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Questa volta porteremo con noi l'intero pianeta

di Chris Edges - 01/05/2011

   
   
Ho camminato attraverso le sterili rovine di Babilonia in Iraq e l’antica città romana di Antiochia, la capitale della Siria Romana, che giace ora sepolta sotto depositi di limo. Ho visitato le rovine marmoree di Leptis Magna, un tempo uno dei maggiori centri agricoli all’epoca dell’Impero Romano, ora isolata nelle sabbiose derive desolate a sudest di Tripoli. Mi sono arrampicato sugli antichi templi a Tikal fino all’alba, mentre stormi di tucani intensamente colorati apparivano attraverso il fogliame della giungla, sotto di me. Sono rimasto in mezzo alle rovine dell’antica città egizia di Luxor lungo il Nilo, guardando la statua del grande Faraone Ramesse II che giaceva spezzata sul terreno, mentre mi attraversava la testa il poema “Ozymandias”, di Percy Shelley:

“Il mio nome è Ozymandias, re dei re:
Guardate le mie opere, o Potenti, e disperate!”
Nulla accanto rimane. Attorno alla rovina
Di quel colossale relitto, sconfinate e nude
Le sabbie solitarie e piatte si estendono all’infinito.


Le civiltà crescono, decadono e muoiono. Il tempo, come avevano intuito gli antichi Greci, per gli individui e per le società è ciclico. Come diventano più complesse, diventano inevitabilmente più precarie. Diventano sempre più vulnerabili. Nel momento in cui iniziano a crollare, c’è uno strano ritirarsi dalla realtà da parte di una popolazione confusa e terrorizzata, un’incapacità di riconoscere la propria fragilità e il collasso imminente. Le élites alla fine parlano con frasi e con un gergo scorrelato dalla realtà. Si ritirano in recinti isolati, sia presso la corte di Versailles, che la Città Proibita, che moderne tenute aristocratiche. Le élites indulgono in edonismo incontrollato, nell’accumulo di ricchezze più vaste e nel consumo stravagante. Sono sordi alla sofferenza delle masse che vengono represse con sempre maggiore ferocia. Le risorse vengono saccheggiate con più spietatezza fino al loro esaurimento. E gli edifici minati alle fondamenta alla fine collassano. Gli imperi Romano e Sumero sono caduti in questo modo. Le élites Maya dopo aver eliminato le loro foreste ed inquinato i loro corsi d’acqua con limo e acidi, tornarono indietro al primitivismo.

Quando la scarsità di cibo e acqua si espande nel mondo, quando l’aumento di povertà e miseria scatena proteste nelle strade in Medio Oriente, Africa e Europa, le élites fanno ciò che tutte le élites fanno. Scatenano ancora guerre, costruiscono monumenti sempre più grandiosi a loro stessi, immergono via via sempre più le loro nazioni nei debiti e, come tutto si svela, se la prendono con i lavoratori e i poveri. Il collasso dell’economia globale, che ha azzerato un'incredibile ricchezza di 40 trilioni di dollari, è stato causato dalle nostre élites quando, dopo aver distrutto il tessuto produttivo, hanno venduto ingenti quantità di titoli ipotecari fraudolenti a fondi pensione, piccoli investitori, banche, università, allo Stato, ai governi stranieri, agli azionisti. Le élites, per coprire le perdite, hanno poi saccheggiato il tesoro pubblico per iniziare una nuova speculazione. Inoltre, in nome dell’austerità, hanno cominciato a smantellare servizi sociali fondamentali, a rompere le ultime vestigia dei sindacati, a tagliare posti di lavoro, congelare i salari, gettare milioni di persone fuori dalle loro abitazioni e sono restate pigramente ferme mentre noi creavamo una sottoclasse permanente di disoccupati e sottoccupati.
v Le élites Maya divennero, alla fine, come ha scritto nel suo libro “Una breve storia del progresso” l’antropologo Ronald Wright, “…estremiste, o ultra-conservatrici, spremendo le ultime gocce di profitto dalla natura e dall’umanità”. Questo è il modo in cui tutte le civiltà, inclusa la nostra, si ossificano e muoiono. I segni della morte imminente sono innegabili. Il senso comune può gridare al vento una risposta radicale e nuova. Ma la corsa verso l’auto-immolazione viene accelerata a causa della paralisi morale ed intellettuale. Come ha colto Sigmund Freud nell'“Al di là del principio di piacere” e “Il disagio della civiltà”, le società umane sono intossicate e accecate dalla loro stessa fuga precipitosa verso la morte e la distruzione allo stesso modo in cui lo sono dalla ricerca dell’appagamento erotico.

