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Habemus il solito Nanni Moretti

di Claudio Moffa - 28/04/2011

Fonte: claudiomoffa

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In un film di diversi anni fa, Nanni Moretti attore guardava solitario da una spiaggia pugliese l'arrivo di migranti albanesi desiderosi di sbarcare in Italia. I suoi occhi erano severi e preoccupati, e sprizzavano solidarietà senza se e ma, ai nuovi arrivati. Mi pare di averne scritto in qualche mio vecchio articolo, e se non è così, comunque ne ho parlato, facendo seguire alla toccante immagine questo commento: e cioè che Moretti guardava verso il mare e soffriva per le sofferenze indubbie dei nuovi arrivati che pensavano di sbarcare in America che L'America non era, ma non volgeva gli occhi alle sue spalle: ai pensionati poveri che rovistavano nei cassettoni dei rifiuti dei Mercati rionali a caccia di qualche cibo da ripulire e mangiare, o ai tantissimi disoccupati italiani di cui la perversa e fallace sociologia dell'immigrazione facile, teorizzava il rifiuto certo dei tanti lavori di fatto coperti dagli stranieri che a centinaia di migliaia cominciavano a riversarsi nel nostro paese. Dimenticando – Moretti e tutto il filone buonista cattolico e postmarxista della sinistra italiana – che quella accoglienza senza limiti a chiunque voleva entrare in Italia, non costituiva una risorsa per l' “economia” ma per l' “econoloro” - per citare una striscia del famoso operaio massa di Zamarin, Gasparazzo, che forse il regista già frequentatore della Biblioteca dell'Istituto Gramsci ricorda ancora – l' “economia” cioè degli imprenditori senza scrupolo che con l'aiuto del centrosinistra degli anni Novanta, assumevano a salario bassissimo gli immigrati in svendita, snobbando il sindacalizzato  e perciò più oneroso Cipputi italiano. La solidarietà senza limiti e immediatistica, mentre non risolveva e non risolve la questione immigrazione alla radice – per farlo bisogna battersi contro le guerre e rilanciare la cooperazione internazionale – creava e crea problemi di spesa sociale (pensionati) e di occupazione (forza lavoro occupata). Pagate salari decenti ai disoccupati italiani – magari grazie all'uscita dall'euro - e vedrete che faranno anche loro i lavori “che ormai non vogliono fare più”, secondo un ritornello smentito già nel lontano 1999 da un sindacalista della CGIL bolognese, per giunta senegalese[1].
 
Habemus papam, l'ultimo film di Nanni Moretti, presenta lo stesso problema: da una parte stimola opportunamente una riflessione sulla crisi profonda della Chiesa, mettendo ad esempio il dito nella piaga del “dogma” del celibato, che rende oggettivamente distante il clero dalla gente comune come da classica domanda: ma che ne sa Don tizio per darmi consigli sui rapporti di coppia, lui che non ha esperienza della vita di coppia? Ma a parte alcuni toni critici condivisibili, a parte l'indubbia onestà di chi non specula col ritornello-ricatto della pedofilia, il film non va al di là degli umori laicheggianti dei soliti nemici della Chiesa, e porta il segno di una presunzione infinita, che anche se non fosse di Moretti, è sicuramente di tutta un'area intellettuale di origine sessantottina che crede di aver capito tutto e in realtà lascia spesso perplessi per molte sue analisi sul mondo contemporaneo.
 
La presunzione è già tutta dentro il  canovaccio del film, che vede come vero protagonista  – come sempre, come in tutti i suoi lavori cinematografici  – lo stesso Moretti psicoanalista, salvatore non solo del papa Michel Piccoli che finirà per vagare per Roma e frequentare lo studio della moglie separata dell'attore-regista, anch'essa nel film valente psicoanalista e curatrice laica del capo fallito del cattolicesimo mondiale, ma anche di tutti i cardinali del conclave, coinvolti e diretti da un Moretti  “mister” sportivo dal pugno di ferro, in un fantasioso campionato di pallavolo dentro le mura vaticane. La piscoanalisi si sa, è stata inventata da Freud e c'è chi ha sostenuto fra gli storici cattolici o forse ex cattolici – Adriano Prosperi – che in fondo Freud non aveva fatto altro che copiare e laicizzare la confessione cristiana. Ora, che la piscoanalisi sia la chiave di salvezza della Chiesa plurimillenaria, è veramente un azzardo a sostenersi, una prova di infinita presunzione da parte di una disciplina peraltro negli ultimi decenni sottoposta a sostanziose critiche ed attacchi per le sue parzialità anche da settori culturali dell'area di appartenenza di Moretti, vedi il femminismo.
 
