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Il comunismo? Ipotesi plausibile. I comunisti? Dio ce ne scampi

di Costanzo Preve - 08/06/2006


 
 
   

 

La Storia Reale ed il Culto della Talpa

1. Mi è stato chiesto di aprire una discussione teorica e filosofica sul comunismo. L’ho già fatto in passato forse una decina di volte. E’ impossibile, e so bene, e lo dico in anticipo, che non serve assolutamente a niente. Anche questa volta, sarà come le precedenti. Non partirà nessuna discussione. E questo per una ragione strutturale e ben precisa. Le discussioni, per essere tali, e non essere solo ridicole caricature, devono essere senza rete, a 180 gradi, e porre quelli che Cartesio chiamava “dubbi iperbolici”, in quanto i soli dubbi metodici non sono veri dubbi, ma solo momenti fisiologici interni a qualsiasi ragionamento che non sia una rissa per ubriaconi. Chi vuole discutere sul comunismo senza mettere preventivamente anche in discussione l’opportunità nella presente fase storica di costituire un’organizzazione politica neocomunista, e dà invece per scontata e preliminare questa decisione, non può discutere sul comunismo. Ci sarà solo quella che il marxista tedesco Christoph Hein chiama la quinta operazione, quella che fissa il risultato ancora prima di effettuare il calcolo, a differenza delle quattro operazioni normali (addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione).

Ho abbandonato da almeno un decennio il mondo della quinta operazione, che è sempre stata l’oggetto del primo esame di matematica cui dovevi sottoporti per laurearti in “intellettualismo organico”, la laurea degli intellettuali buoni, quelli “organici” al movimento operaio e comunista, da distinguere dagli intellettuali cattivi, quelli pagati dai padroni e/o in preda ad anarchismo piccolo-borghese o alla pretesa borghese di libertà incondizionata. Libertà, sia detto fra parentesi, che permise a suo tempo a Marx di scrivere quello che pensava, al di fuori della committenza di gruppi blanquisti o di gruppetti anarchici o bakuniniani.

Dunque, deve essere chiaro che discutere significa soltanto discutere senza rete, senza quinta operazione e senza predeterminazione in anticipo degli esiti. La discussione gruppuscolare neocomunista di nicchia non ha questi requisiti, perché il presupposto identitario di appartenenza, fatto passare per necessità di prassi di impegno “pratico”, lo impedisce. Fatta questa indispensabile premessa, fingiamo ancora una volta (ma sarà l’ultima) che una discussione sul comunismo sia possibile.

2. In un discorso tenuto a Milano il 14 maggio 1966 Pietro Nenni diede questa definizione geniale ed insuperabile: “La prova del movimento si dà muovendosi”. Ed infatti è proprio così.

Prima di definire nel 1875 in modo assolutamente vago e politicamente indeterminato il comunismo del futuro come la società in cui ognuno darà secondo le sue capacità e riceverà (da chi? - nota mia) secondo i suoi bisogni, nel 1844 Marx definì nennianamente il comunismo come quel movimento reale che aboliva lo stato di cose presenti. La definizione è talmente vaga che persino un presenzialista dilettante come Bertinotti ha potuto metterla sulle tessere del suo partitino. Tuttavia, assumiamola qui come la definizione classica di comunismo da cui partire. E’ infatti una buona definizione, perché inserisce il comunismo nel movimento temporale della storia reale, togliendolo dal precedente significato di progetto artificiale politico (Platone) o religioso (Gesù di Nazareth, Tommaso Moro, eccetera).

Bene, sono passati da allora quasi due secoli, e per ora questo movimento sembra entrato sottoterra come un fiume carsico. Alla superficie si vedono soltanto un 80% di movimenti capitalistici ed imperialistici di globalizzazione, ed un 20% di movimenti anti-globalizzazione (da Chavez ad Ahmadinejad), che non sembrano però avere nulla di comunista nel senso di Marx,

Insomma, può essere imbarazzante dirlo, ma se il comunismo è un movimento reale (Marx) e la prova del movimento si dà muovendosi, pare che il comunismo per adesso non si stia muovendo.

Partiamo allora da questo fatto, il lettore dovrà ammettere che si tratta di un fatto storico, e non di una opinione piccolo-borghese anarcoide di chi vuole usare la sua libertà di pensiero che la borghesia nega ai proletari (contributo dei CARC alla discussione sul marxismo).

3. I seguaci della religione totemica della Talpa, erroneamente confusa con il metodo di Marx, hanno però già pronta la loro risposta: in apparenza sembra che poco si muova, ma vediamo che la resistenza irachena continua a combattere, Hamas vince le elezioni in Palestina e Morales le vince in Bolivia, eccetera; ben scavato, vecchia Talpa!

