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Il sogno faustiano di una vita immortale è la suprema espressione d’ignoranza

di Francesco Lamendola - 18/04/2011



Vivere per sempre, senza morire mai: presso quale popolo non si trova questo mito, dalla più primitiva tribù della selva amazzonica alla babilonese «Epopea di Gilgamesh» e poi su, su, fino al moderno uomo faustiano, come lo definiva Oswald Spengler?
Senonché, a considerarlo bene, si tratta del mito più fuorviante, dell’aspirazione più inconsapevole mai prodotti dalla mente umana, stoltamente alimentati da millenni di letteratura, per non parlare del delirante sogno degli alchimisti, orientali così come europei.
Vivere per sempre, in questa dimensione e su questo livello di esistenza, sarebbe, infatti, a riflettere anche solo pochi momenti, la peggiore condanna e la peggiore tortura che si possa mai immaginare per la dannazione e per la distruzione dell’anima umana.
Che altro è la vita umana, infatti, se non l’occasione che ci viene data per aspirare e, in parte, per cominciare a realizzare, attraverso prove ed errori, già qui ed ora, una nuova e diversa modalità di esistenza, portandoci su di un più elevato piano dimensionale?
Che senso avrebbe ripetere quelle prove e quegli errori all’infinito, restando ferocemente attaccati alle pulsioni di matura materiale; alla vita stessa, intesa come processo puramente biologico e non come cammino evolutivo verso una superiore coscienza di sé e del reale?
Vivere per sempre: a che scopo? Per reiterare sempre le stesse dinamiche, trascinati dalle medesime pulsioni egoistiche, dalla stessa inconsapevolezza, dalla stessa incapacità di elevare lo sguardo verso la nostra autentica realizzazione, che travalica dalla sfera del finito a quella dell’infinito, dalla sfera del relativo a quella dell’assoluto?
Ben misera cosa sarebbe la nostra vita, anzi, decisamente orribile, se essa dovesse trascinarsi un anno dopo l’altro, un secolo dopo l’altro, senza mai far nascere in noi l’aspirazione ad un’esistenza più piena, dove la bontà non sia solo un rozzo tentativo, sovente intrecciato a motivazioni poco nobili, ma una autentica aspirazione verso il bene in se stesso,  perfetto, intangibile, privo della più piccola traccia di egoismo e di interesse; dove ogni cosa trovi il suo più vero compimento, concorrendo a formare un universo armonioso, raggiante, pacificato, redento?
Solo in un’anima poco evoluta può venir coltivato, con lunghi studi e con assidua determinazione, il disegno faustiano di una vita immortale (che è altra cosa dalla vita eterna: perché quest’ultima non conosce principio né fine): faustiano, cioé contrassegnato da un patto  con le forze diaboliche che, da sempre, si adoperano affinché l’uomo smarrisca il desiderio e finanche il ricordo di una esistenza più piena e più vera, nella quale realizzare tutte le proprie potenzialità ontologiche.
Quegli alchimisti, dunque, e quegli studiosi di occultismo, i quali hanno perseguito l’obiettivo di sconfiggere la propria morte, non da altro spinti che dalla paura della morte fisica e dal desiderio di rinnovare incessantemente il banchetto della giovinezza, dei piaceri e del potere, non potevano essere che delle creature inconsapevoli e sciagurate; non di rado, inoltre, dei malvagi, disposti a ricorrere alle pratiche nefande della magia nera, compreso il sacrificio di creature innocenti, vergini e bambini, allo scopo di prolungare indefinitamente la propria dimora terrena.
Ma sono dunque esistiti dei personaggi di un tale genere, oltre che nelle pagine dei romanzi d’appendice, anche nella realtà storica?
Cagliostro, Saint Germain, Fulcanelli: questi ed altri nomi, che ricorrono nelle storie dell’alchimia e delle scienze occulte, hanno prestato le loro differenti maschere ad un unico essere umano, capace di valicare le frontiere dei secoli, vivendo una vita senza fine, potenzialmente immortale?
E si può immaginare che un simile individuo, dotato di intelligenza e di una forte carica di volontà, oltre che di profonde conoscenze nel campo dell’occultismo, possieda un animo generoso e benevolo; o non bisogna piuttosto dedurre, inevitabilmente, che deve trattarsi di un individuo potenzialmente o attivamente maligno, pronto a servirsi di qualunque mezzo, fosse pure di natura criminale, pur di prolungare artificialmente la propria vita, come la contessa ungherese Elisabetta Bathory, che faceva il bagno nel sangue delle sventurate giovinette che lei stessa faceva rapire ed uccidere a tale scopo?
