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Nucleare? Il problema è il prezzo

di Matthew L. Wald - 06/04/2011

      
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L’attuale alto costo dell’energia nucleare, al di là dei problemi sulla sicurezza, ha fatto slittare o addirittura bloccare la creazione di nuove centrali anche nei paesi che, come gli Usa, avevano puntato sull’atomo.
Il periodico “Technology Review”, edito dal prestigioso centro di ricerca statunitense “Mit”, spiega perché negli Usa non si costruiscono più centrali nucleari: attualmente il costo dell’investimento per megawatt prodotto è molto più alto di qualunque altra fonte energetica, mentre non c’è sicurezza sulla presunta competitività dell’uranio sul lungo periodo rispetto al gas o al carbone.

Vicino al sito dove dovrebbe nascere la più grande centrale nucleare degli Stati Uniti, Joshua Elkins se ne sta in piedi accanto a due buche di 17 ettari scavate nella terra rossa della Georgia. [...] Il perimetro dove saranno gettate le fondamenta dei due reattori da 1.100 megawatt, che la Southern Company sta costruendo qui, sarà definito secondo specifiche misurate attraverso il Gps. Quando negli Stati Uniti è stato costruito l’ultimo reattore nucleare, Elkins (che ha 27 anni) non era ancora nato. I nuovi reattori progettati per ampliare l’impianto di Vogtle, sessanta chilometri a sud di Augusta, in Georgia, sono il primo caso di edilizia nucleare dagli anni settanta. A volerli è stata un’improbabile alleanza tra grandi aziende energetiche, rappresentanti del governo e ambientalisti preoccupati per il riscaldamento globale. Vogtle doveva diventare il modello per rilanciare l’energia nucleare, non solo in America. Ultimamente, però, questa rinascita sembra essersi fermata. I problemi non riguardano solo gli Stati Uniti. I nuovi progetti sono in crisi anche negli altri paesi che avevano nutrito grandi speranze sul rilancio dell’atomo. A Olkiluoto, in Finlandia, è ancora in costruzione il primo di una serie di reattori progettati dal colosso energetico francese Areva. I lavori, cominciati nel 2005, dovevano concludersi nel 2009. Oggi si parla del 2013. Anche a Flamanville, in Francia, la data di attivazione di un nuovo reattore, sempre progettato da Areva, è slittata dal 2012 al 2014. Oggi negli Stati Uniti ci sono 104 reattori attivi, che forniscono circa il 20 per cento dell’energia prodotta nel paese. Molti hanno migliorato la produttività e quasi tutti sono in funzione per oltre il 90 per cento del tempo. Ma il problema è la loro obsolescenza. Secondo Jay Apt, direttore dell’Electricity industry center della Carnegie Mellon university di Pittsburgh, a mano a mano che le vecchie centrali saranno chiuse e la domanda di elettricità aumenterà, il ruolo del nucleare potrebbe ridursi. “Il punto”, spiega Apt, “non è capire se le centrali saranno in grado di produrre di più, ma se riusciranno a reggere i carichi attuali”.
Rischi e investimenti
Anche se il dibattito sul nucleare si concentra sulle questioni della sicurezza e sulla sua efettiva utilità come fonte di energia a emissioni zero, il principale ostacolo alla costruzione di nuovi reattori negli Stati Uniti è il costo. La spesa per i reattori della Vogtle dovrebbe aggirarsi tra i 12 e i 14 miliardi di dollari. Se si prende per buona la seconda cifra, il costo della centrale sarebbe pari a circa seimila dollari per kilowatt, molto più alto rispetto ad altri tipi di impianti. Costruire un impianto a turbine eoliche costa tra i 2.000 e i 2.500 dollari al kilowatt, mentre per una centrale a gas le cifre scendono a 9501.175 dollari. Secondo i sostenitori del nucleare, i maggiori costi di costruzione si recuperano nel tempo: una centrale di ultima generazione può rimanere attiva per almeno 60 anni, ha spese operative e per il carburante relativamente bassi e, a differenza delle centrali che usano fonti rinnovabili, può funzionare quasi senza soluzione di continuità. Il problema è che i costi dei combustibili (come del resto le spese per costruire i diversi tipi di impianti) possono variare in modo drastico, vanificando ogni calcolo. Se spendere miliardi di dollari per un nuovo reattore sia un investimento intelligente o meno dipende da una serie di fattori complessi e imprevedibili: per esempio il costo dei carburanti fossili e l’eventuale prezzo di scambio delle emissioni di CO2. Analizzando una serie di variabili e di fattori – prezzo delle materie prime, valore del denaro investito, ciclo di vita delle centrali – nel 2008 la società di consulenza finanziaria Lazard ha calcolato che il costo dell’energia prodotta da una centrale nucleare oscilla tra i 98 e i 126 dollari per megawattora. Per l’eolico la cifra è compresa tra i 44 e i 91 dollari e per l’energia prodotta da gas naturale tra i 73 e i 100 dollari. La forbice tra le varie cifre è indice di grande incertezza. Una stima più recente della Energy information administration, basata su parametri diversi, offre uno scenario più incoraggiante per il nucleare: i costi sarebbero molto inferiori a quelli dell’eolico e di altre fonti rinnovabili, e competitivi anche rispetto ai combustibili fossili. Tuttavia, secondo la Lazard, se i prezzi dei due combustibili scendessero ancora, le centrali a gas naturale sarebbero in grado di produrre elettricità a 59 dollari per megawattora e quelle a carbone a 67 dollari. Attualmente il prezzo del gas naturale è basso, e negli Stati Uniti ne sono state scoperte