La religione totemica della Talpa consiste in ciò, che le normali resistenze al capitalismo, all’imperialismo e alla globalizzazione vengono pensate in questo modo totemico-talpesco come momenti di avvicinamento al Grande Giorno del Comunismo. Allora, o ci poniamo un dubbio iperbolico o ci rifugiamo nel totemismo. Ora, essendo un sostenitore della permanenza antropologica del sacro, dei simboli e della religione, e quindi anche del totemismo, e ritenendo l’unificazione filosofica dell’intera umanità nel materialismo dialettico l’esito di una buona ubriacatura di vodka, non ho nulla contro il totem della Talpa, che anzi preferisco al totem dell’Orso degli speculatori di borsa, del totem del Lupo dei fascisti turchi o del totem della Pecora dei pacifisti salmodianti e belanti. Nello stesso tempo, il metodo critico di Marx deve essere applicato anche a se stesso, cosa che i gruppi religiosi marxisti non fanno.

Proviamo a farlo.

4. Mi spiace usare la paroletta “io”, che Gadda a suo tempo definì “il più odioso dei pronomi”, ma per chiarezza verso il lettore non mi nasconderò dietro il ridicolo e pomposo anonimato della terza persona, in cui empirici personaggi staliniani, trotzkisti o bordighisti, usando il linguaggio impersonale, si fingono (e si illudono grottescamente di essere) il corso maestoso della storia universale cosmopolitica. Preferisco che il lettore legga “io”, e relativizzando me che scrivo relativizzi anche di conseguenza se stesso. Se invece ritiene di incarnare il Proletariato allora è meglio che chiudiamo tutto e ci diamo ad una sana partita a carte.

Io penso, detto in breve, che la questione del comunismo non è chiusa, la storia ovviamente non è finita, le classi, i popoli, le nazioni e gli individui oppressi esistono sempre, la loro resistenza continua, sia sempre più giusto appoggiarla, e sia anche opportuno organizzarsi per farlo.

Considerandomi anche un allievo indipendente di Marx (non solo, ovviamente, guai all’uomo di un solo libro, sia esso la Bibbia, il Corano o Marx!), ritengo sempre aperta la questione del comunismo sia sul piano pratico, anticapitalista ed anti-imperialista, sia su quello teorico. Se qualcuno

pensa che io “sia passato dall’altra parte”, tipo Sofri o Ferrara, vada a sputare il suo veleno altrove, incrementando il ben noto settarismo suicida dei gruppetti paranoici della nicchia identitaria, che mentre si beccano come i capponi di Renzo Tramaglino pensano di essere agenti della storia universale.

Penso anche, però, ed ancora più decisamente, che oggi (e cioè nella nostra situazione storica presente) la formazione di gruppi politici neocomunisti (poco importa se si dichiarano ortodossi, eretici, eredossi o ortetici, eccetera) non sia opportuna, sia tempo perso, e sia non solo inutile ma anche dannosa. E per finire, il termine “eresia” è per me privo di significato, perché l’Ortodossia e l’Eresia vivono insieme, lottano insieme e muoiono insieme. Si può essere infatti eretici solo in presenza di ortodossi. Ma dove sono oggi gli ortodossi? Non li vedo più. Chi non si è accorto che gli ortodossi nel mondo intero sono morti nel decennio 1985-1995 è al di qua di qualunque seria discussione teorica, ed è dunque l’“eretico” di nulla, come avviene nelle comiche, in cui l’attore continua a litigare con veemenza e non si rende conto che l’altro è già da tempo uscito dalla stanza. Ma passiamo ora ad alcune considerazioni sull’attualità politica che possano sostenere almeno in parte quanto ho appena detto.

5. Facciamo una breve analisi politico-geografica delle forze che in questo febbraio 2006 si oppongono all’imperialismo americano, principale nemico del popolo e delle classi oppresse del mondo, e ci accorgeremo che il comunismo è inesistente, a meno che siamo seguaci del Culto della Talpa e siamo convinti che anche se non si vede, in realtà sta scavando sotto di noi, in compagnia di Maura Cossutta, Vladimir Luxuria e Vittorio Agnoletto:

(1) La resistenza irachena. Essa resta il principale fattore geopolitico internazionale di resistenza all’imperialismo americano. Senza di essa, la belva si sarebbe già probabilmente scatenata verso altri obbiettivi. In proposito, mi rifiuto di avere nei suoi confronti un approccio ideologico che sarebbe sempre una forma di presunzione occidentalistica. Essa può essere laica o religiosa, questo non mi riguarda. Si tratta di una resistenza nazionale, patriottica e popolare. Il “tifare per i nostri” è stato tipico dell’approccio di “sinistra” del periodo 1960-90. II “Manifesto” fa ancora così: noi siamo per Abu Mazen, perché è laico, e siamo contro Hamas perché crede in Dio, che notoriamente non esiste (ah!ah!), mentre solo il signor Ingrao e la signora Rossanda esistono.

