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Gheddafi, Usama bin Ladin e i kamikaze occidentali

di Alessandro Lattanzio - 05/05/2011


Gheddafi, Usama bin Ladin e i kamikaze occidentali
L’aggressione contro la Grande Jamahiryia Socialista Popolare di Libia e la farsa scenica dell’assassinio del ‘Vecchio della montagna’ (di propaganda massmediatica e disinformazione strategica), sono strettamente collegate.

L’amministrazione Obama-Clinton, indirizzata da un altro ‘Grande Vecchio’, Zbignew Brzezinski, apparentemente sta riuscendo ad imporre un mutamento strategico fondamentale alla macchina militar-spionistica statunitense.

Con il colpaccio mediatico di Islamabad, Obama cerca di mettere KO gli avversari annidati nell’apparato imperialistico statunitense. Non è un caso che l’operazione che ha portato all’eliminazione del capo di al-Qaida, avvenga 72 ore dopo che Obama è stato costretto a mostrare il suo certificato di nascita, palesemente truccato. Non si deve dimenticare che nella mentalità dello statunitense medio, l’aderenza a certi aspetti meramente formali è fondamentale. Come già detto in altra sede, se Obama non riesce a dimostrare, cosa che non ha ancora fatto, di essere nato su suolo statunitense, troverà sempre posta in dubbio la legittimità della sua attuale carica.

Un mezzo, forse, per fare pressione su di lui da parte dei sopravvissuti neo-con, ancora in attività, della scorsa amministrazione Cheney-Rumsfeld. E con la dipartita dell’ultimo segretario legato a quella stagione, Robert Gates, si è aperto un ampio campo d’azione per gli accoliti di Barack Hussein; infatti, il blitz di Islamabad si svolge a nemmeno 48 ore dal cambio della guardia al ministero della difesa USA, che ha visto svolgersi un valzer di poltrone tra gli uomini clintonian-obamiani: il famigerato Generale Petraeus passa dal comando ISAF-Enduring Freedom in Afghanistan alla sedia di Direttore Generale della CIA (DCI), sostituendo l’ex-DCI Leon Panetta, che a sua volta eredita la carica di Gates.

Alchimie washingtoniane: il blitz dello squadrone della morte costituito da 14/25 incursori della marina militare statunitense, i cosiddetti Navy SEAL, che avrebbe eliminato Usama bin Ladin, lancia un doppio messaggio, diretto verso la fazione dell’apparato militar-spionistico (si pensi al Generale McChrystal) che, alla fine dell’anno scorso, aveva tentato di sabotare la nuova strategia imperialistica di Obama&Co., tramite la cyber-guerriglia e la guerra di attrito diplomatico-mediatica rappresentata dallo scandalo delle rivelazioni di WikiLeaks e del suo oscuro responsabile pubblico, Julian Assange.

Il primo messaggio afferma che l’amministrazione Obama reagirà decisamente a qualsiasi tentativo di perturbazione, interna ed esterna, delle iniziative strategiche dell’attuale amministrazione. La fazione brzezinskiana, appoggiata dagli interessi bancario-finanziari e dall’imponente apparato spionistico e massmediatico-propagandistico hollywoodiano, impone un aut-aut alla fazione neocon, e alle forze che essi rappresentano, ossia il complesso militar-energetico statunitense.

Il secondo messaggio traccia le linee d’azione future. La Washington brzezinskiana torna ai suoi antichi amori, un’alleanza strategica imperniata sull’Arabia Saudita, o meglio sui 7000 principi sauditi che dirigono quel regno e le varie fazioni e sette islamiste che da essi dipendono. La necessaria ‘morte’ e la necessitata ‘esecuzione pubblica’ del convitato di pietra Usama bin Ladin, spiana la strada a una rinnovata reciproca fiducia strategica tra Riyad e Washington. Soprattutto ora, sussistendo una certa frizione tra il governo ‘liberal’, di ‘sinistra’, negli USA e il governo di destra ultra-sionista israeliano.

L’amministrazione Obama vuole procedere a una svolta di 180° gradi nelle direttive strategiche-egemoniche degli interessi imperialistici statunitensi. Mentre con l’amministrazione neocon di Bush-Cheney, Washington aveva cercato, in modo altalenante e scostante, un’intesa con Mosca, Beijing e Islamabad (dove si era insediato al potere il Generale Musharraf, contravvenendo per la prima volta nella storia del Pakistan ai desiderata degli USA, che avevano espresso la loro contrarietà alla defenestrazione del precedente presidente Nawaz Sharif). Il nemico era l’islamismo militante, più o meno evanescente, rappresentato egregiamente dall’ologramma mediatico-propagandistico di Usama bin Ladin, un asset ben noto all’intelligence statunitense. Gli alleati dell’impero non sono più i governi conservatori, nel senso più ampio del termine, ma i ‘movimenti rivoluzionari’, però intesi nel termine più deteriore, per sconvolgere il ventre molle del continental-block eurasiatico: il Medio Oriente. L’obiettivo apparente, perciò, è modificare i governi, per perseguire l’obiettivo reale, e cioè non modificare gli interessi strategici dell’impero.

