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Troppi calcoli e poca filosofia. La matematica ha perso l’anima

di Paolo Zellini - 05/05/2011

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È curioso, notava Alexandre Koyré, uno dei grandi storici della scienza del Novecento, che Pitagora abbia proclamato che il numero è l´essenza di tutte le cose, e che la Bibbia abbia insegnato che Dio ha fondato il mondo «sopra il numero, il peso e la misura». Tutti l´avrebbero ripetuto, ma nessuno l´avrebbe creduto o preso sul serio prima della scienza sperimentale diGalileo, dell´astronomia di Keplero e Copernico e del calcolo di Newton e di Leibniz: prima cioè che si provasse realmente a contare, a pesare e a misurare. In un celeberrimo passo, Galileo avrebbe sostenuto che l´immenso libro aperto davanti ai nostri occhi, e cioè l´intero universo, è scritto in lingua matematica e che ignorare quella lingua significa aggirarsi in un oscuro labirinto. Oggi la nostra comprensione di quel libro si fonda soprattutto sulle equazioni della fisica matematica e sulla scienza degli algoritmi. Ma è poi certo che la scienza moderna sia una fedele realizzazione delle idee che avevano ispirato Pitagora e l´autore del Libro della Sapienza?

Lo contesta un singolare libro di René Guénon, Les Principes du Calcul infinitésimal, apparso nel 1946 (e ora riproposto da Adelphi: I principi del calcolo infinitesimale, pagg. 223, euro 14). Rigoroso difensore di un´unica grande Tradizione, depositaria della conoscenza metafisica pura e dei metodi di un´autentica realizzazione spirituale, Guénon propone una tesi estrema e scandalosa. Con uno sconcertante e grandioso rovesciamento di prospettiva egli sostiene che la scienza moderna non è la semplice prosecuzione della parola biblica o del credo pitagorico, bensì la sua caricatura, la sua contraffazione profana, una immane quanto inavvertita superstizione, nel senso letterale di ciò che resta di un´antica sapienza tradizionale. In forza di questa premessa Guénon conclude che la regina delle scienze, la matematica, avendo perso ogni contatto con la sapienza tradizionale, si è ridotta a diventarne un mero residuo degenerato e senza valore.
Ma perché culminerebbe proprio nella matematica, in particolare nel calcolo infinitesimale di Leibniz, la perdita di significato delle scienze moderne? La risposta è semplice: soprattutto la matematica si è servita di termini chiave della metafisica tradizionale. Fin dal XVII secolo i matematici avevano riadattato, ad esempio, il senso di parole come "infinito", "misura" e "continuo" alle proprie necessità e alle proprie formule. Ne avevano quindi usurpato e deformato il significato, svuotando i corrispondenti concetti metafisici fino a ridurli a idee insensate o inservibili. L´infinito aveva una speciale importanza in questo processo di degenerazione. Leibniz aveva rivoluzionato il calcolo con simboli che denotavano infinitesimi e differenziali, ma così facendo aveva introdotto l´infinito attuale nel dominio della pura quantità, là dove le teorie aristoteliche e tomiste avevano ammesso solo un infinito potenziale. Leibniz aveva così confuso l´infinito con l´indefinito, che è una mera ripetizione del finito, un processo senza attuazione o compimento. Ancora nella tarda antichità Boezio aveva chiamato "mostro di malizia" l´indefinito: una imperfezione che la natura, orientata alla finalità e alla completezza, vuole sempre evitare; opposto caricaturale del vero Infinito della metafisica, che era assurdo trasferire nel regno della quantità. Non a caso la matematica greca, per evitare simili confusioni, si era ben guardata dal parlare di infinito, anche nei procedimenti che sembravano implicarlo.
La scienza moderna, invece, ignora le dottrine tradizionali, dal Platonismo alla Kabbala, dal Taoismo al Vedanta, per le quali il reale è altro da ciò che appare, e va cercato fuori dai sensi e dal dominio della quantità, perfino fuori dal pensiero discorsivo. Pochi hanno denunciato con il rigore e la lucidità di Guénon il carattere potenzialmente satanico di questo moderno rovesciamento di prospettiva, di questa discesa negli inferi della materia e della quantità dove si creano confusioni di ogni genere, dove Satana scimmiotta Dio a suo piacere, più o meno come i numeri manipolati da una macchina imitano, ignorandone il simbolismo, i numeri divini della scienza pitagorica.
Per quanto assurda o eversiva, la critica di Guénon fa comunque pensare alla radicalità di interventi paralleli, nel primo Novecento, sui fondamenti della matematica e della fisica, da Brouwer a Weyl, da Hilbert a Schrödinger. Occorre poi tener conto che gli infinitesimi erano trattati come pure finzioni, pedine di un gioco convenzionale utili al calcolo ma di cui non si sapeva spiegare con chiarezza il fundamentum in re, la ragione dell´efficacia per una scienza della natura. E allora, per trattare l´infinito con i simboli del calcolo, ci si era ingegnati a ridurre la matematica a un gioco formale di regole e di simboli convenzionali, di segni senza significato. I motivi di questa deriva convenzionalista, che raggiunse un punto di esasperazione tra il XIX e il XX secolo, sono esposti in un importante trattato di Louis Couturat, De l´infini mathématique, ben noto a Guénon, il quale poteva anzi scorgervi il segno inconfondibile di una fase di dissoluzione tipica degli ultimi periodi di un ciclo.
Oggi è certo più difficile sostenere che la matematica sia solo un gioco convenzionale di simboli. Senza dubbio il calcolo scientifico e l´informatica teorica hanno spostato il significato delle formule su un terreno più reale, con una sempre più schiacciante ancorché misteriosa evidenza della loro utilità applicativa, grazie all´effettività di algoritmi materializzabili in appropriati meccanismi e processi di calcolo. Guénon vi avrebbe visto un estremo rafforzamento del punto di vista profano, ma questa effettività degli algoritmi dipende spesso, a sua volta, da antichi espedienti di calcolo che sembrano avere, con la metafisica tradizionale, un nesso ancora da decifrare. Dopo tutto, lo stesso Guénon riconosceva che gli eventi hanno sempre un valore simbolico e il punto di vista profano è solo una prospettiva moderna, in cui l´oblio della Tradizione non esclude che ogni cosa rimanga legata ai suoi princìpi.