieni come sei, come eri / Come voglio che tu sia / Come un amico, come un amico, come un vecchio nemico /
Prendi tempo, fai in fretta / La scelta è tua, non fare tardi / Prendi una pausa, come un amico, come un vecchio ricordo / Vieni immerso nel fango, inzuppato di candeggina / Come voglio che tu sia /Come una moda, come un amico, come un vecchio nemico / E giuro che non ho un fucile / No, io non ho un fucile.
Le preferenze sono lecite. Le speranze sono naturali. Probabilmente inevitabili. Basta che non si cristallizzino in pretese. In giudizi, specialmente se sommari. In condanne, specialmente se inappellabili. Kurt Cobain conosceva tutta la trafila. Per esperienza diretta. E ripetuta. E pressante. La conosceva sia nella società che gli stava tutto intorno che dentro la sua famiglia, coi suoi genitori che si erano separati quando lui aveva appena otto anni ma che evidentemente qualcosa in comune ce l'avevano ancora, visto che lo trattavano allo stesso modo. Con lo stesso disinteresse per quello che invece interessava a lui. La musica? Che sciocchezza. Il rock? Che perdita di tempo. Pensa a studiare, Kurt. Oppure vai a lavorare, Kurt. Oppure te ne vai di casa, Kurt. Sua madre glielo disse. Sua madre lo fece. Lo mise fuori dalla porta. Forse voleva solo dargli una lezione, per schiarirgli le idee e riportarlo sulla retta via. Ma i giorni sono passati e lui è rimasto dov'era. A tirare avanti come poteva. A dormire dove capitava. Anche sotto un ponte, alla bisogna. In una specie di anfratto accanto a un pilone del North Aberdeen Bridge. Era questa la lezione, Ma'? Era che non te ne importa nulla, di quello che faccio e di dove sto?
Alla fine, com'è noto, Kurt Cobain se ne andò. Si lasciò alle spalle Aberdeen (la cittadina/prigione, i concittadini/carcerieri) e se andò a Olympia. Poche decine di miglia, ma tutto un'altra storia. L'università. Gli studenti. La curiosità per quello che accade altrove. Il normale di Aberdeen che diventa anormale. E viceversa. L'anormale che non è più un problema, se non per il diretto interessato. Ammesso che lo sia. Kurt Cobain che ha progetti ancora vaghi. Ma a Seattle esplode il grunge. Il grunge è l'erede del punk. «Punk significa libertà musicale. È dire, fare e suonare ciò che ti pare». Una sorta di liberazione. «Sul dizionario Webster, "nirvana" significa libertà dal dolore, dalla sofferenza del mondo esterno: è quanto di più vicino alla mia definizione del punk rock».
Kurt Cobain che è destinato a diventare una star. Che è destinato a diventare un'icona. A essere presentato suo malgrado come il portavoce della X Generation. Kurt Cobain che è conscio di tutti i limiti e le distorsioni dell'industria discografica. Che è spesso indecifrabile nei testi delle canzoni - che al pari di molti altri hanno smesso di voler trasmettere un significato e preferiscono lanciare dei segnali, affinché ciascuno li percepisca e li interpreti come vuole - ma che nelle interviste e nei diari si esprime in termini inequivocabili e durissimi. Su molte cose. Ronald Reagan, ad esempio. La Destra repubblicana statunitense. Gli avidi.
Kurt Cobain che muore in circostanze tuttora oscure, il 5 aprile 1994. Sembra il più palese dei suicidi. Non è detto che lo sia. Kurt Cobain che i più conoscono solo da lontano. E che perciò identificano nella sua immagine pubblica, per non dire promozionale. Una presenza che a molte persone, anche tra i fan, può sembrare così famigliare da non avere più segreti. Non è detto che lo sia.