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Tizio all’Eni, Caio all’Enel...

di Alessio Mannino - 07/04/2011


Succede da sempre e quasi nessuno ci fa caso, ma le nomine ai vertici delle aziende parastatali sono un aspetto cruciale dell’esercizio del potere politico. E delle sue oscure contiguità coi potentati economici. A tessere la tela, non a caso, ci sono innanzitutto Giulio Tremonti e Gianni Letta 


Mentre l’Europa ci tiranneggia e ci succhia il sangue e a questo punto, come faceva correttamente notare Bechis su Libero di ieri, potremmo considerare l’idea di andarcene e riprenderci la nostra sovranità. 

Mentre il dibattito politico nazionale, lo scriveva con acume sempre ieri il nostro Stasi, è monopolizzato dalle vicende processuali del premier Berlusconi sulle quali stravolentieri il Pd (una volta tanto rosso sì, ma di vergogna per il caso Tedesco, parlamentare dalemiano che se non fosse per l’autorizzazione a procedere sarebbe già in cella) inzuppa il pane perché ha tutta la convenienza a svicolare dai problemi cruciali posti dai tre referendum di giugno. 

Mentre il ministro-ballerino Frattini compie l’ennesima piroetta libica e passando dalla parte degli insorti sancisce ancora una volta lo sbandamento a cui è stata improntata la politica italiana nei confronti di Gheddafi. 

Mentre la Lega Nord, in calo di consensi per la paura suscitata nei suoi ossessivi elettori dall’invasione di immigrati a Lampedusa, estrae dal cappello una delle sue tante boutades propagandistiche, le improbabili milizie volontarie regionali. 

Mentre sui giornali si fa colore, cioè si ci perde in chiacchiere, sul farsesco tira-e-molla di Montezemolo che non si decide a questa benedetta discesa in campo (si accomodi pure, tanto ormai peggio di così) e sui pruriti da candidatura dello scrittore Pennacchi che scambia i finiani per fasci e i suoi compagni del Pd per comunisti(qualcuno lo avverta che sono tutti quanti diventati da almeno una quindicina d’anni dei liberaloidi demoplutoeccetera). 

Mentre l’Italia si trastulla e s’imbroda, c’è un signore che quatto quatto tesse la sua tela e si fa garante dei poteri forti: Giulio Tremonti. 

Non ci vengano a raccontare la storia dell’orso, i sapientoni che scambiano il ministro dell’economia per un no-global di destra. Sui libri e in tv può propinarci le dissertazioni che vuole, il tributarista di Sondrio, menandocela che è uno strenuo critico della finanza predona. Ma i fatti dicono che la finanza lui la riverisce e la vezzeggia. La notizia è lì, bella grossa e in evidenza: la lista dei premiati ai vertici delle società partecipate dallo Stato. Tremonti l’ha stilata con la cura dovuta ad una partita delicata come la spartizione delle cariche nei grandi centri di spesa e di influenza economica che fanno capo al Tesoro. Lo ha fatto venendo a compromesso con il suo rivale nella compagine governativa per ciò che riguarda gli equilibri di potere nella macchina statale, l’eminenza azzurrina Gianni Letta, legato ai salotti buoni del business. 

Lui e Tremonti, affiancato da una Lega a caccia di posti, si sono così divisi il bottino. Tremontiano è il nuovo presidente dell’Enel Paolo Andrea Colombo, la cui trasversalità è da manuale: consigliere Mediaset, Eni e sindaco di numerose altre società, ex Rc Quotidiani ed ex Banca Intesa. Quest’ultima qualifica lo rende certamente gradito al padrone del primo istituto creditizio italiano, Giovanni Bazoli, cattolico di centrosinistra. Se ne deve dedurre che Tremonti cerca di gettare ponti anche “di là”. Riconducibile a Letta, invece, è il più internazionale Giuseppe Recchi, assiso alla presidenza Eni. Attualmente è presidente e amministratore delegato di General Electric Sud Europa, vicepresidente di GE Capital Interbanca, ed è consigliere di Exor, la finanziaria della famiglia Agnelli. A tenere il bastone del comando sono in realtà gli amministratori delegati (Fulvio Conti per Enel, Paolo Scaroni per Eni), i presidenti sono privi di funzioni operative. Tuttavia è certo che per un gruppo di potere poter contare su un proprio uomo alla presidenza vuol dire esserci, mantenersi al corrente, far sentire che si ha peso. 

I leghisti non sono riusciti a imporre il viceministro Roberto Castelli, che evidentemente non si contenta di una sola poltrona, come presidente di Terna. L’attuale titolare, Luigi Roth, è un lettiano che dovrà vedersela con un papabile successore altrettanto lettiano, l’ex ambasciatore a Washington Gianni Castellaneta (fatto uscire dal consiglio Finmeccanica). Una pratica tutta per il gran visir Letta, dunque. Né i padani hanno ottenuto di veder innalzato a capo di Enel l’ex sindaco di Busto Arsizio, Gianfranco Tosi. In compenso il Carroccio porta a casa la nomina ad amministratore delegato di Finmeccanica del suo Giuseppe Orsi, che è già in azienda in qualità di responsabile di AgustaWestland, la controllata che produce i famosi elicotteri. A completare il taglia e cuci della lottizzazione ci sono le Poste. È saltato fuori un posticino d’oro nel consiglio d’amministrazione sia per Maria Grazia Siliquini, che ha il solito merito di essere passata da Fli ai “Responsabili” berlusconiani, sia per Antonio Mondardo della Lega (dentro anche una misconosciuta pidiellina, Maria Claudia Ioannucci). 

Passano le repubbliche ma la Seconda non si differenzia dalla Prima nell’usare a piacimento le caselle delle partecipazioni statali come greppie con cui soddisfare gli appetiti delle lobby partitiche e industriali. E Tremonti, che a differenza del “consigliori” Letta non è solo un tecnocrate ma anche un politico, sfrutta l’occasione per intrecciare alleanze e rendere favori che al momento buono gli torneranno utili. Pressappoco quando Berlusconi uscirà di scena.