Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Arthur Cravan: il poeta brutale

Arthur Cravan: il poeta brutale

di Romano Guatta Caldini - 11/04/2011

http://www.rinascita.eu/mktumb640a.php?image=1302197132.jpg

“Il poeta metodista ha spine di rosa nelle zampe, per far pace con gli applausi, per sentirsi più distante, la sua stella sì è oscurata da quando ha vinto la gara del sollevamento pesi”: cantava Faber, in “Parlando del naufragio della London Valour”. E al pari del poeta metodista descritto da De Andrè, anche Arthur Cravan, dopo l’incontro con il pugile Jack Johnson, perse quella stella, quella musa letteraria che lo aveva portato a diventare un’icona dada per gli artisti della Parigi d’inizio novecento.
Nipote di Oscar Wilde, poeta per noia e boxeur per professione, Arthur Cravan (pseudonimo di Fabian Avenarius Lloyd) era balzato agli onori della cronaca per la pubblicazione di Maintenant, rivista di critica radicale e brutale, attraverso la quale inveiva contro gli intoccabili della cultura francese, fra tutti Gide e Apollinaire.
A quest’ultimo, ad esempio, Cravan diede dell’ebreo e questi cascando nella trappola del nostro, spedì una lettera di protesta alla rivista chiedendo la smentita. Da buon istrione qual era, ma soprattutto conscio che di lì a poco avrebbe fatto perdere le sue tracce, Cravan scrisse: “sebbene io non tema la sciabola di Apollinaire, dato che il mio amor proprio è scarsissimo, sono disposto a fare tutte le rettifiche del mondo e a dichiarare che, contrariamente a ciò che potrebbe lasciare intendere il mio precedente articolo, il signor Apollinaire non è ebreo, bensì cattolico romano. Allo scopo di evitare futuri malintesi, desidero aggiungere che il suddetto signore ha una pancia enorme e che il suo aspetto esteriore si avvicina più a quello di un rinoceronte che a quello di una giraffa”.
Oltre a Gide che non avrà mai il coraggio di rispondere alle chiamate in causa di Cravan ed Apollinaire, a finire vittima del boxeur, anche la borghesissima pittrice Marie Laurencin. Infatti: “quando dico, parlando di Marie Laurencin, che è una persona a cui bisognerebbe sollevare la gonna e infilare un gran… in un certo posto, in realtà voglio dire che Marie Laurencin è una persona a cui bisognerebbe sollevare la gonna e infilare un gran planetario nel suo teatro di varietà”. Cravan era anche questo.
Certo, Maintenant non era una semplice rivista di critica, quello che la rese celebre, oltre al fatto che ne uscirono solo cinque numeri, fu lo stile di Cravan, una sorta di “palingenesi” dell’arte scrittoria, naturalmente, in chiave dadaista. Anche il fatto che la rivista in questione fosse del tutto frutto della mente e delle tasche di Cravan fece scalpore, considerate, soprattutto, le modalità di vendita: il poeta in piedi su di un carro da fruttivendolo che, girando per le vie di Parigi, urlava a squarciagola i suoi “prosopoemi”.
Centocinque chili di peso per due metri e cinque di altezza: erano questi i numeri di Cravan. Un gigante e nemmeno tanto buono; i suoi scatti d’ira, le sue uscite di scena in puro stile dadaista sono passate alla storia. Ad esempio, quando, nel ’17, Duchamp lo invitò a tenere una conferenza alla Grand Central Gallery di New York, il poeta-boxeur si presentò vestito come uno straccione e con un tasso alcolico da far inorridire perfino un alpino. Qui, una volta salito in piedi sul tavolo dei conferenzieri, anticipando di decenni le gesta eroto-comiche del cantante dei Doors, Cravan si divertì a urinare sulla folla, fra gli sguardi falsamente indignati delle signore in sala. E questa volta, al pubblico era andata anche bene, in una precedente conferenza, infatti, aveva addirittura sparato sopra le teste degli astanti.
Di Cravan, oltre alla prosa ai limiti dell’allucinazione e le gesta goliardiche, sono ricordati i tanti vagabondaggi. Parigi, New York, Londra, Barcellona e Berlino sono solo alcune delle mete note. Viaggi per sfuggire dalle guardie di mezzo mondo - un bruto, uno che non capisce le leggi, dirà di lui Vaneigem - ma soprattutto per sfuggire da sé stesso. Un’odissea che lo porterà a concludere i suoi giorni in Messico. Però, prima di parlare della misteriosa scomparsa del poeta, dobbiamo fare un passo indietro.
Siamo nel ’16, Cravan, come suo solito, è in fuga: c’è la guerra e lui è un disertore. Con la cultura non si campa e allora sbarca il lunario con le dimostrazioni di boxe. Nonostante gli eccessi a cui sottopone il suo fisico, Cravan è comunque un ottimo pugile, tanto da essere contattato dall’allora campione del mondo Jack Johnson. Alcuni dicono che sia il match del secolo, ma non sanno quello che i due pugili hanno in mente. L’incontro avverrà in Spagna. Tutto è pronto, la sala è gremita e gli sfidanti, almeno all’inizio e grazie al loro carisma, infiammano gli animi degli spettatori. Suona il gong, ma invece di uno scontro titanico com’era previsto, il pubblico assiste ad un balletto tragicomico. Cravan saltella come una donzella intorno a Johnson e in seguito a un paio di jab, dopo poco più di un minuto, il poeta cade schifosamente quanto falsamente a tappeto. La folla è inferocita, oramai è chiaro a tutti che l’incontro è truccato. Johnson è portato via dalla polizia che lo mette in salvo dall’ira degli spettatori che chiedono il rimborso del biglietto. Mentre Johnson passa la notte in commissariato, Cravan è già a bordo della nave che lo porterà in America, felice e con la “borsa” dell’incontro.
Da New York al Messico, il passo, per Cravan, è breve. Qui, il poeta-pugile mette in piedi una palestra e, al contempo, si esibisce come “improbabile” ballerino di tango, naturalmente, accompagnato negli spettacoli da due prostitute re-inventatesi tanguere. Nonostante una vita a dir poco sregolata, non sarà la sua conduzione esistenziale a rovinarlo, l’unica vera sfortuna del nostro sono state le donne, una in particolare: la poetessa inglese Mina Loy. Cravan s’innamora perdutamente di lei, tanto da sposarla, anche se in realtà, in Europa, il boxeur si era già unito in matrimonio. Il poeta non aveva un carattere docile, se oltre a ciò aggiungiamo che la fedeltà coniugale non era di certo una delle sue virtù, comprendiamo facilmente il perché della fuga a Buenos Aires della consorte. A onor del vero, l’allontanamento di Mina, secondo alcuni, fu dovuto esclusivamente a ragioni economiche, per altro, senza che fra i due ci fosse stato alcun attrito.
Comunque siano andati i fatti, Cravan, solo e disperato, cercò di riprendere i contatti con la moglie, ma i tentativi di ricongiungimento furono vani. Così, una notte, dopo aver alzato un po’ troppo il gomito, con l’intenzione di raggiungere Mina a Buenos Aires, il poeta prese il largo dalle coste messicane, con una semplice barchetta a remi. Come avverrà anche per Hart Crane, di Cravan e della sua poesia si perderanno per sempre le tracce, là, in fondo al golfo del Messico.