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Cambiare se stessi per cambiare il mondo

di Romano Màdera - 08/04/2011

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Un anno fa, in aprile, moriva Pierre Hadot, l’uomo che ha cambiato per molte persone e per molti studiosi, in Francia e nel mondo, il significato della parola filosofia, riscoprendo nell’antichità greca e romana le tracce di una filosofia che è innanzitutto un modo di vivere, prima ancora di essere un discorso, un insieme di teorie. Una visione sorprendente anche per chi ha studiato filosofia a scuola o all’università e ne ha tratto, quasi sempre, l’impressione che si tratti di una raccolta a volte interessante, a volte noiosa di pensieri ben argomentati, ma raramente capaci di incidere nella vita quotidiana. Per Hadot i testi antichi non si possono comprendere a fondo, né si possono spiegare le frequenti contraddizioni, le ripetizioni, le variazioni di uno stesso concetto, se non si collocano gli scritti che ci sono rimasti dentro il contesto nel quale sono stati concepiti. Non si tratta di sistemi di pensiero: la loro finalità non è principalmente quella di informare, di trasmettere saperi, ma, invece, quella di formare uomini diversi, capaci di migliorare se stessi, di raggiungere pienezza di vita, di contribuire alla costruzione di una città, di una polis e quindi di una politica orientata al bene e alla giustizia.
Dal suo lavoro scrupolosissimo di filologo e di storico (ha curato, fra le tante altre, la riedizione dell’opera di Marco Aurelio e di Plotino, ha insegnato al Collège de France), Hadot è arrivato alla convinzione che la filosofia è qualcosa di molto diverso dallo studio dei testi e dalla vita dei professori di filosofia: la filosofia è l’esistenza stessa, l’esistenza di tutti giorni, trasformata in un tentativo, sempre rinnovato e mai acritico, di praticare ciò che si ritiene bene per sé e per gli altri, di esercitarsi ogni giorno per avvicinarsi alla verità su se stessi e sul mondo che ci circonda, di svincolarsi dalla prigione del proprio particolaristico, egoistico interesse, dalla morsa delle passioni che non si acquietano mai in una stabile capacità di apprezzare l’esistenza.
Hadot è stato uno studioso di prima grandezza, è certo, ma ciò a cui più teneva era di riuscire ad essere un filosofo praticante. In un libro-intervista (La filosofia come modo di vivere, pubblicato da Einaudi ) nel quale ripercorre le tappe della sua biografia e ricostruisce le linee fondamentali del suo pensiero dice con la sua abituale semplicità e franchezza: «Personalmente, pur cercando di portare a buon fine il mio compito di storico e di esegeta, mi sforzo soprattutto di condurre una vita filosofica, cioè, semplicemente... consapevole, coerente e razionale. I risultati non sono sempre di livello molto alto, bisogna riconoscerlo. Durante i miei soggiorni all’ospedale, per esempio, non sempre ho conservato la serenità d’animo che avrei voluto mantenere. Comunque sia, cerco però di pormi in determinati atteggiamenti interiori, come la concentrazione sull’istante presente, la meraviglia di fronte alla presenza del mondo, lo sguardo rivolto alle cose dall’alto ... la presa di coscienza del mistero dell’esistenza». Questi sono alcuni degli Esercizi spirituali nella filosofia antica alla cui riscoperta Hadot ha dedicato la vita e il suo lavoro di studioso (il suo libro più famoso porta lo stesso titolo). Si tratta innanzitutto di una «conversione», parola che Hadot ritrova nella filosofia antica e che dunque non è esclusiva della religione, poi di una disciplina quotidiana fatta appunto di esercizi, come parte dei quali troviamo il dialogo, la lettura, lo studio, perché filosofico è un modo di vivere che continuamente si interroga su se stesso cercando di esaminare idee e comportamenti alla luce della ragione. Lo scopo è quello di cambiare se stessi perché serenità e felicità non si trovano inseguendo forsennatamente le illusioni delle passioni egoistiche, ma nel riconoscerci nella realtà e nella verità del nostro essere parte del cosmo, in relazione di interdipendenza con gli altri.
Di fronte alla vertigine della crisi di ogni riferimento all’universale che attanaglia la nostra epoca, Hadot, con semplicità e fermezza, guida il nostro sguardo nella direzione di una sempre riemergente tensione verso la verità, verso la ragione universale, verso gli altri come cuore e mente di una vita ricca di senso. Cambiare la vita, cambiare almeno una vita sapendo che questa è la condizione prima perché la vita associata sia degna di un’umanità consapevole del legame di destino che ci vincola gli uni agli altri. Questo è il compito di una filosofia che per essere modo di vita riconosce di portare in se stessa la sua vocazione alla vera politica.
All'indomani della scomparsa, il quotidiano    francese Le Monde ricordava così Pierre Hadot: «Coerentemente al suo modo di ragionare, questa sobrietà si ritrova con grande evidenza nella sua vita quotidiana, costellata di gioie intense, perché semplici. Malgrado questo, Pierre Hadot non amava essere definito un saggio. E questo è il solo punto su cui aveva torto».