I disordini in Medio Oriente, l’implosione di economie nazionali come quella irlandese e greca, la crescente rabbia di una classe lavoratrice assediata dentro e fuori, l’aumento dei migranti disperati e il rifiuto di fermare la distruzione inesorabile dell’ecosistema, da cui dipende la vita, sono i messaggeri del nostro stesso crollo e le conseguenze dell’idiozia della nostra élite e della follia della globalizzazione. Le proteste che non sono costruite attorno ad una completa riconfigurazione della società americana, incluso un rapido smantellamento dell’impero e dello stato corporativo, possono soltanto rallentare l’inevitabile. Saremo salvati solo dalla nascita di un nuovo radicalismo militante il cui scopo sarà detronizzare la nostra élite corrotta al potere, e non quello di negoziare condizioni migliori.

L’economia globale si basa sull’errata convinzione che il mercato – leggi l’avidità – deve dettare il comportamento dell'uomo e che le economie possono espandersi eternamente. Il globalismo funziona in base al presupposto che l’ecosistema possa continuare ad essere maltrattato dalle massicce emissioni di anidride carbonica senza conseguenze di rilievo. E il motore dell’espansione economica mondiale è basato sull’idea che ci sarà sempre petrolio abbondante e a buon mercato. L’incapacità di confrontarsi con le semplici verità sulla natura umana e sul mondo naturale lascia le élites incapaci di articolare nuovi paradigmi sociali, economici e politici. Loro cercano solamente il modo di perpetuare un sistema morente. Thomas Friedman e la schiera degli altri propugnatori della globalizzazione hanno senso quanto ne può avere Charlie Sheen.

La globalizzazione è l’articolazione moderna dell’antica ideologia usata dalle élites precedenti per trasformare i cittadini in servi e il mondo naturale in un deserto votato al profitto. Per queste élites niente è sacro. Gli esseri umani e la natura sono sfruttati fino all’esaurimento o al collasso. Le élites non hanno la pretesa di difendere il bene comune. E’, in sostanza, la sconfitta del pensiero razionale e la morte dell’umanesimo. La marcia verso l’auto-annientamento ha già cancellato il 90% dei grandi pesci negli oceani e spazzato via metà delle foreste tropicali mature, polmone del pianeta. A questo ritmo, entro il 2030 rimarrà solo il 10 % delle foreste tropicali della terra. Le acque contaminate uccidono 25.000 persone al giorno nel mondo e ogni anno qualcosa come 20 milioni di bambini deperiscono a causa della malnutrizione. I gas serra nell’atmosfera sono oggi a 329 parti per milione e in aumento, mentre la maggior parte dei climatologi avvertono che il livello dovrebbe mantenersi al di sotto di 350 per poter continuare a sostenere la vita così come la conosciamo. L’IPCC stima che la misura potrebbe raggiungere dalle 541 alle 970 ppm entro il 2100. A quel punto una larga parte del pianeta, colpito da sovrappopolazione, siccità, erosione, tempeste anomale, massicci raccolti andati a male e livello dei mari innalzato, sarà inadatto per la vita umana.

Jared Diamond nel suo saggio “Gli Ultimi Americani” nota che, dal tempo in cui Hernan Cortés raggiunse lo Yucatàn, milioni di individui Maya sono scomparsi.

“Perché”, scrive Diamond, “i re e i nobili non riconobbero e risolsero questi problemi? Una delle principali ragioni fu che la loro attenzione era evidentemente focalizzata nel breve termine, sulla preoccupazione di arricchirsi, di combattere guerre, erigere monumenti in competizione tra loro ed ottenere cibo a sufficienza per i contadini in modo da supportare tutte queste attività”.

“Pompare petrolio, abbattere alberi e catturare pesci può beneficiare le élites portando loro soldi o prestigio e però essere un male per la società nel suo insieme (inclusi i figli delle élites) nel lungo periodo”, Diamond continua. “I re Maya erano consumati dalle preoccupazioni immediate riguardanti il loro prestigio (che richiedeva templi sempre più numerosi e grandi) e il loro successo nella prossima guerra (che richiedeva più sostenitori), piuttosto che dalla felicità della gente comune o di quella della generazione successiva. Le persone con il potere più grande, quello di prendere decisioni, nelle società odierne fanno soldi regolarmente da attività che possono essere un male per la società nel suo complesso e per i suoi figli; tra queste, i dirigenti della Enron, molti tecnici dello sviluppo del territorio e i difensori dei tagli di tasse per i ricchi.