(2) Gli stati “comunisti” tipo Cuba. Essi devono a mio avviso essere sostenuti incondizionatamente (e non a condizione che permettano il boicottaggio interno che li distruggerebbe in sei mesi, come sostiene irresponsabilmente la bertinotteria politicamente corretta), ma non certo perché siano caratterizzati da un “inizio di comunismo” secondo Marx (il comunismo secondo Marx implica la massima libertà di opinione e di organizzazione politica), ma perché sono un baluardo della resistenza contro l’imperialismo. Introdurre il cosiddetto “pluralismo” sindacale e politico, come vorrebbe il teatro bertinottiano delle marionette, significherebbe ucciderli, perché il Dipartimento di Stato ci fionderebbe subito i suoi agenti. Chi non lo capisce o è in malafede (ceto politico, ONG corrottissime, giornalisti politicamente corretti, eccetera) o è un analfabeta politico, e dovrebbe essere invitato ad occuparsi d’altro.

(3) Movimenti populistici ispirati dal socialismo comunitario. Ad esempio Chavez in Venezuela e Morales in Bolivia, eccetera. Sono da appoggiare incondizionatamente, ma non sono comunisti e non hanno bisogno di grilli parlanti di tipo “comunista”, che in nome di copioni tattici dogmatici stilati più di mezzo secolo fa li condurrebbero con il loro estremismo idiota alla peggiore rovina, dicendo che soltanto le classi esistono, mentre le nazioni, i popoli e gli individui sono solo mistificazioni piccolo-borghesi.

(4) Movimenti religiosi popolari. Ad esempio Hamas in Palestina ed Ahmadinejad in Iran (Dio benedica entrambi!). Sono da appoggiare incondizionatamente, ma non c’entrano assolutamente nulla con il comunismo.

(5) Stati-nazione che hanno una funzione geopolitica positiva. So che qui verrò insolentito dai puristi della rivoluzione classista immacolata, ma fra essi metto in parte la Russia di Putin (sempre meglio degli “arancioni” pazzi e filo-americani), la benemerita giunta militare del Myanmar, che Budda conservi a lungo, la Siria del benemerito Assad, e persino l’orribile Cina dell’accumulazione capitalistica selvaggia, nella misura in cui è pur sempre un fattore geo-politico indipendente dagli USA.

(6) La parte minoritaria anti-imperialista dei movimenti no-global, da cui escludo ovviamente tutti i pagliacci mediatico-parlamentari incorporati nei meccanismi occidentali politicamente corretti.

Bene, ho elencato sei fattori storici. Sebbene la chiacchiera ideologica irresponsabile mi dipinga come anti-operaio, e non lo sono per nulla, ci avrei aggiunto volentieri (anzi volentierissimo) anche le lotte operaie, se però queste ultime oggi nel mondo ci fossero, al di là di poco rilevanti anche se rispettabilissimi scioperi contrattuali. Non è colpa mia se il movimento operaio nei paesi occidentali ha smesso di essere un fattore storico-politico anticapitalistico ed anti-imperialistico e si è dato direzioni sindacali favorevoli a bombardare la Jugoslavia nel 1999 e l’Irak nel 2003, giungendo a berciare che i veri “resistenti” a Bagdad sono coloro che sono andati a votare. Prendersela con Preve mi sembra veramente demenziale.

6. Se le cose stanno così, allora, e se i sei fattori storici che ho indicato sono tutti estranei al “comunismo” nel senso di Marx, eretico e/o ortodosso che sia, che senso ha allora mettersi nell’ottica oggi di formare organizzazioni neo-comuniste, che non potrebbero necessariamente che essere ideologicamente cementate da una particolare ideologia di appartenenza basata su di una particolare ed esclusiva interpretazione di Marx?

Le ragioni che sconsigliano questa scelta sono molte, ma qui ho a disposizione solo un articolo, e non un libro intero. Mi limiterò a ricordarne solo due, una teorica ed una pratico-politica. Esaminiamole separatamente.

7. La ragione teorica principale che sconsiglia la formazione di gruppi neo-comunisti sta nel fatto che il neo-comunismo, comunque definito, presuppone una salda interpretazione filosofico-scientifica di Marx. Ma essa non esiste. E allora gridare “bussola! bussola!”, e poi prendere il mare senza bussola, e credere che al posto della bussola ci possa essere la soggettiva volontà al sacrificio è da incoscienti.

Una parentesi marxiana. In Marx ci sono almeno due modelli diversi di anticapitalismo. Il modello maggioritario occidentale, basato sullo stato comunista dei lavoratori, ed un modello minoritario che definirei di “socialismo comunitario”, anticipato da Marx in una famosa lettera a Vera Zassulich in cui faceva l’ipotesi che la comunità russa del mir potesse evolvere direttamente verso la produzione comunista senza dover ad ogni costo passare per la via dello sviluppo capitalistico totale.

