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I freudiani sono una setta che lancia anatemi

di Stefano Montefiori - 13/04/2011

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«Non so lei, ma francamente io non sono mai stato attratto da mia madre. E da bambino andavo più d’accordo con mio padre. Solo che, per Freud, questo fa di me una vittima di Edipo al cubo: sarei così edipico che lo nego. Son capaci tutti di avere ragione così...» . Dopo essersela presa con Dio (Trattato di ateologia, 2005) e sempre insofferente al principio di autorità, il filosofo Michel Onfray attacca ora la divinità laica Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi. In Crepuscolo di un idolo, che domani esce in Italia per Ponte alle Grazie (traduzione di Gregorio De Paola, pp. 486, e 22), lei si impegna a demolire personalità e dottrina di un totem della cultura occidentale, soprattutto di sinistra. Sceglie sempre il bersaglio grosso? «Ma no, ho riletto un po’ per caso Il libro nero della psicoanalisi, che all’uscita nel 2005 avevo tralasciato, fidandomi delle recensioni feroci. Mi sono incuriosito, ho trovato argomenti molto fondati, e ho deciso di fare ulteriori ricerche studiando l’opera completa di Freud e la sua corrispondenza, trovando verità straordinarie e volutamente dimenticate» . Per esempio? «Le simpatie di Freud per Mussolini, al quale scrisse una dedica piena di ammirazione, e per il cancelliere fascista austriaco Engelbert Dollfuss. E poi la costruzione di una rete di fedelissimi in ogni capitale europea, chiamati a una ferrea obbedienza al capo, l’emarginazione dei dissidenti e di chiunque potesse fargli ombra. Freud aveva il culto del leader, nei suoi scritti teorizza la necessità che una sorta di superuomo prenda il potere per guidare la massa informe. La sinistra si è scelta davvero uno strano idolo» . Questo quanto alla personalità di Freud. E la psicoanalisi? «Una truffa fondata sulla totale ascientificità dei suoi enunciati. Attenzione, io me la prendo solo con la psicoanalisi freudiana, non con la psicoanalisi tout court e tantomeno con tutte le altre tecniche di terapia psicologica. Ma Freud ha fondato un sistema chiuso, una pseudoscienza, per curare sintomi e problemi che erano solo suoi. Da lì ad applicarli al resto dell’umanità ce ne corre. Freud si è basato su un caso particolare, se stesso, e a colpi di prepotenza intellettuale e tecniche egemoniche ha preteso di estenderlo all’universale. Dopodiché a qualcuno può piacere e persino servire, ma sia chiaro che è tutto fondato sulle turbe di una sola persona» . La correttezza scientifica di Freud è contestata ormai da tempo, resta il suo valore culturale. «Ma lo si studi allora come un pensatore tra tanti. Il suo strapotere negli Stati Uniti è finito dagli anni Sessanta, in Francia invece è tuttora un’autorità indiscutibile. Forse l’Italia è più fortunata, non ha conosciuto l’era di Lacan, che ha protratto l’influenza freudiana fino ai giorni nostri. Quella di Freud in Francia è una chiesa pronta a scomunicare. Basta guardare l’accoglienza che ha avuto il mio libro» . Un ottimo successo di pubblico. «E articoli violenti contro il saggio ma soprattutto contro di me. Sono stato trattato da nazista e massacrato dalla stampa intera, tranne Lire e Le Point. Eppure sono noto per avere idee di sinistra. Il fascista semmai è Freud. E nessuno, neanche uno dei miei tanti critici, ha saputo smontare le mie tesi. Solo insulti» . Signor Onfray, non è che il successo l’ha fatta diventare antipatico? «Questo è sicuro, in Francia la popolarità è un peccato imperdonabile. Negli Stati Uniti mi avrebbero già offerto un campus, qui continuo a riempire il teatro di Hérouville-Saint-Clair alla periferia di Caen. Ne sono fiero. Ottocento persone due volte al mese vengono per sentirmi parlare di Otto Gross o Wilhelm Reich. Non è un risultato da poco, specie per uno completamente fuori dalle combriccole come me» . Lei gioca a fare l’outsider ma la si vede spesso in tv, anche lei è un personaggio mediatico. «Per ogni invito accettato ce ne sono decine rifiutati. E non vedo perché dovrei condannarmi a sparire, visto che già sono stato fatto fuori dai grandi giornali. Mi piace farmi sentire, almeno ogni tanto. Sono un provinciale capace di andare in televisione» .