E non si potrebbe pensare che taluni fenomeni di infestazione in antiche dimore, che furono abitate da individui del genere, possano essere legati proprio alla persistenza di scorie animiche di questi ultimi, rimasti rabbiosamente aggrappati alla dimensione materiale dell’esistenza ed incapaci, quindi, di affrontare il salto qualitativo che la morte richiede?
Lo scrittore Edward Bulwer-Lytton, che fu anche studioso di occultismo e che conobbe dall’interno taluni circoli esoterici e magici del suo tempo, ha abbracciato una ipotesi del genere, delineando mirabilmente, nel contempo, il ritratto di questo ipotetico, ma forse non solo ipotetico, personaggio faustiano, nel suo racconto «The House and the Brain» («La casa e il cervello»), pubblicato in italiano nell’antologia «Le case del brivido» (titolo originale: «House Shudden», a cura di Martin H. Greenberg e Charles G. Waugh, 1987; versione italiana di Gianni Pilo, Roma, Newton Compton Editori,  1995, pp. 43-45):

«Un’intensa malignità in un’intensa volontà, generata in un individuo particolare,e aiutata da mezzi naturali conosciuti dalla scienza,  può produrre effetti quali quelli attribuiti una volta alla Magia Nera. Può perciò perseguitare le pareti di una abitazione umana con ritorni spettrali di tutti i pensieri criminali e di tutte le azioni colpevoli, una volte concepite e attuate tra quelle mura. Tutto ciò, in breve, con cui il male esigerà un rapporto e un’affinità: frammenti imperfetti, incoerenti e parziali, dei vecchi drammi ivi successi anni prima. I pensieri perciò si incrociano casualmente, come in una visione da incubo,  trasformandosi in fantasmi di visioni e di suoni, e tutto ciò serve a creare orrore non perché queste visioni o questi suoni siano realmente emanazioni di un altro modo, m, ma perché sono spettrali e mostruose repliche di ciò che è successo  un tempo in questo stesso mondo, recitate in un dramma maligno da un mortale maligno.»
Ed è attraverso l’azione materiale di quel cervello umano che queste cose possono acquistare addirittura un potere concreto. Potrebbero tremare come attraversate dalla corrente elettrica e potrebbero uccidere e, se il pensiero della vittima non si mostrasse superiore ala volontà dell’assalitore originale, potrebbero uccidere l’animale più forte snervato dalla paura, ma non potrebbero far del male all’uomo più debole se, mentre la sua carne trema, la sua mente si erge solida  senza paura.
Perciò, quando nei vecchi racconti leggiamo di un mago fatto a pezzi dagli spiriti, o meglio dai demoni che ha evocato, o ancora, nelle leggende orientai, di uno stregone che riesce con l sue arti  magiche a distruggerne un altro, potrebbe esserci ben poca verità nel fatto che un essere materiale  si, grazie alle sue inclinazioni, fornito di certi elementi  e fluidi che, generalmente tranquilli e innocui, esplodono con forme incredibili e forza incredibile, esattamente come nel fulmine che giace nascosto innocuo tra le nuvole diventa improvvisamente visibile, assume una forma distinta all’occhio umano,  e può scatenare la distruzione sull’oggetto da cui è attratto.
Voi avete sicuramente l’idea di un segreto molto potente, disse il signor Richards composto. Secondo la vostra  opinione, se un mortale ottenesse il potere di cui parlate, dovrebbe per forza essere maligno e crudele.
Se il potere fosse esercitato come ho detto prima, l’individuo più maligno e cattivo, nonostante io creda nelle antiche leggende,  il suo potere non potrebbe nuocere ai buoni. La sua volontà potrebbe nuocere  solamente a coloro sui quali ha stabilito un’affinità, o a coloro ai quali riesce a imporre il suo dominio irresistibile. Porterò ora un esempio che potrebbe essere del tutto naturale,  oppure sembrare selvaggio come le favole di un monaco confuso.
Vi ricorderete che Alberto Magno, dopo aver descritto con cura il procedimento attraverso il quale  gli spiriti possono essere evocati e assoggettati, conclude enfaticamente affermando che uiesto procedimento funzionerà e sarà utile solamente a pochi, ossia a degli uomini che siano nati maghi, cioè, con delle caratteristiche particolari, così come un uomo nasce poeta.
Sono rari gli uomini nella cui costituzione si nasconde questo potere occulto di un livello intellettualmente più elevato; di solito nell’intelletto  esiste sempre qualche inclinazione, perversità o malattia. Ma, d’altra parte, queste persone devono possedere una facoltà impressionante di concentrare il proprio pensiero su un singolo oggetto, ossia  quella facoltà energetica che noi chiamiamo volontà. Perciò, nonostante il loro intelletto non sia superiore, è del tutto adatto ad ottenere ciò che desiderano.