Sia lo stato comunista dei lavoratori sia il socialismo comunitario sono modelli evocati da Marx. Il primo modello è stato tentato dal comunismo storico novecentesco recentemente defunto (1917-1991), e chi mi legge sa bene che non credo nella favoletta trotzkista per cui come modello andava bene, ma purtroppo la cattiva burocrazia ha rovinato tutto e possiamo allora provarci una seconda volta, ma senza burocrazia, perché l’automatismo informatico potrà farne a meno. Si continui pure con questa litania, anche se è meglio Alice nel paese delle meraviglie.

Il secondo modello non è mai stato tentato, e non è affatto detto che riuscirebbe. Comunque, meglio tentare questa prospettiva che intestardirsi a riprovare sempre la prima, smentita trecento volte. Questo modello implica economia della decrescita, vincoli ecologici forti, libertà e democrazia, valorizzazione delle etnie comunitarie e dei piccoli popoli, dagli aymarà della Bolivia ai baschi, eccetera.

Se è così, però, e se la via del socialismo comunitario e democratico con forti elementi di cosiddetta “economia mista” non coincide con la via già provata dello stato comunista dei lavoratori a nazionalizzazione integrale dei mezzi di produzione, allora perché fare un partitino neocomunista? Il partitino comunista, sia pure inizialmente fatto solo di venti persone (e questo per me non sarebbe un argomento contrario, perché si parte sempre in pochi, ed il fatto di crescere o meno è legato alla correttezza della propria cultura politica - ho detto cultura politica, non linea politica), è uno strumento solo per la prima via, non per la seconda. La seconda via, se ci fosse realmente l’intenzione di percorrerla, (ed attenzione, è la via di Hamas e di Morales, non importa se le premesse religiose sono le stesse oppure no), non è compatibile con un partitino neocomunista.

8. La ragione pratico-politica che sconsiglia la via del partitino neocomunista riguarda la nicchia settaria e vocazionalmente minoritaria dell’ambiente che si ripromette questo programma neocomunista. Questa nicchia la conosciamo bene tutti. E’ una nicchia di fanatici identitari a base ideologica che si definisce in base ad una piattaforma ideologica che non intende in nessun modo mettere in discussione. Ci sono i neobordighisti, i neotrotzkisti, i neotogliattiani, i neostalinisti, i neooperaisti, i neoanarchici, eccetera, e tutti sono determinati a difendere fanaticamente il loro spazietto, perché tutti sono convinti di difendere la Verità Rivelata contro la contaminazione di bande verminose di piccolo-borghesi, traditori, infiltrati fascisti ed altri mostri alla Goya. Tutto quello che fanno è prevedibile. E’ prevedibile che il gruppo di Ferrando si spacchi fra trotzkisti puri e parlamentari tattici. E’ prevedibile che i no-global si spacchino fra Casarini e Caruso e fra basisti attivisti e pagliacci del circo bertinottiano. Eccetera, eccetera. Questa nicchia è composta da individui in buona parte (non tutti, evidentemente, vi sono anche persone splendide, anche se poche) talmente ideologizzati da distruggere tutti i rapporti umani non ideologizzabili, che appunto per questo non possono apparire come “modelli di comunismo”, e cioè di vita normale, solidale e fraterna per gli altri. Io conosco bene questo ambiente. Quando cominci a non condividere più le scelte tattiche (e non dico strategiche, che almeno capirci, ma proprio tattiche!) si rompono amicizie, si alzano gossip diffamatori, e si alza tutta la demenziale merda ideologica.

Mi chiedo che senso abbia ripetere sempre questo inferno.

A mia conoscenza, solo i maniaci del gioco d’azzardo si incaponiscono nel ripetere ossessivamente questi scenari perfettamente prevedibili.

9. Naturalmente, il problema del “comunismo” resta completamente legittimo, e bisogna allora capire in che senso.

E qui mi spiace per il lettore esclusivamente assuefatto ai fumi ideologici inebrianti, ma ci vuole un po’ di sana filosofia integralmente filosofica.

I concetti non si consumano, mentre le parole che li esprimono e li connotano si consumano con il loro uso nella storia. Lungi dall’essere polarmente opposti, come ritengono tutti i dilettanti, idealismo e materialismo esprimono due realtà largamente complementari, l’idealismo quella della permanenza dei concetti e il materialismo quella del loro consumo “materiale” nella storia. Il concetto di comunismo (e trascuro qui i suoi vari significati, la cui elencazione telegrafica prenderebbe l’intero numero della rivista) è immutabile, e significa contestazione radicale alla logica distruttiva e reificante (reificante = la cosa al posto dell’uomo) della produzione capitalistica, In questo senso il comunismo è forte oggi come ieri, e lo sarà domani. I concetti della filosofia politica sono indistruttibili, fino a quando almeno permane la realtà storica di riferimento che connotano. Le parole però si possono consumare fino a diventare irriconoscibili. Pensiamo al “comunismo” di Pol Pot, o al comunismo di Occhetto, D’Alema, Cossutta e Bertinotti, a metà fra “chi vi paga?”, quote rosa, guerra e bombardamenti all’uranio impoverito, foto ghignanti con il generale americano Clark, nepotismo familistico e bande politicamente corrette e radical chic dei terrazzi romaneschi per ex-proletari con le pezze al sedere. Il “comunismo” come concetto resta immutato, ma il comunismo come parola sprofonda in un lago di sangue, fango e merda.

