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Stati Uniti e America Indiolatina: nuovi presidenti, vecchie abitudini

di Stefano Pistore - 05/04/2011


Stati Uniti e America Indiolatina: nuovi presidenti, vecchie abitudini

Concluso il primo tour di Barack Obama in America Indiolatina è tempo di tirare qualche somma.

Il viaggio del presidente USA è stato rapido ma non di certo indolore. Le parole chiave che hanno contraddistinto le visite in Brasile, Cile ed El Salvador sono state: commercio, energia e sicurezza; il tutto, ornato da un bel contorno di dichiarazioni riguardo la questione libica.

Ma passiamo in rassegna le tre tappe affrontate dall’inquilino della Casa Bianca, ponendo l’attenzione sugli argomenti di maggior rilievo, trattati durante i diversi soggiorni.

Quando il Diavolo ti accarezza…

Obama atterra in Brasile nel momento peggiore della crisi libica: le operazioni portate avanti da parte della Coalizione Internazionale incalzano, e sostenere tali azioni in un Paese dove era stato chiaramente espresso il dissenso verso l’intervento militare, non è stato senz’altro un buon inizio. A tal proposito, numerose sono state le critiche sollevate da molti esponenti del Congresso USA, con cui si è sollecitato il ritorno immediato del Presidente a Washington.

Il tema principale dell’incontro è stato lo sviluppo commerciale.

Da parte del Brasile, il presidente Dilma Rousseff ha richiesto l’eliminazione delle barriere che rendono difficoltoso l’accesso dei prodotti brasiliani nel mercato statunitense, sottolineando come sia “fondamentale” la demolizione di esse affinché si possano stabilire “relazioni economiche più equilibrate e corrette”.

Obama ha invece sostenuto con enfasi la crescita economica del Brasile, esprimendo la volontà del suo Paese di voler contribuire ad ulteriori miglioramenti, identificando gli Stati Uniti come un potenziale “gran cliente” dello stato brasiliano. In particolare, l’interesse è stato rivolto alle fonti energetiche (vedi petrolio) e alla cooperazione per la realizzazione di costruzioni e infrastrutture, necessarie per gli eventi mondiali che prossimamente si svolgeranno in territorio carioca (Mondiali di Calcio, 2014 e

Giochi Olimpici, 2016).

Interessante sotto questo punto di vista (quello di voler intraprendere nuovi affari economici col Brasile), l’analisi dello scrittore Atilio Borón.

Secondo Borón, l’obiettivo primario per gli USA è quello di avanzare all’interno della regione amazzonica, con fini puramente economici. Dal controllo dell’Amazzonia deriverebbe il secondo obiettivo, ovvero, ostacolare la crescente coordinazione e integrazione politica ed economica in corso nella regione, così determinante da far naufragare l’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA; FTAA in inglese) e da contrastare le cospirazioni golpiste e secessioniste in Bolivia (2008) ed Ecuador (2010).

Entrare fisicamente in Brasile significherebbe instaurare nuovi punti di controllo all’interno della regione, poco importa che poi siano camuffati da piattaforme petrolifere.

Con precisione, sempre secondo lo scrittore argentino, la presenza in Brasile andrebbe a completare un quadro già ben chiaro, in cui, con l’Amazzonia come fulcro, si collocano a Nord-Ovest le basi USA in Colombia, ad Ovest le basi in Perù, ad Est la base congiunta con la Francia in Guyana francese e a Sud, le basi in Paraguay.

L’alleato Piñera

La tappa cilena è stata forse la più rilassante per Obama, e non dal punto di vista mediatico o critico (proteste e manifestazioni contro la visita del presidente USA,come in Brasile e in El Salvador, sono state numerose anche in Cile), ma dal punto di vista relazionale. Il presidente Sebastián Piñera è forse la persona che si avvicina di più agli ideali democratici voluti da Washington, colui che meglio incarna i valori occidentali di matrice statunitense.

