Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il ritorno alla Terra

Il ritorno alla Terra

di Eduardo Zarelli - 05/04/2011

http://t0.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcTNxhTmwldpK7ylP0ZHLUprZl1JplXG6P_J5dJ9qr7GxhHp-GE4


Inizia con una bella prefazione di Carlo Petrini “Ritorno alla Terra”, l'ultimo libro di Vandana Shiva, tra i fondatori dell'ecologia sociale, considerata tra le più grandi scienziate radicali del mondo. Un testo che mette al centro la Terra intesa come suolo, semi, cibo, acqua, aria, ma anche come famiglia di relazioni preziose per la sussistenza dei sistemi viventi.
Originariamente il termine “risorse” voleva dire vita, autorigenerazione. La radice deriva infatti dal latino resurgere, che significa rinascere. Perciò l’uso del termine “risorsa” in relazione alla natura esprimeva il rapporto di reciprocità tra la natura stessa e gli esseri umani. Con l’affermarsi del nominalismo filosofico, del pensiero economico utilitaristico e del modello scientifico riduzionista, le “risorse naturali” sono divenute alimento illimitato per la produzione meccanica. La natura si è trasformata in materia morta, manipolabile, ed è stata negata la sua capacità di crescere e rinnovarsi.
La globalizzazione porta alle estreme conseguenze lo sfruttamento del pianeta riducendo ad un unico libero mercato l’intero pianeta, eliminando ogni difesa locale. Questo comporta la “deregolazione” delle economie su scala mondiale ponendo le multinazionali nell’assoluta libertà predatoria delle risorse naturali, favorendo esponenzialmente il trasferimento delle materie prime dal cosiddetto terzo mondo al primo. Il bisogno pressante di valuta pregiata delle nazioni più povere, le cui economie, abbagliate dal modello occidentale, sono gravemente segnate dal debito, porta tali paesi a disboscare e disporre le terre fertili (spesso residuali, data l’erosione e la desertificazione in corso) a monocolture di prodotti primari per l’esportazione. Se pensiamo che il 20% della popolazione mondiale consuma l’80% delle risorse, mentre l’80% dei sei miliardi di abitanti della Terra si divide il 20% di quel che resta, ci rendiamo conto dello squilibrio accentuato dalla mondializzazione del libero mercato. L’incremento di tali flussi comporta una moltiplicazione dei trasporti il cui costo in emissioni inquinanti, produzione e smaltimento dei mezzi e delle strutture che li supportano, è intuitivamente esponenziale. Inoltre, la finanziarizzazione delle economie e la politica monetaria internazionale comporta l’incremento dell’importazione anche di quei beni che è possibile produrre e consumare localmente. La politica dei cambi e il basso costo dei trasporti (che non riflette i costi reali e ambientali) rendono il bene importato meno costoso di quello prodotto sul posto, con conseguente fallimento dei produttori locali: la maggioranza. Questi ultimi vengono proletarizzati su scala mondiale, alimentando l’urbanizzazione coatta e i flussi migratori. Il “libero scambio” non è affatto libero, protegge gli interessi economici delle multinazionali, che già adesso controllano il 70% del commercio estero mondiale. La libertà di commercio internazionale si basa sull’eliminazione delle sovranità politiche locali, rendendo loro impossibile corrispondere alla volontà dei propri abitanti.
La proposta di Shiva è a tutti gli effetti una strategia per sopravvivere alla crisi – o meglio alle crisi: la fame nel mondo, il peak oil e il surriscaldamento globale – che sta segnando la fine dell'ecoimperialismo dell'Occidente industrializzato e ancora invischiato fino al collo in un modello di sviluppo basato su una crescita che alimenta lo spreco, l'inquinamento, l'esaurimento delle risorse, l'appropriazione di beni comuni, la disgregazione di comunità e culture.
Le tre crisi che ci troviamo a vivere, dice Shiva - riferendosi a clima, cibo ed energia - sono profondamente interconnesse. È da questa prospettiva che l'ambientalista indiana immagina il futuro come una transizione dall'economia del petrolio all'economia della terra, unica occasione di sopravvivenza per tutte le specie. Una transizione che è non solo economica, ma anche e soprattutto politica e culturale.