Ma il film non è solo presuntuoso, è anche sbagliato alla radice perché limitato nel suo sguardo critico esattamente come nel caso della questione immigrazione sopra ricordato:  lasciando anche perdere la improbabile scena dei tre cardinali che vogliono, a conclave nei fatti non concluso e contro le regole che ne presiedono lo svolgimento, andare a prendere il cappuccino e connesse ottime ciambelle a Borgo Pio anziché condividere la meno appetitosa colazione con i loro colleghi in Vaticano (una sorta di remake in chiave cardinalizia del “no, il dibattito no” di un altro film sul 68 di Moretti), le riflessioni critiche di fondo che Habemus Papa suscita sono tre:
 
- Primo, tutto il film è incentrato sul dualismo tra la folla di fedeli Piazza San Pietro e i vertici cardinalizi nuovo papa incluso. Si dimentica così il “ceto intermedio” dei tanti sacerdoti che quotidianamente si impegnano in una gravosa missione di assistenza ai deboli e ai poveri. Moretti è un “buonista” dell'immigrazione: perché allora in questo film non ha ricordato qualche prete che difende il diritto di asilo degli immigrati e costituisce per i cattolici una speranza positiva di ripresa e “resurrezione” della Chiesa di Cristo?
 
- Secondo: sono a decine di migliaia i cattolici perseguitati oggi in tanti paesi dove l'Occidente ha presuntuosamente e arrogantemente tentato di esportare la “democrazia” a suon di bombe, a cominciare dall'Iraq, uno Stato in cui tutti sanno che sotto la “dittatura plebiscitaria” di Saddam Hussein i cristiani erano rispettati, e uno di loro – Tarek Aziz – era addirittura ministro degli Esteri. Perché non ricordare allora anche questo aspetto della crisi odierna della Chiesa, magari  denunciandone la palese contraddizione insita nell'assenza di un linguaggio e comportamento veramente forti contro le guerre postbipolari dal 1991 ad oggi? Sarebbe bastato riprodurre il video  della benedizione delle truppe italiane in partenza per l'Iraq da parte del cardinale Ruini, per lanciare un messaggio positivo alla “folla di piazza San Pietro” che andrà a vedere il film. E magari, perché no, la riproduzione di qualche editoriale del pupillo e sodale di Ruini, l'ex direttore di Avvenire Boffo. Ma a Moretti, intellettuale progressista doc del centrosinistra, questo aspetto cruciale della crisi della Chiesa e del cristianesimo tutto – il tema della pace e degli odi interetnici che distruggono alla radice il messaggio cristiano - sembrerebbe non interessare.
 
Infine, il discorso di fondo: Moretti non “vede” comunque lo status reale della Chiesa di oggi, che egli denuncia come se si fosse negli anni Settanta, all'epoca delle battaglie per il divorzio: la Chiesa, caro Nanni Moretti, è sotto assedio da almeno due decenni da parte di imperi mediatico-culturali potentissimi e invasivi in ogni istante della vita di ciascuno di noi, e non solo per il martellamento mediatico sulla pedofilia di questo o quel sacerdote – un vizio che scandalizza in un prete ma è capace di garantire la medaglia e il plauso solidale della solita intellighentzia laica a qualche regista straniero famoso - ma anche per motivi più sostanziosi. La Chiesa oggi è diventato un “potere forte” minore che – in un'epoca in cui come ha ricordato Tremonti ad Annozero, il capitale finanziario è 20 a 1 rispetto a quello produttivo, e dunque la speculazione è il carattere predominante del capitalismo del secolo XXI – che non può permettersi di attrezzare una sua difesa coerente col sistema economico mondiale senza che la solita stampa non sollevi – prima e dopo la cacciata di Fazio dalla Banca d'Italia, per iniziativa del Corriere di Mieli – la questione del “caso Marcinkus”.
 