Obama si è sentito talmente tanto “a casa” da permettersi di attaccare Cuba e le sue autorità riguardo la politica condotta dai fratelli Castro, sventolando le solite bandiere di “diritto e libertà”.

Ricordiamo molto brevemente che nel 1962 gli Stati Uniti d’America firmarono ufficialmente un embargo contro Cuba che vieta tutt’ora: l’esportazione di qualsiasi tipo di prodotto verso il paese nordamericano; l’importazione dagli Stati Uniti di ogni tipo di merce; l’afflusso di turisti statunitensi; l’utilizzo del dollaro nelle transazioni estere; la realizzazione di operazioni con istituzioni finanziarie multilaterali, regionali o statunitensi; e l’accesso a crediti, oltre naturalmente , il divieto a qualsiasi mezzo di trasporto di toccare il suolo USA.

Strano concetto di intendere “diritto e libertà”.

Tornando all’incontro, i temi trattati hanno coinvolto prevalentemente questioni legate al perfezionamento del libero commercio e all’intensificazione degli scambi di beni e servizi fra i due paesi.

Il vero asso nella manica è stato però l’accordo bilaterale preso un paio di giorni prima dell’arrivo di Obama a Santiago.

Il documento dell’accordo, intitolato “Memorandum d’intesa e cooperazione relativo all’utilizzo dell’energia nucleare a fini pacifici” è stato firmato per mano del cancelliere cileno Alfredo Moreno e dell’ambasciatore statunitense Alejandro Wolff. Il contenuto, come

suggerisce il nome stesso del documento, concerne la costruzione di centrali nucleari di produzione USA; intesa che tra l’altro segue un altro patto cooperativo, preso sempre in ambito nucleare, sottoscritto però con la Francia di Sarkozy, che permetterà l’addestramento di personale e lo scambio di conoscenze in materia di nucleare.

Non sono dunque bastate le numerose critiche da parte dell’opposizione del governo cileno e dei tanti gruppi ambientalisti, portate avanti nelle ore che hanno preceduto la stipulazione dell’accordo. Né tanto meno la tragedia in Giappone ha allungato i tempi decisionali, che forse occorreva prolungare dato l’alto tasso sismico di un paese come il Cile.

Va comunque fatto presente che in Cile sono già attivi due piccoli reattori nucleari sperimentali, utilizzati a fini tecnologici e medici, inoltre l’accordo preso non ha alterato l’impegno ufficiale di non realizzare alcun tipo di stabilimento nucleare entro dieci anni. In altre parole, se una decisione verrà presa, riguardo l’installazione di nuovi reattori, non sarà Piñera a prenderla.

Ultima nota sul soggiorno cileno di Obama.

Per dovere di cronaca, al domandone milionario sulla dittatura del generale Pinochet, il rappresentante della Casa Bianca ha inizialmente perso la fluidità del discorso, dopodiché ha manifestato l’intenzione di collaborare con le autorità cilene per far luce sulle violazioni dei diritti umani compiute durante il regime dittatoriale. Tuttavia, ha anche sottolineato l’importanza di non farsi prendere dalla storia e di continuare la strategia economica, politica e democratica che negli ultimi anni hanno portato al concepimento del miracolo cileno.

Alla conquista del Centro America

Terza ed ultima tappa, il piccolo stato di El Salvador.

Apparentemente un potenziale nemico di Washington, vista la presenza al potere del Fronte Farabundo Martì per la Liberazione Nazionale (FMLN) – il partito è stato il principale oppositore alle Forze Armate salvadoregne (FAES) durante la sanguinosa guerra civile, sostenuta economicamente dagli USA, che ha sconvolto il Paese centroamericano durante tutti gli anni ’80; gli ufficiali delle FAES venivano addestrati in centri militari statunitensi come la famosa “Scuola delle Americhe”, oggi “Istituto dell’Emisfero Occidentale per la Cooperazione alla Sicurezza” – che però ha poco a che vedere con i governi di sinistra del vicino Nicaragua o dei Paesi dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nostra America (ALBA). Anzi, il presidente Mauricio Funes ha affermato in passato che i suoi modelli di rifermento in ambito politico sono l’ex presidente brasiliano Lula e il presidente Obama, oltre ad aver espressamente rifiutato l’adesione all’ALBA stessa.

