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Io sto con Pennacchi

di Franco Cardini - 07/04/2011

Foto di Giliola Chistè, www.giliolachiste.com

 

Questo paese ha bisogno di tante cose. Forse di toccare sul serio il fondo. Ci siamo vicini: con al governo un pagliaccio affetto da turbe sessuali senili che si compra i deputati un tanto al chilo e un’opinione pubblica che non ha più la forza di scandalizzarsi di nulla. Quel che le servirebbe, sarebbe solo un evidente e magari drammatico ribaltone economico: uno di quelli che aprisse sul serio gli occhi agli italiani e mostrasse loro in che mondo vivono.

Ho anch’io, come altri, sperato per un istante – qualche mese fa – che dall’impennata d’orgoglio di Gianfranco Fini potesse uscire qualcosa di nuovo. E qualche segnale c’era. Lo so che i “manifesti”, in questo paese di firmaioli velleitari e un pochino anche vigliacchi, lasciano il tempo che trovano. Ma qui, finalmente e vivaddio, qualcosa di nuovo c’era. Un appello redatto da alcuni giovani intellettuali di destra e sottoscritto, tra gli altri, da personaggi come Giulio Giorello, Giacomo Marramao, Nadia Fusini: che accidenti se sono “di sinistra”, e se sono rappresentativi. E la voglia di buttar tutto per aria, di abbattere gli steccati, di far circolare aria nuova.

Credevamo – ed eravamo pochi, ma non pochissimi, a crederlo – che l’abiezione in cui Berlusconi ha gettato il parlamento e il paese avesse alla fine provocato una sferzata di disperato orgoglio in questo popolo di abulici, d’ignoranti, di voltagabbana e di quacquaracquà. Bastava vergognarci, bastava parare il sacco al sexypaperone e alle sue manìe, alla sua ridicola corte di riciclati, di ricattati, di venduti, di magnaccia, di puttanone e di puttanelle travestiti e travestite da ministri, da sottoseghretari e da “onorevoli” (?!).

Eravamo convinti che un bello scossone davvero trasversale sarebbe servito anche a svegliare le persone nonostante tutto per bene (e ce ne sono, anche nel pdl) che perseverano a restar al fianco del Berlusca, un po’ tornaconto forse, ma soprattutto per paura del peggio che potrebbe venire, ad esempio del vuoto politico. Ma ci voleva “caso” da creare, un’occasione, un laboratorio concreto.

E dopo mesi di perdite di tempo, di giri di walzer, di “faccio-politica-ma-non-mi-schido dalle-poltrone”, di appelli generici e di nessuna concreta scelta coraggiosa, ecco che alla fine era uscito fuori qualcosa. E avrebbe potuto essere una bomba.

Lui, Pennaccia Antonio. Umbrolaziale per nascita e per dialetto, aecipontino di Latina e quindi con ascendenti venetopadani, baffi bianchi e occhiali tondi da professore ma berretto “alla spartachista” e sciarpa rossa, una laurea strappata sul serio sgobbando duro la sera e la notte e portandosi sul groppone con scanzonata dignità una vita da operaio che ha visto sul serio la catena di montaggio in faccia. Uno che ha lavorato e ha studiato, uno che la vita la conosce in tutto il suo peso, che si è guadagnato le idee che ha e il coraggio di portarle avanti: non un compagnuccio della parrocchietta né un fighetto da salotto e da terrazza, e tantomeno un intellettuale da gauche-caviar. Era dai tempi di Romano Bilenchi, sissignori, che non si vedeva uno come lui. Pennacchi ha vinto lo Strega nel 2010: e l’ha vinto alla grande, con Canale Mussolini: una saga dei Forsyte e un Placido Don giocato tra il Po e la Palude Pontina, l’epopea di tutto un popolo di contadini rissosi e violenti, aspri e duri come la terra. Pennacchi ci parla di fascismo e di comunismo perché questa è la nostra storia, la storia della nostra gente, la storia delle nostre illusioni e dei nostri fallimenti, del nostro cadere e del nostro risorgere.