Non era diverso nell’isola di Pasqua. Gli abitanti, quando per la prima volta si insediarono sull’isola di 64 miglia quadrate nel 5° secolo, trovarono abbondanza di acqua e foreste di palma del vino cilena, un albero che può raggiungere le dimensioni di una quercia. Frutti di mare, compresi pesci, foche, focene e tartarughe e uccelli marini nidificanti erano abbondanti. La società dell’isola, che era suddivisa in un elaborato sistema di caste di nobili, sacerdoti e cittadini comuni, aveva, per cinque o sei secoli, raggiunto le 10.000 persone. Le risorse naturali furono divorate e iniziarono a scomparire.

“Il disboscamento per fare posto alle coltivazioni avrebbe comportato crescita della popolazione, ma anche erosione dei suoli e declino della sua fertilità”, hanno scritto Paul Bahn e John Flenley nel libro “Easter Island, Earth Island” (Isola di Pasqua, Isola di Terra). “Progressivamente si sarebbe dovuta sfruttare più terra. Alberi e arbusti sarebbero stati tagliati per costruire canoe, per accendere fuochi, per costruire abitazioni e per i tronchi e le corde necessari ad erigere statue. I frutti delle palme sarebbero stati mangiati, con ciò riducendo la rigenerazione delle piante. I ratti, introdotti per cibo, potrebbero aver mangiato i frutti delle palme, moltiplicandosi rapidamente e impedendo la crescita di nuovi alberi. Lo sfruttamento enorme delle risorse avrebbe eliminato i prolifici uccelli marini del tutto, tranne che sugli isolotti al largo. I ratti potrebbero aver aiutato tale processo mangiandone le uova. L’abbondanza di cibo fornito dalla pesca, dagli uccelli marini e dai ratti avrebbe incoraggiato una rapida crescita iniziale della popolazione umana. Il suo aumento sfrenato avrebbe più tardi creato pressione sulle disponibilità della terra, portando a contrasti e, infine, alle guerre. La mancata disponibilità di tronchi e corde avrebbe reso inutile scolpire nuove statue. Una delusione dell’efficacia della religione statuaria nel fornire alla gente ciò di cui aveva bisogno avrebbe portato all'abbandono di questo culto. Canoe inadeguate avrebbero costretto ad esercitare la pesca vicino alle coste, con conseguente calo di proteine rispetto al fabbisogno. I risultati sarebbero stati una carestia generale, guerre e il crollo dell’economia nel suo insieme, quindi un marcato declino nella popolazione.

I clan, nell’ultimo periodo della civiltà dell’isola di Pasqua, competevano per onorare i loro antenati costruendo immagini di roccia sempre più grandi, che richiesero l’uso degli ultimi tronchi, corde, manodopera dell’isola. Prima della fine del 1400 le foreste erano scomparse. Il suolo si era eroso ed era scivolato in mare. Gli isolani iniziarono a combattere per vecchi tronchi e si ridussero a mangiare i loro cani e, presto, tutti gli uccelli nidificanti.

Gli isolani disperati svilupparono un sistema di credenze per cui i Moai, le statue di pietra scolpite, avrebbero preso vita e li avrebbero salvati dal disastro. Questo rifugio finale nella magia caratterizza tutte le società nel loro declino finale. E’ una risposta frenetica alla perdita di controllo, nonché alla disperazione e all’impotenza. Questo rifugio disperato nella magia ha portato alla danza fantasma dei Cherokee, alla rivolta dannata dei Taki Onqoy contro gli invasori spagnoli in Perù, e alle profezie Azteche del 1530. Le civiltà nei loro ultimi istanti abbracciano una totale separazione dalla realtà, una realtà che diventa troppo cupa per essere assorbita.

La credenza moderna dei Cristiani evangelici in estasi, che non esiste nella letteratura biblica, non è meno fantastica, credenza che lascia spazio al rifiuto del riscaldamento globale e dell'evoluzione e contempla l'idea assurda che i giusti saranno tutti salvi – galleggiando nudi nel paradiso fino alla fine dei tempi. La fede che scienza e tecnologia, che sono moralmente neutre e servono alle ambizioni umane, riporteranno un’altra volta il mondo come nuovo è non meno deludente. Proponiamo il nostro pensiero magico laico come una sorta di religione.