L’aspetto più rilevante della visita è stato l’annuncio dello stanziamento di 200 milioni di dollari, da parte di Washington, per poter combattere la criminalità in America centrale.

Ecco dunque, la terza parola chiave del tour di Obama, la tanto amata “sicurezza”.

Fra i possibili investimenti da compiere con la somma conferita, il presidente USA ha suggerito come eventuali destinazioni: il corpo di Polizia, la prevenzione al crimine e

il rinforzo dei tribunali di giustizia.

Il contributo rientra all’interno dell’Iniziativa di Sicurezza Regionale dell’America Centrale (CARSI, sigla inglese), anche conosciuta con il nome di “Plan Mérida”.
Sul piano commerciale, Obama si è invece pronunciato a favore degli investimenti privati, sullo sviluppo del commercio e sull’incremento delle opportunità lavorative, sottolineando inoltre, l’importanza che il paese di El Salvador si sviluppi al suo interno, in modo da ridurre l’enorme flusso migratorio verso gli Stati Uniti.

Conclusioni

Continua, dunque, la “Reconquista” statunitense.

Da un lato, sul piano economico, Washington cerca di guadagnare terreno nei confronti del gigante cinese che ormai ha messo d’accordo quasi tutti gli stati dell’America Indio Latina, sia a livello energetico che a livello commerciale.

Dall’altro lato lo scopo è strategico e geopolitico.

Con la scusa della sicurezza, il paese nordamericano cerca di difendere i propri interessi regionali.

Il tentativo di destabilizzare le forze dell’ALBA è ormai in atto da un bel po’ di tempo e con il colpo di stato in Honduras, gli USA di Obama hanno raggiunto un traguardo non indifferente.

Non sorprende, quindi, la tappa salvadoregna.
Le parole di Obama sono illuminanti: “El Salvador è il laboratorio neoliberale degli Stati Uniti nella regione”. Entrando definitivamente in questo Stato, Washington avrebbe il controllo di quasi l’intera regione centroamericana. L’ultimo vero ostacolo rimarrebbe il Nicaragua di Ortega che però il prossimo novembre affronterà le nuove elezioni presidenziali. Posizionare un bel candidato a loro immagine e somiglianza non sarà difficile per lo staff della Casa Bianca.

Ad ogni modo, se la situazione è così poco felice in Centro america, altrettanto non può dirsi per la regione sudamericana.

Il consenso popolare nei paesi appartenenti all’ALBA è ancora molto forte, è sufficiente guardare i fallimenti dei golpe in Bolivia e in Ecuador per accorgersene.

Il Brasile della Rousseff non concederà molto facilmente spazi all’interno del Paese: il percorso intrapreso da Lula, culminato con gli accordi Brasile-Iran-Turchia, aveva ed ha ancora oggi l’obiettivo di emancipare lo stato brasiliano dalla potenza nordamericana, in modo da creare un vero modello alternativo su scala mondiale, sotto il profilo economico, politico e culturale. Per questa ragione sia in ambito energetico che in ambito nucleare Brasilia potrebbe continuare a preferire gli scambi e gli accordi con Pechino piuttosto di cedere alle lusinghe statunitensi.

Infine, per quanto riguarda gli altri Stati, oltre ai soliti Colombia e Perù, a cui da qualche tempo si è aggiunto anche lo Stato cileno, le posizioni prese a proposito dell’intervento in Libia ben dimostrano su quale binario intendano viaggiare.

Dopotutto, cercare di ottenere consensi parlando di amicizia e cooperazione, e allo stesso tempo autorizzare bombardamenti e il lancio di missili non è certo garanzia di successo.

*Stefano Pistore (Università dell’Aquila, contribuisce frequentemente al sito di “Eurasia”)