Gli unici ambiti rimasti aperti alle manovre degli USA, dopo la sconfitta in Afghanistan, sono il Medio Oriente e l’Africa. E non vi era tempo da perdere. In Medio Oriente, si andava formando un importante asse di sviluppo economico-infrastrutturale tra Ankara e Tehran: un polo economico-politico che avrebbe potuto sottrarre all’Occidente il controllo sul Medio e Vicino Oriente. Già Siria e Giordania avevano mostrato più di un semplice interesse a questa prospettiva.

In Africa, dopo il vertice di Yaoundé, nel dicembre 2010, che poneva le basi per un sistema creditizio continentale, sponsorizzato da Libia, Sud Africa e Algeria, che avrebbe avviato una serie di imponenti programmi di sviluppo regionali e inter-regionali, col rischio di sottrarre anche queste lande al controllo occidentale. Il tempo stringeva e stringe, per Washington, Langley, il Pentagono e per Wall Street.

In questa svolta, Washington, indebolita anche sul piano militare da otto anni e più di forsennate avventure belliciste, tanto violente quanto insensate, ha dovuto crearsi una sorta di propria opportunistica versione del multilateralismo. chiamando a raccolta i suoi più fidati alleati occidentali, le ex potenze coloniali Regno Unito e Francia, altre operettistiche monarchie europee votate a una dipendenza diplomatica eterna dagli USA, e l’alleanza islamista incentrata sull’Arabia Saudita e i suoi satelliti: i petro-sceiccati e le organizzazioni islamiste finanziate da Riyad e che appestano quasi tutta l’Ummah.

Il sostegno statunitense e occidentale alle rivolte più o meno popolari, più o meno filodemocratiche, nel mondo arabo, è dettato esclusivamente dagli interessi che il triangolo Washington-Londra-Parigi persegue.

Laddove la manovra propagandistica-mediatica, le intense campagne di disinformazione strategica e di martellamento ideologico pro-occidentale, hanno fallito, come in Libia e in Siria, il braccio armato dell’imperialismo, la NATO, è dovuto intervenire apertamente, smascherando le vere intenzioni e le vere finalità di questi ‘sconvolgimenti popolari’, che vedono in prima fila, più che i telegenici ‘boys and girls‘ di Zuckerberg, Bill Gates e della coppia Larry Page e Sergey Brin, i meno attraenti barbuti amici di Riyad e della dinastia dei Saud e dell’intelligence inglese.

La NATO è impegnata seriamente a uccidere il Colonnello Muammar al-Gheddafi, soprattutto per dare un segnale al mondo africano: chiunque cerchi di sottrarsi all’egemonia delle potenze imperialiste, vecchie e nuove, verrà punito in modo spietato. Il destino dell’ex presidente della Costa d’Avorio Gbagbo e la partizione del Sudan, sono anche un chiaro monito diretto a Beijing (e al blocco BRICS). Prima di sloggiare, le civilizzate potenze democratiche d’Occidente sono disposte a tutto.

L’Europa, accodandosi alla disperata manovra da kamikaze dell’asse Obama-Clinton-Brzezinski-Soros (abbattere financo i governi alleati e amici, pur di ottenere obiettivi evasivi, poiché acquisibili in tempi e modi comunque aleatori), scivola sempre più su un piano declinato che, come dice lo storico ed economista Hosea Jaffé, la trascinerà alla disintegrazione, volendo gestire le proprie dinamiche economiche e risolvere le proprie interne contraddizioni regionali, ‘mettendosi contro il Sud e contro l’Est’.

Infine non va trascurata l’azione deleteria e, finalmente, suicida dell”intellighentsia delle sinistre euro-occidentali. Sostenendo l’azione predatoria dell’asse Parigi-Londra-Obama, pur ammantandola di soavi parole, benché oramai stantie e frustre, su ‘democrazia’ e ‘diritti umani’, in realtà chiude un cerchio, ritornando all’ideologia del fardello dell’uomo bianco, cioè a quando nel pieno dell’espansionismo coloniale europeo su tutto il mondo giustificava questo processo con l’elevazione ai ‘valori occidentali’ dei barbari popoli colorati.