Pensiamo di essere in qualche modo sfuggiti alle debolezze del passato. Siamo certi di essere più saggi e più grandi di coloro che ci hanno preceduto. Crediamo ingenuamente nell’inevitabilità della nostra salvezza. E coloro che rispondono a questa falsa speranza, soprattutto mentre le cose si deteriorano, ricevono la nostra adulazione e lode. Negli USA, che comprendono solo il 5 % della popolazione mondiale, siamo indignati se qualcuno cerca di dirci che non abbiamo il diritto divino a livelli di consumo che sperperano il 25% dell’energia mondiale. Il Presidente Jimmy Carter, quando suggerì che probabilmente tale consumo non era positivo, si coprì di ridicolo a livello nazionale. Più le cose vanno male e più cerchiamo l’illusorio “parlare felice” stile Ronald Reagan. Coloro che sono disposti ad alimentare fantasie e auto-delusioni sono, dal momento che ci rendono politicamente passivi, riccamente finanziati e promossi da aziende e oligarchie. E, vicini alla fine, siamo fatti saltare allegramente giù dal precipizio da ingenui e pazzi, molti dei quali sembrano essere in fila per la nomina a presidente Repubblicano.

“Gli eventi accaduti 300 anni fa su una piccola isola remota sono di qualche importanza per il mondo in generale?” si chiedono Bahn e Flenley. Crediamo che lo siano. Consideriamo che l’isola di Pasqua era un microcosmo modello per l’intero pianeta. Come la Terra, l’isola era un sistema isolato. Le persone lì credevano di essere gli unici sopravvissuti sul globo, dato che tutto il resto era sprofondato sotto il mare. Hanno portato avanti per noi l’esperimento di una crescita della popolazione senza limiti, di un uso smodato delle risorse, la distruzione del loro ambiente e la fiducia illimitata nella loro religione per prendersi cura del futuro. Il risultato è stato un disastro ecologico che ha portato ad un collasso della popolazione. Un collasso su tale scala (60 % della popolazione) significa, paragonato all’intero pianeta, la morte di 1,8 miliardi di persone, approssimativamente 100 volte il numero di morti della Seconda Guerra mondiale. Dobbiamo ripetere l’esperimento su questa scala più vasta? Dobbiamo essere cinici come Henry Ford e dire, “La storia è tradizione”? Non sarebbe più sensato imparare la lezione dalla storia dell’isola di Pasqua e applicarla sull’isola Terra su cui viviamo?”.

Gli esseri umani sembrano condannati a ripetere questi cicli di sfruttamento e collasso. E maggiore è l’entità del deterioramento, minore sembra la capacità di comprendere cosa stia succedendo attorno a loro. La Terra è disseminata di reperti fisici dell’umana follia e dell’umana arroganza. Sembriamo condannati come specie a guidare noi stessi e la nostra società verso l’estinzione, sebbene questo momento sembri essere l’epilogo dell’intero, triste spettacolo della civiltà colonizzatrice, iniziato 5000 anni fa. Non c’è rimasto più nulla sul pianeta da cogliere. Stiamo spendendo oltre il dovuto gli ultimi scampoli del nostro capitale naturale, compresi i nostri boschi, i combustibili fossili, aria ed acqua.

Questa volta il declino sarà globale. Non ci sono più terre da saccheggiare, né nuovi popoli da sfruttare. La tecnologia, che ha cancellato i vincoli di spazio e tempo, ha capovolto il nostro villaggio globale in una globale trappola mortale. Il destino dell’isola di Pasqua sarà scritto a grandi lettere attraverso l’ampia distesa del pianeta.

Chris Edges è editorialista abituale del TruthDig.com. Hedges si è laureato all’Harvard Divinity School ed è stato per quasi venti anni corrispondente dall’estero per il NYT. E’ autore di molti libri, tra cui: “War is a force that gives us meaning”, “What every person should know about war” e “American Fascists: the Christian right and the war on America”. Il suo ultimo libro è “Empire of illusion: the end of Literacy and the triumph of spectacle”.

Fonte: www.truthdig.com
Link: http://www.truthdig.com/report/item/this_time_were_taking_the_whole_planet_with_us_20110307/

Traduzione per www.comedonchisciotte.org acura di MICIOGA