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Sillogismi dell'amarezza

di Giacomo Gabellini - 16/04/2011

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All'interno del monumentale capolavoro "Le Storie", l'incedere impetuoso della narrazione di Erodoto a un certo punto si interrompe per lasciar spazio a una piccola digressione dedicata alla descrizione della stupefacente caratteristica che gli "abitatori" del mondo antico attribuivano comunemente a uno strano e piccolo pesce, meglio noto all'epoca come "pesce remora". Tale pesce era ritenuto titolare della capacità di far incagliare le più pesanti navi da guerra o da trasporto nel bel mezzo del mare, condannando o le stesse all'inesorabile affondamento per logorio della carena o l'equipaggio a una morte di stenti dovuta all'esaurirsi delle provviste. Il "pesce remora" che compromette la comprensione della vicenda legata all'esecuzione di Vittorio Arrigoni, e che fa collidere l'intelligenza umana contro scogli ideologici spaventosi è la sciagurata forma mentis acquisita negli anni, che porta la maggior parte della sedicente "opinione pubblica" a bersi la razione quotidiana di idiozie somministrate dai media di massa. Una ricostruzione dei fatti molto in voga in queste ore accredita l'ipotesi che Arrigoni si sia trovato vittima di un regolamento di conti tra uno sparuto gruppo di salafiti intransigenti che imputerebbero ad Hamas un approccio eccessivamente soft nei confronti della controparte israeliana e nell'applicazione effettiva della Sharia all'interno della striscia di Gaza, mentre ad Arrigoni di aver "portato il vizio" tra i palestinesi. Hamas avrebbe rifiutato lo scambio di prigionieri proposto dai rapitori e organizzato un blitz per liberare l'ostaggio, ma qualcosa sarebbe andato storto e Arrigoni ci avrebbe rimesso la pelle. La morale della favola è quindi piuttosto chiara: Vittorio Arrigoni ha pagato a carissimo prezzo la propria generosità e apertura mentale, andandosi a cacciare in un gioco più grande di lui che vede l'una fazione gonfiare i muscoli per dimostrarsi "più dura e pura" rispetto all'altra. Ad Israele come al solito non viene riconosciuto né alcun ruolo effettivo né alcuna responsabilità nella vicenda. Si tratta, quindi, dei soliti invasati religiosi che uccidono i "portatori del vizio". Un pò come i "popoli" che rivoltano il nordafrica perché smaniosi di chattare con Facebook o scambiarsi messaggi tramite Twitter, o come Osama Bin Laden e la congrega di pecorai al seguito che organizzano e pianificano gli attacchi alle Twin Towers per "dare una lezione all'America". Nessuno che si ponga la fatidica domanda: cui prodest? Chi sta traendo vantaggio dai subbugli nordafricani? Chi ha beneficiato dell'11 settembre 2001 gettando le basi per una creazione del "grande Medio Oriente"? A chi gioverà questa oscura morte di Vittorio Arrigoni? Alle prime due domande è già possibile formulare risposte adeguate, mentre sull'ultima è bene rimanere nell'ambito delle probabilità. I moti nordafricani sono il frutto di tensioni che serpeggiavano in seno alle nazioni in cui si sono verificati mischiate con ingerenze e fomentazioni esterne, con paesi come Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna che nel caso della Libia, hanno ben presto assunto urbi et orbi il comando delle operazioni per puntellare la propria presenza (Total e British Petroleum in primis) nelle aree coinvolte. La colpa per gli attacchi dell'11 settembre 2001 fu immediatamente addossata alla sedicente rete terroristica meglio nota come "Al Qaeda" e al suo capostipite, quell'Osama Bin Laden di cui gli uSA si erano serviti massicciamente per restituire la pariglia ("Abbiamo dato ai sovietici il loro Vietnam", sogghignò il vecchio Zbigniew Brzezinski) all'Unione Sovietica