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Berlusconi-show ma intanto l’Italia perde credibilità

di Massimo Fini - 02/04/2011

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C’è qualcosa di fanciullesco, quasi di infantile nel debordante narcisimo del settantaquattrenne Silvio Berlusconi ed è forse per questo che continua a piacere così tanto ai suoi fans che son disposti a perdonargli tutto. Anche lunedì, al Palazzo di Giustizia di Milano per il processo Mediatrade, il Cavaliere non ha rinunciato al suo consueto show: è salito sul predellino per farsi ammirare dalla folla, ha dichiarato "sono l’uomo più imputato dell’universo e della storia", si è lasciato andare a sapide facezie sul "bunga bunga" e, indicando al suo avvocato il pm De Pasquale, ha chiesto: «Allora, è lui quello cattivo?». C’è in Berlusconi un perenne e giocoso desiderio di fare il discolo come se fosse ancora nella "Terza C" dei Salesiani e il catalogo di queste performance è infinito: va dalle corna fatte alle spalle del ministro spagnolo all’atto di unire le teste di Putin e Bush, seduti nel banco davanti a lui, in un importante meeting internazionale. Questo carattere infantile dell’eterno ragazzo Berlusconi ha come contraltare, inevitabile, l’irresponsabilità dell’uomo e la difficoltà a prenderlo sul serio e con lui a prendere sul serio l’Italia.
Lo si è visto nella crisi libica. Lunedì sera, alla vigilia della riunione, a Londra, dei quaranta ministri degli Esteri, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha tenuto una videoconferenza con i leader di Gran Bretagna, Francia e Germania per discutere soprattutto di come spartirsi i dividendi, economici e politici, della missione libica. L’Italia, che pur alla missione ha prestato le sue basi, è rimasta clamorosamente fuori. Sarebbe stato più difficile escluderci se Berlusconi non avesse fatto il clown con Gheddafi (altro esibizionista della scena politica internazionale, anche se molto più inquietante) non gli avesse baciato, sia pur scherzosamente, la mano, non avesse evoluto con lui per Roma col contorno di una cinquantina di demi-vierge. Così quando si è posta la questione dell’intervento in Libia si è trovato in gradi difficoltà. Il Cavaliere a questa missione non aveva alcuna voglia di partecipare: sia per seri motivi politici, sia perché è tutto fuorché un guerrafondaio, sia per indole (lui vorrebbe essere amico di tutti, purché non gli facciano ombra), sia perché nutriva una sincera ammirazione per il Colonnello, cui è per certi versi affine, e ne subiva lo charme (non bisogna dimenticare che Gheddafi prima di essere lo sconciato vecchio è stato un bellissimo ragazzo). Ma non poteva dire di no, come ha fatto tranquillamente la Germania senza perdere nulla, come si è visto, della sua leadership, per non essere sospettato di connivenze col dittatore di Tripoli. Ha detto quindi un sì poco convinto. È rimasto a metà.
Il risultato è che oggi l’Italia non ricava nulla dalla missione libica ma ne paga i costi più alti per le massicce immigrazioni e le conseguenti tensioni sociali, cui oltre confine sembrano essere piuttosto indifferenti.