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Junichiro Tanizaki e l'elogio dell'ombra

di Valerio Zecchini - 26/04/2011

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Introvabile da tempo,finalmente Feltrinelli  ha ristampato questa raccolta dei primi racconti di Tanizaki, un gigante della letteratura del novecento che in Italia il grande pubblico conosce soprattutto per il romanzo “La chiave”, da cui Tinto Brass trasse un fortunato film  con Stefania Sandrelli. Nonostante si tratti della sua produzione giovanile, in questi sei racconti troviamo gia’ la perfezione di stile, la capacita’ di addentrarsi nei piu’ intimi recessi della psiche e la ricercatezza formale che caratterizzeranno tutta la sua opera successiva.
Nato a Tokyo nel 1886, Tanizaki cresce in un’agiata famiglia di mercanti. Compie dei brillanti studi all’Universita’ Imperiale di Tokyo, ma nel 1910 la rovina di suo padre lo costringe ad interromperli.  Nello stesso anno, pubblica il suo primo testo, una novella crudele e raffinata,”Il tatuaggio” (qui inclusa), nella rivista che aveva fondato con alcuni amici. La storia della bella cortigiana e del suo tatuaggio a forma di ragno fa scandalo e lancia la sua carriera di scrittore. Nel 1913, mette insieme tutte le sue novelle in una raccolta intitolata “Il diavolo” e subisce gli strali della censura che li giudica “immorali”. Pubblica senza sosta drammi, commedie e sceneggiature in un’epoca  in cui il cinema non e’ che ai suoi incerti inizi. Parimenti traduce la commedia di Oscar Wilde “Il ventaglio di Lady Windermere”. Installatosi a Yokohama, frequenta i residenti stranieri e scopre l’immagine della donna occidentale. Allorche’ un terribile terremoto distrugge la citta’ nel 1923, si stabilisce definitivamente nel Kansai. Il sisma lo aveva sconvolto profondamente. Dopo essersi ispirato a un Occidente e a una Cina esotici, si volge di nuovo verso il Giappone a partire dal 1924,data in cui appare il suo primo romanzo, “Un amore insensato”. Questa cronaca dolorosa e ironica racconta la vita coniugale  di Joji Kawai e di Naomi, una giovane serva, che sogna di diventare una donna moderna come le occidentali e che sa utilizzare il suo fascino...La donna perfida e tentatrice e’ di nuovo al centro  di “Il gusto delle ortiche”: un uomo e’ conteso da tre donne, un’euroasiatica, una dolce borghese e una bellezza classica. Tanizaki consacra la seconda parte della sua vita a tradurre in giapponese moderno il Genji monogatari, opera classica della romanziera dell’undicesimo secolo Murasaki Shikibu. Nel 1943, la pubblicazione a puntate del suo capolavoro “Quattro sorelle” e’ proibita perche’ giudicata sconveniente in tempo di guerra. Questa scandalosa saga familiare che ricostruisce la vita di quattro giovani giapponesi molto diverse le une dalle altre, nel Giappone tra le due guerre, alla fine apparira’ tra il 1946 e il 1948. Dopo la guerra, Tanizaki pubblica dei romanzi audaci al centro dei quail colloca la vecchiaia, l’impotenza e la morte. In “La chiave(la confessione impudica),  un rispettabile professore universitario, in eta’ ormai critica, non ce la fa piu’ a soddisfare la giovane moglie dotata di un temperamento eccessivo.  Dopo aver provato diversi eccitanti, si rende conto che la gelosia puo’ essere un incomparabile stimolante...”Il diario di un vecchio pazzo” narra il dramma di un vegliardo che s’invaghisce di sua nuora, ex-ballerina di music-hall dalla morale assai libera. Con molta intelligenza, quest’ultima approfitta del suocero per strappargli delle stravaganti liberalita’e condurre una vita di lusso. In cambio, lei gli concede dei favori saggiamente limitati e lo mantiene in un’eccitazione che si esaspera sempre di piu’ e si risolve soltanto in dolorose rimostranze.
Tanizaki  muore  nel 1965 e lascia un’opera immane, unanimemente considerata tra le maggiori del novecento. Istituito in suo onore, il premio Tanizaki e’ uno dei principali riconoscimenti  letterari  in Giappone.
Nel 1937 Tanizaki scrisse anche un importante saggio, “Elogio dell’ombra”, in cui espresse tutta la sua ossessione per le tradizioni nipponiche autentiche. Per lui l’arrivo della luce elettrica nelle grandi citta’ era stata una vera e propria disgrazia, perche’ la vita quotidiana dei giapponesi deve svolgersi in una discreta penombra. Allo stesso modo, l’architettura e l’arredamento moderni gli sembravano uno scempio – il giapponese deve vivere in case rigorosamente costruite in legno, coi tetti sporgenti. Il suo e’ un tradizionalismo estetico, che e’ solo tangenzialmente collegato col tradizionalismo etico/politico del piu’ giovane Mishima,imperniato sul tema ricorrente della fedelta’all’imperatore.
Uno dei fili conduttori delle sei novelle e’ la ricerca della Bellezza, una Bellezza che si identifica con la Crudelta’e che si puo’ottenere unicamente attraverso l’autodistruzione; e’ solo allora che il protagonista vive.  Questa non-resistenza alla bellezza, questo  lasciarsi andare alla travolgente sensazione di possedere le donne con l’esserne conquistato piuttosto che conquistandole e’ una caratteristica di Tanizaki. Ma devono essere donne che alle squisite fattezze di ogni parte del loro corpo abbinino inquietanti risvolti del subconscio.