Io immaginerei una persona del genere già dotata di una costituzione eccellente   e di forze adeguate. La collocherei nei radi  più elevati della società. Supporrei che i suoi desideri siano simili  a quelli dei sensualisti, cioè dovrebbe avere un grande amore per la vita. Sarebbe un egotista assoluto, la sua volontà concentrata su se stesso, capace di passioni crudeli, privo di pazienza e di affetti sacri, ma capace di avere ardentemente e avidamente ciò che al momento desidera, o di odiare implacabilmente quanto ritenesse di ostacolo  nel raggiungimento e i suoi obiettivi, in gradi di commetter crimini terribili e nonostante ciò di provare scarso rimorso, preferendo lanciare maledizioni sugli altri piuttosto che fare penitenza per i suoi misfatti.
Le circostanze alle quali la sua costituzione dovesse guidarlo gli farebbero raggiungere una rara conoscenza dei segreti  naturali che possono servire al suo egotismo.  Sarebbe un acuto osservatore quando le sue passioni incoraggiassero  la sua osservazione, e un calcolatore preciso , non per amore di verità ma perché l’amor proprio acuirebbe le sue facoltà, per cui dovrebbe essere un uomo di scienza.
Suppongo che un essere simile, avendo imparato il potere delle sue arti a seguito di esperienze sopra gli altri, sforzando il potere della propria volontà sopra il suo stesso corpo, e studiando tutto ciò nella filosofia della natura, possa aumentare questo potere. Egli ama la vita, e teme la morte, vuole sopravvivere. Non può recuperare la giovinezza, non può fermare interamente  il processo della morte, non può diventare immortale nella carne e nel sangue, ma può arrestare questo processo per un tempo così lungo da apparire incredibile, cioè può interrompere quella sclerotizzazione del corpo che costituisce la vecchiaia.
Un anno può invecchiarlo  quanto un’ora invecchia un’altra persona. La sua volontà intensa, educata scientificamente e sistematicamente, opera, in breve, sul consumo e a lacerazione della sua stessa struttura fisica.  Egli sopravive. Dato che non può sembrare un portento e un miracolo, ogni tanto muore, secondo l’opinione di certe persone. Avendo preorganizzato il trasferimento della ricchezza che gli è sufficiente per i suoi desideri, scompare da un angolo del mondo, e fa in modo che le sue esequie funebri sano celebrate. Poi riappare all’altro capo della terra, dove aita sconosciuto, e non ritorna nei luoghi della sua vita precedente  fino a che tutti quelli che potrebbero ricordare i suoi lineamenti non siano scomparsi.
Sarebbe molto sfortunato se avesse delle malattie,  dato che non c’è nessuno che lo ami. Nessun uomo retto accetterebbe la sua longevità e a nessun uomo, buono o cattivo, vorrebbe o potrebbe comunicare i suoi veri pensieri.  Un uomo simile può esistere; un uomo come colui che ho descritto è quello che vedo ora davanti a me!»

Si noti che un uomo del genere, secondo l’opinione qui espressa da Edward Bulwer-Lytton per bocca di un suo personaggio, non sarebbe un cultore della magia nel senso comune della parola, quanto, piuttosto, un profondo conoscitore delle leggi naturali ancora ignorate dalla maggioranza degli uomini. Non si fa questione del soprannaturale, ma di una padronanza delle leggi più segrete del mondo naturale, mettendole al servizio di una poderosa volontà e, soprattutto, di una feroce, inestinguibile brama di vivere.
Si tratta, per inciso, di una concezione dell’occultismo molto vicina a quella del più famoso mago nero del XX secolo: Alesiter Crowley; il quale, ancora per inciso, sembra avere incarnato quasi esattamente i caratteri della personalità qui delineata da Bulwer-Lytton in via puramente ipotetica e romanzesca.
La stessa feroce volontà di sopravvivenza; lo stesso egotismo sconfinato; la stessa selvaggia forza passionale, ben decisa a realizzare il proprio piacere a qualunque prezzo e in qualunque modo, fosse pure il delitto: così come, del resto, essa apparve allo scrittore William Somerset Maugham, che lo conobbe personalmente e che ne dipinse un terribile ritratto nel suo romanzo «The Magician» («Il Mago»), pubblicato nel 1908.