Eppure il comunismo come concetto, nel senso reale e razionale di Hegel e del suo allievo barbuto Marx, resta sempre attuale. E resta attuale il socialismo, nonostante Craxi e Solana, il laburismo nonostante Blair, eccetera. Ma, appunto, bisogna distinguere con grande chiarezza fra il comunismo, che appunto è in crisi profonda (direbbe Nenni, il movimento per ora non si muove) e il programma di ricostituzione di partitini o gruppuscoli di tipo neocomunista. Sì al primo, no ai secondi. Bastano per ora a mio avviso movimenti democratico-comunitari (tipo i NO-TAV della Val di Susa, cui va il mio più totale e sincero appoggio), movimenti di solidarietà internazionalistica (tipo solidarietà a Irak e Palestina, eccetera) ed infine reti di cultura e dialogo politico. Parlo ovviamente del presente. Non escludo infatti in futuro che, ove nascessero movimenti sistemici che ponessero veramente i due problemi fondamentali per l’Europa (modello economico alternativo al capitale finanziario e soprattutto espulsione delle basi militari USA dall’Europa), movimenti oggi inesistenti e che a mio avviso non sarebbero facilitati dalla semplice esistenza di partitini neocomunisti di nicchia, non si possa seriamente porre il problema della costituzione di una forza politica. Alla Lenin 1903, io ne sarei favorevole, in quanto non sono un anarchico. Ma anche in questo caso ritengo più probabile che si dovrebbe costituire una forza di socialismo comunitario (alla Chavez, per intendersi, anche se con meno caudillismo, che l’Europa non amerebbe), piuttosto che un’inutile replicazione dopo cent’anni del modello partitico di Lenin, modello che si basava su di una interpretazione di Marx che considero obsoleta, non perché fosse falsa allora (allora anzi era sensata, più di quella di Kautsky, e mille volte di più delle confusioni operaistiche alla Luxemburg), ma perché oggi non funzionerebbe più, in una situazione di terziarizzazione economica e di tramonto relativo della produzione industriale di fabbrica. In paesi come il Nepal, in cui c’è un problema di riforma agraria radicale contro il latifondo e la monarchia semifeudale, credo che il modello della guerra partigiana maoista di lunga durata sia razionale e positivo, ed infatti io ne sono solidale (per quanto ne so, ovviamente). Ma l’Italia non è il Nepal e l’Europa non è il subcontinente indiano.

10. Vorrei concludere ritornando alla questione del partitino neocomunista, in cui la pretesa “eresia” non sarebbe che la micro-ortodossia di riferimento identitario del gruppo.

Mi chiedo come sia potuta nascere l’idea che il sottoscritto, Costanzo Preve, potesse essere il guru, il teorico, l’ispiratore di un simile progetto neocomunista. E’ necessario rassicurare tutti i CARC del mondo. Preve non si è mai sognato di candidarsi ad una simile funzione. Se avessi voluto fare il consigliere del principe, mi sarei arruffianato prima con il PCI, e poi con Cossutta e Bertinotti, imparando il gergo di mutua assicurazione di fedeltà di cordata e di sottomissione al capo con i dialetti necessari (continuista togliattiano-antifascista con Cossutta e sindacalista-massimalista-frou-frou-femminista-transessuale con Bertinotti).

Pensavo che scrivendo tonnellate di carta, di cui alcuni quintali utilizzabili ed alcuni chili ben riusciti, avrei dissipato ogni equivoco. Errore. Io ritengo di stare vivendo in una crisi epocale di transizione (diciamo così, 1980-2020), in cui come Mosè non vedrò nessuna terra promessa e mi è sufficiente non essere finito come i pidocchetti sessantottini miei coetanei, passati dalle rauche grida di morte ai baschi neri al leccaggio del sedere dell’impero americano e del sionismo. Lo considero una grande vittoria della mia vita, e mi basta ed avanza. I CARC si rassicurino, e tornino a scambiare la loro disponibilità soggettiva ai sacrifici dell’anticapitalismo militante con il possesso di una teoria scientifica di orientamento storico. Prima o poi, capiranno anche loro che non basta un martire per fare giusta una causa.

11. Per finire, un educato consiglio ai miei compagni ed amici di “Eretica”. Chi crede di poter essere eretico e contemporaneamente far politica nel piccolo mondo di nicchia intergruppi del rissoso neocomunismo settario è proprio fuori dal mondo. Chi vuole relazionarsi con questo piccolo mondo rissoso deve assolutamente compatibilizzarsi col PCES, e cioè con il Politicamente Corretto di Estrema Sinistra. Ti vuoi relazionare con i CARC? Bene, togliti dalla testa le tue velleità eretiche. Dovrai accettare due dogmi del PCES, e cioè il laicismo, per cui se qualcuno crede in Dio o in Allah crede in nemici del proletariato ateo e materialista, e l’antifascismo in assenza completa di fascismo (defunto nel 1945, e dopo risuscitato solo come golpismo imperiale americano, e quindi non come fascismo vero e proprio).