E’ l’eterna lotta tra il Bene e il Male, l’irresistibile masochistico richiamo all’autodistruzione.
Prendiamo  il racconto “Kirin”. Esso ha per protagonisti  Confucio (il Bene, simbolizzato nell’animale mitologico Kirin), la regina Nanzi (il Male, raffigurato nella Bellezza) e re Ling. La trama del racconto è molto semplice: Ling, re di Wei, è combattuto tra la passione che gil ispirano la bellezza e la crudeltà della moglie Nanzi e il desiderio di divenire un saggio sovrano sotto la guida di Confucio.Il Saggio ne uscirà sconfitto e commenterà amaramente: “ Non ho mai visto nessuno amare la virtù quanto la bellezza”.
L’azione si svolge all’inizio lenta, con un procedere ad ampio respiro quasi a seguire l’andare di Confucio nella vasta pianura, intervallato da saggi ammonimenti e pensose riflessioni. Poi l’impatto con il paese di Wei, la brutalità della situazione, il contrasto tra il Palazzo “una fiera satolla di sangue”, e le case della gente con le mura che “ trasudano i loro pianti”. L’arrivo di Confucio turba una apparente tranquilità; del Re che è convinto di aver trovato il suo equilibrio nel dominio del paese mentre è inconscio schiavo del volere della Regina, e di quest’ultima, che sa di averlo in pugno e gode del proprio potere.
Confucio si ritrae davanti allo spettacalo della crudeltà della Regina, Re Ling ne è attratto. “ Sei un demonio che mi rovinerà” , le dice mentre questa lo accoglie di nuovo tra le sue braccia.
La folle corsa del maschio verso una voluta rovina alla ricerca del Piacere e dell’ Ideale di Bellezza lo rende in pratica forgiatore di colei che sarà la sua carnefice.  E’ il tragico,  inevitabile  destino dell’esteta. Succede cosi per il tatuatore Seikichi ( in Il tatuaggio ) che trasforma il sadismo, sempre dimostrato verso chi si sottometteva ai suoi aghi roventi, in masochismo; nell’irrestibile desiderio di annullarsi nella ragazza, di travasare in lei il suo proprio  io sino alla sublimazione di diventare il suo “concime’. E viene subito alla mente la scena che Nanzi fa vedere a Confucio dalla scalinata: così simile, nel suo orrore, ai due rotoli che Seikichi mostra alla ragazza e che fanno scattare in lei la molla della crudeltà.
Seikichi, che per anni ha atteso la donna dal “ bianco piede” – appena intravisto ma tale da suscitare conturbanti emozioni, un piede “capace di succhiare via il sangue a un uomo e di calpestarne il cadavere” – si prodiga allo spasimo per risvegliare in lei, attraverso il dolore fisico, I’innata  affascinante crudeltà.
E emblematico che il motivo del feticismo dei piedi, poi ricorrente, con le sue accentuate annotazioni masochistiche, compaia già in questa prima opera.
Come sempre arte e bellezza sono al di sopra della vita: Tanizaki tesse il suo mondo irreale di perfezione dove non c’è posto per la realtà e per la morale, un mondo dove estetismo  e soprannaturale  si fondono con I’innato senso del bello e del mistero della sua matrice culturale, un mondo quindi che rifugge dal quotidiano. Quella realtà quotidiana su cui Tanizaki sarà molto esplicito anni dopo. Nel 1927 scriverà: “ Da qualche tempo ho preso una cattiva abitudine. Non riesco a scrivere o a leggere nulla che abbia a che vedere con i fatti di tutti i giorni, nulla che abbia un che di realistico. E’ questa una delle ragioni per cui non mi sforzo nemmeno di leggere le opere di autori contem poranei che appaiono mensilmente su riviste. Scorro  le prime cinque o sei righe, mi dico ‘ Ci risiamo! Si scrive addosso’ e perdo ogni interesse nell’andare avanti  (Jōzetsuroku).
Con Pianto di sirena(1917) siamo a Nanchino, in quella Cina che è una traslazione del desiderio dell’Occidente, del gusto per I’esotico e che dà all’autore I’ occasione per uno sfrenato bizantinismo: raffinati piaceri, orpelli preziosi, tesori profusi a piene mani,sfarzo sontuoso,volutta’ prorompente, splendide donne, bevande rare e inebrianti. E  ancora, feste popolari in contrapposizione a quelle di palazzo, la comparsa dell’inquietante occidentale, il confronto – perdente -  con l’Europa “culla della civilta’”, gia’ apparso in Il prestigiatore  (1917,altro racconto qui incluso),  ma qui di molto accentuate. Infine, l’apparizione della sirena, ambiguo simbolo di bellezza e malvagita’, gelida come il ghiaccio, ma ardente di  passione e desiderabile. Il giovin signore e la bella sirena si trovano di fronte uno all’altra: poi la tensione si allenta, il brivido di sottile piacere che per alcuni interminabili istanti ha inebriato l’uomo teso a toccare con mano l’occulta malvagita’ della stessa si spegne,  il Male come sublime raggiungimento gli sfugge tra le dita. Non gli resta che attendere il prodigio promessogli dalla sirena,  il quale non e’ altro che un’ultima inafferrabile visione prima che scompaia per sempre con il suo segreto negli abissi del mare. Non ci crederete, ma vi giuro che e’ cosi’: in questa portentosa fiaba c’e’ l’essenza del mondo e della vita.

JUNICHIRO TANIZAKI
PIANTO DI SIRENA
FELTRINELLI