Tutta la Chiesa, in ogni suo aspetto vive la deriva di questa diminutio e emarginazione a vantaggio della cultura e weltanschaung laiciste, cioè pseudolaiche, dell'epoca postbipolare: il pulpito del povero sacerdote di Parrocchia è, e non solo per i ben possibili limiti soggettivi dell'oratore, nulla rispetto ai pulpiti martellanti dei Grandi Sacerdoti dell'informazione laica, quelli che diffondono menzogne accurate per seminare odio tra i popoli e scatenare guerre criminali in nome di una (non) democrazia da esportare in ogni angolo del pianeta. Vedi le armi di distruzione di massa di Saddam o i 10mila morti inventati nei primi giorni della guerra contro la Libia.
E non ci sono solo le guerre: la triade Famiglia-Scuola-Chiesa è evaporata anche e soprattutto per l'invasività di una  “microcultura” che si vuole laica, ma a volte è criminale o quanto meno tetra, capace di insinuarsi capillarmente nei giovani senza possibilità di controllo costante da parte dei genitori e degli insegnanti: si insinua attraverso orribili figurine di mostri e paesaggi infernali, con didascalie farneticanti e delinquenziali che invitano a distruggere l'avversario per far punti; con i videogiochi violenti e disinvoltamente istigatori a furti gratuiti di auto e a perfomances via joystick  di rapporti con prostitute, utenti anche ragazzini anche di 8 anni; con bei film alla Transformers, in cui guarda caso – come ricordava un giovane studioso iraniano al Convegno sull'Hollywoodismo di qualche mese fa a Teheran – le due ipotesi che avanza un soldato americano davanti ai pericolosi mostri, è che siano opera o dei cinesi o degli iraniani; e con tutto quel che riguarda i rapporti tra le religioni del Libro, la Moschea e la Chiesa che possono essere sbeffeggiate e insultate tutti i giorni, ma guai a fare lo stesso nei confronti della Sinagoga. Guai a credere che se è lecito scrivere un libro titolato “La storia criminale della Chiesa”, debba essere anche normale poter scrivere un libro sugli omicidi rituali degli Ebrei senza essere linciati; o ritenere che se si può sostenere l'inesistenza di Cristo sulla base di una rilettura soggettiva dei Vangeli e delle fonti storiche sulla vita di Gesù, si possa fare altrettanto con il dogma dell'Olocausto sulla base di una consimile critica delle relative fonti storiche.
Questi sono i (alcuni) problemi di fondo della crisi della Chiesa di oggi, incapace di proporre un suo modello culturale e una sua identità forti, non solo per limiti interni, ma anche per l'assedio che subisce da poteri mille volte a lei superiori e per una quotidianità complessa e difficile che non è certo quella di quando nacque la Chiesa, e neppure quella di Peppone e Don Camillo. E' da dubitare che di fronte a tanta mole di questioni, possa essere la psicoanalisi la via d'uscita dalla crisi; è certo che un film che elude un qualsiasi accenno (un film non è un saggio, ma sicuramente può mandare messaggi simbolici anche con poche immagini) a questi giganteschi problemi del nostro tempo che sono nel bene e nel male nella missione quotidiana della Chiesa, non può offrire una visione obbiettiva della crisi del cattolicesimo del secolo XXI. Deficit di accudimento del rimbambito Michel Piccoli? Ma no, deficit di armi mediatiche appropriate e di idee forti capaci di contrastare debitamente la falsa laicità del nuovo “integralismo mediatico”. Superando certo alcuni limiti interni, ma anche combattendo il nemico esterno, più agguerrito e forte che mai.