E, già che ci siamo, come potremmo non notare come il mondo moderno sia profondamente crowleianizzato, nella stessa misura in cui si è scristianizzato; visto che la massima prediletta del mago inglese, «Fa’ ciò che vuoi» (tante volte ripetuta anche dal complesso musicale più applaudito del secolo ora trascorso, «The Beatles», amava ripeterla, sì da farne la base del proprio messaggio ideologico), sembra proprio essere divenuta la parola d’ordine della modernità?
Ma torniamo all’ipotesi che un simile personaggio sia realmente esistito; e che, per rigore logico, probabilmente esista tuttora.
Abbiamo accennato a Cagliostro, a Saint Germain, a Fulcanelli; ma, benché si raccontino molte storie che potrebbero far pensare che questi diversi personaggi siano stati, in effetti, una sola ed unica persona, capace di sopravvivere al trascorrere dei secoli, rimanendo sempre giovane e affascinante, ad un serio esame appare piuttosto chiaro che nessuno dei tre possiede i requisiti fondamentali per candidarsi ad un ruolo del genere.
Cagliostro era troppo più simile a un ciarlatano che ad un vero maestro dell’occulto; Saint Germain era soggetto a quelle innocenti debolezze della vanità che lo fanno escludere senz’altro, dato che, come si è visto, un individuo capace di sconfiggere il passare del tempo, dovrebbe sforzarsi in ogni modo di tenere celato il proprio segreto; e Fulcanelli sembra piuttosto il tipo dell’alchimista puro, tutto preso dalla ricerca del sapere, invece che l’avido egotista desideroso sopra ogni altra cosa di servirsi del sapere occulto per vivere indefinitamente, inseguendo i piaceri materiali.
Altri personaggi storici, apparentemente più lontani da ciò che ci si potrebbe aspettare in un simile tipo umano, possono forse candidarsi al ruolo che abbiamo delineato: personaggi della politica, della finanza, dell’industria, che sembrano trasmettersi un tenebroso ed occulto potere mondiale, di generazione in generazione, così come ha ipotizzato, anche se con molte esagerazioni che non giovano alla credibilità della sua tesi, il ricercatore inglese David Icke.
Ad essi vanno accostati quegli scienziati che stanno lavorando accanitamente, in tutta serietà, per sconfiggere la morte fisica e che si sono anzi proposti di riuscire nel loro intento nel corso dell’attuale generazione, al prezzo delle più mostruose forme di manipolazione della vita umana (cfr. il nostro articolo «Liberarsi dall’aspettativa, figlia malata dell’idea di progresso», sul sito di Arianna Editrice).
Una cosa è certa.
L’amore per la vita è un aspetto nobile e ammirevole della personalità umana, ma solo se esso si accompagna alla volontà, o almeno al desiderio, di oltrepassare la dimensione più edonistica di essa, per puntare alla realizzazione della consapevolezza spirituale.
Tutti coloro i quali hanno predicato l’amore della vita fine a se stesso, l’amore della vita così come essa è attualmente, e non come potrebbe diventare se noi prendessimo coscienza delle nostre vere potenzialità e del nostro autentico destino, hanno finito per delineare qualcosa di molto simile all’Inferno, non di rado rimanendo travolti dalle loro stesse teorie.
Nietzsche, che si può considerare il massimo esponente di questa tendenza, era nel giusto quando affermava che l’uomo è qualcosa che deve essere superato; ma sbagliava, e di molto, quando immaginava codesto superamento nel regno della quantità e non della qualità: vale a dire in un vivere più intensamente biologico, anziché più intensamente spirituale: di qui il corto circuito fra le forze messe in gioco e la capacità della mente umana di contenerle, corto circuito che, in ultima analisi, è stato la causa del suo collasso psichico.
Amare davvero la vita, infatti, non vuol dire amarla così come essa è; non vuol dire adorare l’esistente nella sua bruta fattualità.
Come si può amare incondizionatamente una vita in cui un bambino di tre anni può morire, straziato da dolori intollerabili, di tumore al cervello? Come si può amare una vita che, pur di sopravvivere, è pronta a calpestare dieci, cento, mille altre vite, perché sospinta da un feroce istinto di autoconservazione, tanto cieco quanto crudele?
No: la vita che merita di essere amata, è la vita ove cessa la lotta per la sopraffazione, ove si placa il disordine delle passioni, ove risplende la parte migliore di noi stessi: condizione che non si potrà mai realizzare autenticamente sul piano biologico e materiale, ma che può trovare attuazione oltre le soglie della morte.
Ecco perché, come dice San Francesco nel «Cantico delle creature», l’uomo retto, pur amando tutte le cose belle che la vita offre, non ha paura della morte; anzi, quando essa arriva, non cerca di respingerla come una nemica, ma l’accoglie serenamente, in vista del proprio autentico compimento.