Chi pensa di essere eretico accettando l’ortodossia del politicamente corretto di estrema sinistra non è un vero eretico. E’ un eretico alla mortadella, un Prodi che si porta la borsa da solo anziché avere uno schiavetto strapagato che lo fa. Si pensa forse che essere eretici consista nel fare dotte dissertazioni su Sartre criticando il già più volte seppellito Stalin mentre si accettano tutti i tabù della nicchia? Io non parlo di me. Personalmente non mi ritengo un eretico, e non so neppure esattamente che cosa voglia dire questa parola in assenza totale di ortodossia, nel frattempo morta, sepolta e dissolta. Parlo a chi invece vuole essere eretico e su questa “eresia” rifondare il suo “nuovo comunismo”. Questo altro comunismo, come tutti indistintamente gli altrismi, ha il difetto di tutti gli altrismi, e cioè di non potersi determinare mai se non come vaga negatività. Non siamo questo, non siamo quest’altro. Siamo “altri”. E allora, come diceva Marx a proposito dei “socialisti feudali” del suo tempo, quando la gente vedrà che sul sedere avete stampati i vecchi soliti stemmi del comunismo storico novecentesco, eretici o ortodossi che siano, scapperà a gambe levate, perché non vuole tornare a recitare i vecchi copioni politicamente corretti di estrema sinistra, con i bordighisti che con matematica certezza si scinderanno in due e i trotzkisti che con altrettanto matematica certezza si scinderanno in quattro, mentre Luxuria, Caruso, la Menapace, Gennaro Migliore, eccetera, almeno andranno in pensione con trattamenti d’oro e potranno pagarsi tutte le badanti moldave che vorranno.

POST-SCRIPTUM

Sul numero 2 di “Eretica” c’è un attacco nominativo nei miei confronti firmalo CARC (un’entità collettiva, modo meraviglioso di nascondere l’identità intellettuale personale in un complesso anonimo). Agli attacchi del gossip informatico non rispondo mai per principio, perché si fondano sul principio dell’anonimità e dello pseudonimo, lo stesso principio della mafia, camorra e ndrangheta. Qui però l’attacco nominativo è firmato, sia pure da una sigla collettiva, ed è bene allora che chiarisca le cose nominativamente, non tanto per il CARC (il cui argomento surreale di fondo è che io intendo praticare una libertà che la borghesia non concede ai proletari-bravi, in questo modo siete sulla strada buona per rifondare il comunismo oggi), quanto perché si solleva il tema della mia pericolosa collaborazione e contiguità con riviste ed editori di “destra”, tema indubbiamente d’interesse generale e che merita una risposta scritta e chiara, visto che da tempo il mormorio malevolo di chi mi accusa (generalmente senza leggermi, e qui siamo al di sotto dei metodi inquisitori classici, che almeno leggevano attentamente coloro che volevano processare) si accompagna all’assordante e sgradevole silenzio di chi mi conosce bene, e dovrebbe avere avuto da tempo il buon senso e la generosità di difendermi. Ma al peggio non c’è mai limite. Ed allora cerchiamo di tornare sulla questione, senza sottrarci a nessuna domanda imbarazzante. Io non sono infatti per nulla imbarazzato, in quanto ritengo di avere la coscienza a posto su tutti i piani, etico, politico e culturale.

Da alcuni anni scrivo anche sui muri che considero ormai obsoleta la contrapposizione fra Destra e Sinistra, diventata una protesi artificiale di una realtà elettorale manipolata virtuale che deve impedire la visibilità della nuova contraddizione fondamentale dei nostri tempi (o almeno di quella che ritengo tale), la contraddizione fra l’imperialismo americano e il resto dei popoli del mondo. Con questo non ritengo affatto finite le contraddizioni sociali di classe (non attribuitemi questa idiozia, per favore!), ma le ritengo, per dirla alla Althusser, “surdeterminate” per ora a questa contraddizione principale, per cui, se proprio un “fronte popolare” si deve fare (ed io sono retrospettivamente favorevole a questa tattica degli anni trenta, e contrario al “classe contro classe” o al proletariato contro tutti di tipo trotzkisteggiante), si deve fare oggi contro l’impero americano. Dopo si vedrà. Chiarisco ancora contro il lettore malevolo e prevenuto che io non dico affatto che la dicotomia Destra/Sinistra sia finita dovunque e per sempre. Non lo penso affatto. Qui da noi è finita, ed il PCI-DS D’Alema è del tutto intercambiabile con il MSI-AN Fini, e sia la mussolineria (a destra) che la bertinotteria (a sinistra) sono semplicemente guardie plebee subalterne che portano voti ad un’identica politica di subalternità agli USA. Nel mondo considero positive e da appoggiare sia forze indiscutibilmente di sinistra (partigiani in Nepal, Chavez in Venezuela, Morales in Bolivia, eccetera) sia forze che la bertinotteria politicamente corretta considererebbe di “destra” (Hamas in Palestina, Ahmadinejad in Iran, eccetera). Inoltre per il futuro non mi pronuncio. Non escludo infatti che la dicotomia potrebbe anche rivitalizzarsi, ma per ora non ne vedo le condizioni.