Per spiegarla, Shiva parte dalla critica all'economia di mercato del sistema globalizzato e ai concetti di “sviluppo” e “produttività” che questo impone illimitatamente a settori precedentemente non mediati dal mercato. In questo senso il “ritorno alla Terra” si pone come l'unica strada possibile.
Questo ritorno non è un tornare indietro e basta. Piuttosto si traduce nella presa di coscienza collettiva che non esista un solo tipo di economia, e che accanto all'economia di mercato ce ne siano almeno altre due indispensabili per la vita del pianeta e per quella dei suoi abitanti: l'economia della natura e l'economia di sussistenza, vale a dire il ciclo ecologico e la ragnatela di relazioni sociali che contribuiscono a tenere in vita tutte le specie, a partire da quella umana.
Tornare alla Terra, insomma, significa tornarci con altri occhi, ma anche rimetterci i piedi. Muoversi dalla produttività di mercato a quella della natura, dall'agrobusiness delle multinazionali all'agricoltura biologica dei contadini locali; ma soprattutto riconoscere ai nativi, agli animali, alle foreste, il ruolo svolto dal loro continuo lavoro di cura e sussistenza all'interno del ciclo produttivo naturale, di cui la catena alimentare rappresenta il fulcro.
 “Quello che serve – scrive Petrini nella prefazione – è un reale cambiamento nei nostri modi di pensare e operare: un nuovo umanesimo, una nuova mentalità, nuovi punti di vista nell'affrontare le sfide che ci troviamo di fronte e un approccio diffuso e differenziato sui territori, sistemico”.
In particolare, il "ritorno" è anche inteso come resistenza al caos entropico causato dalla crescita illimitata su cui è basato il nostro sistema di sviluppo.  A tal proposito, Shiva riprende il concetto di “entropia” così come spiegato dal fisico tedesco Rudolf Clausius, vale a dire come il movimento di qualsiasi sistema verso il caos, ma anche come la misura dell'energia bloccata perché non riutilizzabile. Il passaggio dall'energia libera a bloccata, dalla libertà di auto-rigenerazione ai confini sulla produzione e sulla creatività, dall'abbondanza alla scarsità, è la legge dell'entropia per Shiva.
Scegliere di tornare alla Terra significa allora, scegliere di passare a un sistema a bassa entropia, in base al principio che fa emergere la novità in modi inaspettati. Si tratta sicuramente di una reazione al dolore, una strategia che fa leva sul desiderio di cambiamento; questa emergenza, dice Shiva, caratteristica di tutti i sistemi viventi, a livello sociale si traduce nella scelta di un'economia che sostiene la vita basando il suo modello di produttività e creazione sul ciclo ecologico.
La natura diventa quindi non solo una questione politica, ma una questione di politica economica: è il modello unico (meccanico-industriale-capitalista) che non tiene conto, non risponde, non restituisce all'economia della natura.  Il collasso, dovuto all'illusione della crescita illimitata e del progresso a tutti i costi, per Shiva, non ha futuro se non quello di essere considerato per ciò che rappresenta. E come sempre nei suoi scritti, la fisica indiana chiama in causa la shakti, energia creativa e femminile che muove l'universo e ne tiene insieme le parti, in un ordine armonico ma non per questo immobile. Recuperare questa energia è l'unico modo per cominciare ad immaginare un futuro diverso dal presente che stiamo vivendo, e trasformare la crisi in un'opportunità. La condizione di frammentazione post-moderna rende possibile, convertire l’individualismo in libertà, anche economica, ma nel contesto comunitario: limite naturale (il luogo) nel riequilibrio ecologico tra risorse e necessità; limite sociale della giustizia distributiva e della isonomia delle consuetudini; limite etico a comportamenti corruttori dell’equilibrio del bene comune.