E finalmente il miracolo. Da questo mondo di politici cresciuti nel portaborsismo e nel cabotaggio trasformistico spunta fuori – hai visto mai? – un’idea nuova, qualcosa da rovesciare la nostra vita civile come un calzino vecchio. Un gruppo di “finiani”, affezionati al comunista Pennacchi perché lui, sessantenne, è memore della sua giovanile militanza neofascista e non ne ha mai rinnegato l’originaria buona fede, la pulizia dei suoi intenti, gli propone di scendere in campo nella sua Latina, candidato sindaco d’una lista di coraggiosa, in apparenza paradossale convergenza: una lista che sia il risultato dell’alleanza di un po’ del “popolo della sinistra” con alcuni postneofascisti più e più volte pentiti, quelli del fli, insomma i “finiani” – che avranno pur conservato da qualche parte un po’ del loro senso dello stato, della loro vocazione sociale, di quel che insomma nel MSI (si dica e si pensa quel che si vuole) c’era eccome.

Gli esponenti più intelligenti e coraggiosi del fli – Granata, Croppi, la Perina: ma pare, almeno sulle prime, lo stesso Urso – incoraggiano il romanziere, che alla fine smbra starci. E’ un combattente, il Pennacchi: viene da una famiglia di militanti socialisti di quelli duri, poi di legionari fiumani e di squadristi. E’ una pellaccia, ma è anche uno con una parola sola e un cuore grande così. Uno capace ancora, a sessant’anni, con i capelli bianchi e la cervicale, di entusiasmarsi. E’ quello che, col suo romanzo, ha ridato voce e orgoglio ai vecchi bonificatori della palude e ai loro discendenti. Vuol mettere insieme “fascisti” e “comunisti”? Ma sì: chi se ne frega! La posta è alta: bisogna cominciar da qualche parte a liberar l’Italia dalla berlusconite, a spazzar via ipocrisie, disonestà e privilegi. E’ ora di svegliarsi: e una bella scossa è proprio quel che ci vuole.

Ma era troppo bello per esser vero. Sono subito arrivate le Maestrine dalla Penna Rossa, le suffragette del veteroantifascismo e quelle del veteroanticomunismo, i sacerdoti del “non-si-fa-non-si-puo-non-si-deve”, le cariatidi che credono ancora che in questo porco paese, e in pieno marasma senile della globalizzazione, abbia ancora un senso appellarsi a categorie di Destra e di Sinistra già morte e sepolte da decenni.

Mancanza di coraggio, mancanza d’onestà, mancanza di cultura. Che cosa volete mai dire alle Signorinelle Pallide nostalgiche della Prima Repubblica, che cianciano di fascismo e di comunismo ma non hanno mai letto né il Manifesto di Marx ed Engels, né la Carta del Quarnaro, né la Carta del Lavoro, né la Lettera ai fratelli in camicia nera? L’ultranovantenne Ajmone Finestra, guru storico dei veterofascisti pontini, sentenzia: “Mai con i traditori (Fini, traditore due volte: del fascismo e di Berlusconi) e i comunisti”. Certo: meglio restare con i ladri, i ruffiani e le nipotine di Mubarak. Gli fa eco, dall’altra parte della barricata, il pd Moscardelli, che si trincera dietro un tanto originale quanto articolato “inaccettabile”: Continuate così, Compagni e Camerati: continuate a fare del male a voi e al paese. Continuate a non capire che se le persone oneste e di buona volontà perseverano nella politica dello struzzo o si ostinano a giocare ai guelfi e ai ghibellini l’estate resterà nelle mani dei gangsters che la stanno facendo a pezzi con la loro maggioranza parlamentare di venduti e di comprati.

Ma tu, Antonio, tieni duro: perdinci, ora sì che e il caso di dirlo sul serio, Boiachimolla. E se ti fai una lista nella tua Latina, se mi ci vuoi mi candido anch’io. Le conosco bene codeste parti: ci ho fatto il militare, amo Casamari e Fossanova, i feudi dei Caetani e dei Colonna li conosco da bravo medievista. Bisogna bene che qualcuno comincia sul serio a dir basta. Anche agli schemi decrepiti, ai manicheismi di cartapesta, alle risse tra vecchi gallinacci. La battaglia, ora, è una sola. Bisogna buttar fuori Berlusconi e chi gli regge il sacco. Con ogni mezzo. A Latina, se ci fosse chi ha il coraggio di farla, anche con una lista “fasciocomunista”.