Torniamo a noi. Ho sempre scritto che non credo più nella dicotomia, ma evidentemente non sono stato preso sul serio. In Italia prevale infatti una lunga durata di ipocrisia gesuitica e di divorzio programmatico fra parole e fatti.

D’Alema partecipa salmodiando alla marcia Perugia-Assisi negli stessi giorni in cui bombarda Belgrado al servizio della strategia geopolitica USA di occupazione dei Balcani fingendo un genocidio inesistente e certificato come inesistente dagli osservatori OSCE. Toni Negri esalta la distruzione teurgica di moltitudini comuniste incazzate mentre nello stesso tempo è portato in palmo di mano dai giornali dell’oligarchia americana, che capiscono bene come i suoi deliri non sono per nulla pericolosi. In questo baccanale di schizofrenia fra parole e fatti si è pensato che anche il povero Preve abbia detto questo, ma senza crederci veramente.

Il politicamente corretto permette infatti certe enormità solo agli artisti tipo Giorgio Gaber, in quanto si dà per scontato che l’artista sia geniale ma pazzo, e soprattutto irresponsabile.

E invece io lo penso veramente. Di conseguenza, per me le edizioni Settimo Sigillo ed All’insegna del Veltro sono esattamente come, né più né meno, le edizioni Manifestolibri o Editori Riuniti. oppure se vogliamo Rizzoli e Mondadori. Se potessi pubblicare da Rizzoli e Mondadori lo farei certamente, perché hanno un’ottima catena distributiva ed un buon ufficio stampa per le recensioni e gli invii gratuiti, e nessuno mi criticherebbe. Eppure Rizzoli pubblica la Fallaci e Mondadori pubblica Magdi Allam. Vorrei allora che tutti i vigilanti che mi criticano rispondessero a questa semplice e precisa domanda: ove il termine “fascismo” significasse negatività assoluta e totale, sono più “fascisti” oggi (ripeto, oggi) Julius Evola e David Irving oppure Oriana Fallaci e Magdi Allam? E allora perché diavolo ve la prendete con il Settimo Sigillo e con All’insegna del Veltro e non con la Rizzoli e con la Mondadori?

Naturalmente io so bene perché, e fra poco lo chiarirò. Ma per ora sono costretto ad aprire una sgradevole parentesi personale su come io vedo il famoso “fascismo”, non perché abbia la minima importanza, ma perché il rumore di fondo del gossip diffamatorio ha imbarazzato quelle poche decine di persone alla cui stima tengo (non sono di più, e non mi interessa che siano di più).

Sono nato nel 1943. Il fascismo è finito quando avevo due anni, e quindi non ho mai avuto il problema di scegliere se essere fascista o antifascista come la generazione di mio padre e mia madre. A 18 anni circa, nei primi anni sessanta, sono divenuto “comunista” nel doppio senso dell’utopia universalistica dell’emancipazione di Marx e del fascino della spiegazione “scientifica” della società. Da allora non ho cambiato mai idea. Il solo “antifascismo” politico che ho praticato è stato l’appoggio semiclandestino alla resistenza greca contro i colonnelli 1967-1974. La guerra civile simulata a bastonate in Italia non mi ha mai interessato e l’ho sempre considerata un diversivo con cui le vere classi dominanti post-fasciste mandavano allo sbaraglio giovani ingannati. Se sono antifascista? Certo che lo sono. Sono antifascista nel doppio senso di essere democratico, e cioè per le libertà democratiche sia individuali che collettive, e di essere anticolonialista ed antimperialista, cioè idealmente e retrospettivamente a fianco dei libici 1930, degli etiopici 1935, dei greci 1940 e degli jugoslavi 1941, e non certamente degli invasori fascisti, anche se fra di essi c’erano i miei genitori ed i miei zii. In quanto all’antisemitismo, dirò solo due cose. Primo, mi auguro (anche se non posso saperlo, sono tutti eroi a casa propria) che avrei avuto il coraggio di salvare famiglie ebree nascoste, tipo Perlasca e Palatucci, anche se non mi interesserebbero riconoscimenti dello stato sionista di oggi. Secondo, viva l’esercito sovietico di Stalin che ha liberato Auschwitz nel 1945 (sovietico, non americano come lascia credere il furbastro DS politicamente corretto Benigni)! Con questo, spero di non essere più costretto a simili cerimonie del tutto prive di interesse, io servo la divinità della Sincerità e della Ricerca, non la divinità del Pararsi il Culo.