di recente ampie riserve facilmente accessibili. Non è detto, quindi, che in futuro l’energia nucleare sarà più economica di quella ottenuta dai combustibili fossili o dalle fonti rinnovabili. Costruire una centrale atomica è una decisione rischiosa, specialmente in una congiuntura economica difficile. Non è un caso che negli Stati Uniti il nucleare sia diffuso soprattutto al sud, dove la regolamentazione dei prezzi dell’energia garantisce buoni profitti. Una volta completata una centrale, si calcola l’importo totale investito dalla società di servizi nella costruzione e nelle attrezzature. Questo costo base, unito alle spese per il carburante, la manodopera e la manutenzione, più una parte di ricavo che spetta alle società di servizi, serve a determinare la tariffa pagata dal cliente. Gran parte del rischio economico, quindi, non viene sopportato dagli investitori, ma dai consumatori. In molte zone degli Stati Uniti, tuttavia, il prezzo dell’energia è stabilito in modo del tutto diverso. Questo significa che per rendere economicamente appetibile la costruzione di una nuova centrale nucleare, il costo del gas naturale dovrebbe quasi raddoppiare rispetto alle cifre attuali e il governo dovrebbe fissare un prezzo per le emissioni di CO2 di almeno 25 dollari a tonnellata. Far pagare per le emissioni basterebbe a rendere il nucleare molto più competitivo. Una normale centrale energetica a carbone polverizzato rilascia poco meno di un chilogrammo di CO2 per kilowattora. Ciò vuol dire che una carbon tax (o un prezzo di mercato nell’ambito di un sistema di scambio) di dieci dollari per tonnellata di emissioni costerebbe alla centrale circa un centesimo per kilowattora. Non è poco, se si pensa che un kilowattora si vende in media a dieci centesimi. In questo scenario, l’energia nucleare diventerebbe immediatamente più appetibile. Siamo però ancora nel campo delle ipotesi, osserva Jay Apt della Carnegie Mellon: “Non abbiamo ancora una legge sul clima, e non si sa se l’avremo mai”.
[...] Considerato che il rischio finanziario dell’energia atomica è legato in buona parte alla spesa per la costruzione di centrali di grandi dimensioni, una soluzione ovvia è optare per reattori più piccoli. I costi per kilowattora sarebbero più alti, ma il rischio economico sarebbe molto più contenuto, e le società di fornitura potrebbero adattarsi meglio alle oscillazioni della domanda. Alcuni progetti sono già avviati. NuScale Power, un’azienda di Corvallis, nell’Oregon, ha sviluppato un progetto modulare per un reattore di 18 metri per 4, abbastanza piccolo e leggero per essere trasportato su rotaia o via nave. Un’installazione comprenderebbe da uno a 24 reattori, ciascuno in grado di generare appena 45 megawatt. L’azienda sostiene che, in caso di incidente, il calore si disperderebbe attraverso la normale circolazione dell’aria e che non ci sarebbe bisogno di pompe né di valvole d’emergenza. Anche nello scenario peggiore, nessun reattore produrrebbe un livello di radiazioni tale da richiedere l’evacuazione della zona circostante. Babcock & Wilcox, uno studio di ingegneria di Charlotte, in North Carolina, ha sviluppato un progetto simile, per un reattore da 125 megawatt, in grado di funzionare senza bisogno di rifornimento per quattro anni, circa il doppio della norma. Erano decenni che le imprese private non cercavano di trarre profitto disegnando nuovi modelli di reattori nucleari. Anche Per F. Peterson, professore di ingegneria nucleare a Berkeley, in California, è fiducioso: “Nei reattori modulari di piccole dimensioni gli ostacoli e le difficoltà iniziali sono molto più ridotte”.
Senza futuro
Alla Vogtle, in mezzo a un mare di roulotte adibite a uffici, David Jones controlla i lavori di costruzione dei reattori. Jones lavora alla Southern Company da trent’anni. E oggi sa benissimo che l’ondata di progetti nucleari si è fermata. Ma, dice, “qualcuno deve pur cominciare. E quel qualcuno siamo noi”. Se la Southern Company “dimostrerà che il nucleare è una strada percorribile”, terminando l’opera in tempo e rispettando il budget, altri seguiranno il suo esempio. Non tutti, però, ne sono convinti. Richard Lester, presidente del dipartimento di scienza e ingegneria nucleare al Mit di Boston, non è affatto sicuro che un eventuale successo degli impianti in Georgia basterà a promuovere un nuovo rilancio del nucleare. Queste centrali, sottolinea, possono contare su ingenti risorse pubbliche che difficilmente in futuro saranno disponibili per altri progetti. “La domanda è proprio se ci sarà un futuro per l’energia atomica dopo la costruzione di queste prime centrali, realizzate in circostanze eccezionali”, dice Lester. “Se pure riusciremo a costruire quattro o cinque nuove centrali, la domanda resterà sempre: e poi? È un quesito destinato a restare aperto”. Secondo Severin Borenstein, condirettore dell’Energy institute presso la Haas school of business dell’università di Berkeley, lo stallo è dovuto alla mancata approvazione di una legge che affronti il problema del riscaldamento globale. “Ma per quanto riguarda le prospettive dell’industria nucleare è difficile essere ottimisti”, spiega Borenstein. “L’atomo ha vissuto una fase di rilancio perché si pensava che fosse una fonte energetica economica e a basse emissioni. In realtà si sta rivelando molto costoso. E si è anche capito che la cittadinanza in fondo è poco sensibile al tema delle emissioni. L’idea che l’età del carbone sia finita è infondata”.