invischiandola nelle sabbie mobili afghane, improvvisamente fulminato sulla via di Damasco e riscopertosi acerrimo nemico degli Stati Uniti. Le colossali lacune e incongruenze riscontrate negli anni da numerosi attenti osservatori, (Thierry Meyssan, Webster Tarpley ecc.) che hanno fatto emergere una serie di reticenze, connivenze, menzogne, falsità e quant'altro che hanno reso il quadro della situazione assai poco edificante e che gettano un'ombra a dir poco fosca sulla Casa Bianca e sui suoi facoltosi inquilini, che avevano già Afghanistan e l’Iraq inquadrate nel mirino. Una nebbia fittissima che rende terribilmente arduo il compito di dare una spiegazione credibile della vicenda, avvolge invece la morte di Vittorio Arrigoni. La frangia di salafiti chiamata in causa – ammesso e non concesso che esista sul serio - ha rivendicato la propria estraneità ai fatti, emulata da molte altre formazioni che operano lungo la striscia di Gaza. Si tratta di indizi che paiono costruiti ad arte per condurre chi li segue al classico vicolo cieco. Un'analisi politica può invece fornire una chiave di lettura valida dell'intera vicenda. Hamas è un'organizzazione nata dalla corruzione, dall'inettitudine e dall'arrendevolezza di Al Fatah, in grado di adempiere a funzioni difensive, sociali, politiche ed economiche lungo la striscia di Gaza, ereditando il modello, ben più strutturato, coordinato e potente, di Hezbollah in Libano. Proprio come Hezbollah, Hamas vanta un forte radicamento popolare che consente ai suoi adepti di esercitare un controllo capillare sul territorio. Il sequestro di Arrigoni ha messo in scacco questo suo grosso motivo di vanto e spinto i suoi vertici a organizzare un arrabattato piano di salvataggio che le restituisse credito internazionale. Il fallimento del piano ha peggiorato nettamente la situazione ed ora i leaders di Hamas si ritrovano imbarazzati a fronteggiare un'agguerrita canea giornalistica che gli chiede conto dell'accaduto, senza sapere cosa rispondere. C'è da aspettarsi che nell'arco di pochi giorni Bernard Henry Levy piombi come un falco sulla vicenda e che la strumentalizzi a dovere come prova legittimatoria di un "necessario" e radicale ripensamento anche sulla effettiva efficacia di Hamas. Cui prodest, dunque? Giova sicuramente agli israeliani, che si vedono tolto dai piedi uno scomodo e infaticabile loro accusatore come Arrigoni e un'organizzazione ostile come Hamas fortemente screditata a livello internazionale. Due piccioni con una fava. Ultimamente, tra l'altro il governo di Tel Aviv aveva approfittato del ritrovato feeling con gli USA per intensificare gli attacchi su Gaza, come eloquente risposta alla proposta inoltrata all'ONU dalla Lega Araba, favorevole all'istituzione di una "no fly zone" sulla striscia. Gli unici punti fermi in tutta questa tragica e oscura vicenda sono che Arrigoni è stato ucciso (si ignorano mandanti, esecutori, comprimari e dinamica dei fatti) e che la cosa porta acqua al mulino di Israele. Non sono accuse, ma riflessioni che andrebbero fatte ogni qualvolta si profilano scenari simili, anche perché l'11 settembre 2001 è passato da quasi dieci anni, ma ancora quel "pesce remora" impedisce a molti di prendere atto delle enormi responsabilità dell'amministrazione statunitense del tempo e un "pesce remora" molto simile per far si che la possibilità che Israele sia direttamente o indirettamente coinvolta nella vicenda non venga presa in considerazione. Se lo si fa si è irrimediabilmente tacciati quanto meno di complottismo, quando non di "terrorismo ideologico", una etichetta coniata ad arte un decennio fa, da affibbiare a chiunque osi avanzare il dubbio che l'11 settembre 2001 corrisponda idealmente al vero e proprio Reichstag di Gerge W. Bush. Il resto, come si suol dire, è Storia.