Ma torniamo al problema. Come mai, se oggi il “fascismo” sono la Fallaci e Magdi Allam (e cioè gli editori Rizzoli e Mondadori), e non Evola o Irving, si fa tanto casino? Forse che Preve, se pubblica da un editore, deve condividere (o è sospettato che condivida) tutti i titoli in catalogo oppure le eventuali idee politiche dell’editore? Neppure l’inquisizione spagnola sarebbe giunta a tanto. E allora, quali sono le radici teorico-simboliche di tutto questo? Qui bisogna andare sul filosofico, cari amici. E le radici sono almeno due, e cioè l’Immaginario Paranoico, prima, ed il Pensiero Magico, poi. Esaminiamole separatamente.

Iniziamo dall’Immaginario Paranoico. Dal momento che il fascismo propriamente detto è finito in Europa nel 1945, e dopo ci sono stati soltanto dei regimi golpisti tipo CIA, cui il termine “fascismo” non calza storiograficamente troppo (colonnelli greci, golpisti turchi, eccetera), siamo stati per più di sessant'anni (1945-2006) di fronte ad un Antifascismo senza Fascismo (anche qui, non sottovaluto affatto gli apparati golpisti ideologicamente neofascisti, che erano però semplici guardie plebee di forze al potere ufficialmente antifasciste e postfasciste). Questo teatro dell’assurdo aveva ovviamente la sua razionalità, da parte azionista di tramandare la condanna crociana e gobettiana del fascismo come male assoluto, e da parte comunista di legittimare se stessi come la parte più risoluta del fronte antifascista. Si è allora costruito un Immaginario Paranoico quadruplice della Cospirazione (fascista), dell’Infiltrazione (fascista), della Contaminazione (fascista), ed infine del Tradimento (di tutti coloro che a “sinistra” non accettavano questo immaginario paranoico). Non sto ovviamente dicendo che non ci siano state delle infiltrazioni e delle cospirazioni. Ci sono state, è ovvio. Ma da questo all’immaginario paranoico ce ne passa.

Passiamo al Pensiero Magico. E’ questa una categoria presente nella storia del Marxismo di Kolakowski (terzo volume, Sugarco, Milano). Secondo Kolakowski (ed io concordo) i comunisti poststaliniani novecenteschi erano caratterizzati da un pensiero magico, per cui l’impurità della fonte contamina anche i contenuti che vengono espressi. Di qui il fatto che se le critiche a Stalin vengono fatte da una fonte impura (liberali, trotzkisti, eccetera) sono ritenute false e frutto di manipolazioni CIA o Quarta Internazionale, mentre se le stesse identiche critiche vengono fatte nel 1956 dal papa-babbione della ditta autorizzata Krusciov allora tutti si stracciano le vesti gridando ipocritamente: “Ma come è stato possibile? Ma come mai non l’abbiamo saputo prima?”, ed altre porcherie del genere.

Oggi la buffonata si ripete, anche se quello che un tempo era tragedia oggi è farsa. Il mio appoggio ad una moderata geopolitica euroasiatica è lo stesso del signor Sorini sull’Ernesto” e del signor Chevènement nel socialismo francese, ma se lo scrivo sulla benemerita (capito: benemerita) rivista di Mutti “Eurasia” allora diventa un’infiltrazione della mummia egizia del defunto Thiriart. E allora ditemi, cari sapientoni: dove potrei scrivere e pubblicare le stesse idee? Sull’Unità? Sul Manifesto? Su Liberazione? Ma per favore, come dice il comico Ezio Greggio!

Chi per caso avesse letto i miei due libri di filosofia pubblicati dal Settimo Sigillo (Filosofia del Presente e Per un buon uso dell’universalismo) noterà che il contenuto è perfettamente compatibile, se fossimo in una situazione culturale normale, non solo con la Mondadori e con la Rizzoli, ma addirittura con la filosofia ufficialmente professata da Manifestolibri e dagli Editori Riuniti: uso critico di Marx, razionalismo filosofico, anticapitalismo integralmente democratico, anticolonialismo, antiimperialismo, estraneità radicale alla cultura tradizionalmente definita di “destra”. Leggere per credere, E allora, perché tutto questo casino?

Lo so bene perché. Finché chiacchieri dottamente su Marx, Engels, Hegel e Althusser non rompi i coglioni a nessuno e non infrangi le regole ferree del Politicamente Corretto, dell’Immaginario Paranoico e del Pensiero Magico. Ma quando cominci a diventare un critico di questa Trinità, allora sì che sei veramente un “eretico”. Ebbene, in questo senso eretico lo sono, lo rivendico, e con questo tolgo il disturbo e vi saluto.

Costanzo Preve
Fonte: http://www.comunitarismo.it Febbraio 2006