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Una lacrima sul viso…

di Francesco Lamendola - 16/05/2011





Le donne piangono; piangono facilmente.
Le femministe sostengono che se le donne piangono molto più degli uomini, è solo ed esclusivamente uno dei tanti effetti perversi dell’educazione maschilista, che ha inibito il pianto ai maschietti, in quanto manifestazione poco virile, mentre ha dato il disco verde al pianto delle femminucce, quando addirittura non lo ha favorito, per accentuarne la sudditanza psicologica.
Sono tutte storie che non valgono nemmeno la fatica di confutarle.
Le donne piangono più degli uomini per un fatto biologico, ormonale e non per un fatto culturale; anche perché le lacrime non vengono a comando, né a comando si possono fermare, rimandare o centellinare.
Il pianto è lo sfogo dell’anima che soffre; la sua chimica discende da fattori emozionali, psicologici e affettivi e, come tutte le manifestazioni del comportamento umano, non è un processo totalmente fisiologico, ma nemmeno totalmente culturale; anche se la cultura c’entra, perché vediamo che non presso tutti i popoli e non presso tutte le culture si verificano le stesse manifestazioni di pianto, pur in presenza di circostanze analoghe.
Non vogliamo addentrarci nell’aspetto biologico del pianto e nemmeno in quello etologico; ci interessa capire quali effetti psicologici produce l’asimmetria fra uomini e donne riguardo alle manifestazioni del pianto.
L’ignoranza di tali differenze è, come minimo, la causa di profondi equivoci e di fraintendimenti che possono avere anche serie conseguenze, specie nella vita di coppia e, in generale, nei rapporti fra i due sessi.
L’uomo che ignora la propensione femminile al pianto, rimane intimamente turbato davanti alle lacrime della donna: se possiede anche solo un minimo di sensibilità, si commuove, si sente a disagio, si sente in colpa.
Pensa che lei stia soffrendo in maniera molto seria, perché un uomo, per piangere allo stesso modo, deve soffrire molto seriamente; invece, di norma, la donna piange per cause molto più lievi di quelle che inducono alle lacrime un uomo e, inoltre, vi si abbandona con meno pudore e con meno imbarazzo.
Fra donne, infatti, il pianto di un’amica è cosa che suscita tenerezza, non preoccupazione; le donne sanno che il pianto femminile non nasce necessariamente da cause gravi o profonde e che, in ogni caso, esso è una maniera di dare sollievo alla tensione emotiva, dunque ha un potente effetto liberatorio.
Ecco perché la donna non cerca di far sì che l’amica smetta di piangere, ma, semmai, ne agevola il pianto: sa che si tratta di una reazione normale ai turbamenti emotivi e che sfocia in un alleggerimento della tensione, dunque è benefico, se non addirittura necessario.
Una donna che non piange facilmente fa uno strano effetto alle altre donne, che sospettano in lei qualche cosa di strano, di alieno: non sanno come capacitarsene, non sanno come classificare una donna del genere, che cosa pensarne.
Spesso, specialmente se non nasce da cause gravi, il pianto femminile mette in risalto lo splendore degli occhi e finisce per diventare un ulteriore strumento di fascino; e sarebbe una vera ingenuità pensare che le donne non ne siano consapevoli.
Ecco, questo è il punto veramente importante: vedere fino a che punto la donna sia capace di trasformare una manifestazione di sofferenza, come il pianto, in una strategia finalizzata a rovesciare una situazione sfavorevole, ad aprire una breccia nelle difese psicologiche dell’uomo e a consentirle una vittoria insperata, quando tutto sembrava ormai perduto.
In questo senso, il pianto femminile è parente dello svenimento, arma un tempo frequentemente adoperata, almeno nella letteratura e nel teatro: si pensi solo a come Mirandolina, ne «La locandiera» di Carlo Goldoni, simulando abilmente di svenire quando il Cavaliere di Ripafratta le annuncia la sua decisione di lasciare l’albergo e di partire, riesce a strappare la vittoria decisiva e a fargli abbandonare ogni ritegno, mostrando apertamente l’amore che ormai prova per la donna ed esponendosi, così, del tutto indifeso, alla vendetta di lei, che si farà beffe di quel sentimento, dopo averlo suscitato ad arte.
Lo svenimento, comunque, è passato di moda, ammesso che sia mai stato un’arma della strategia femminile nella vita reale, e non solo nelle commedie o nei romanzi (per lo più scritti da uomini); ma non si può dire altrettanto delle lacrime.
Attenzione: non stiamo dicendo che le donne, quando piangono, fingono sempre; né, in particolare, che simulano il pianto per ottenere un vantaggio sull’uomo, al fine di strumentalizzarlo senza che egli se ne renda minimamente conto: sarebbe una generalizzazione tanto assurda quanto ingiustamente offensiva per le donne.
No: le donne piangono più facilmente degli uomini, perché tale è la loro natura; e, quando piangono, piangono per davvero: almeno le donne normali e che abbiano stima e rispetto di se stesse e, dunque, escludendo quelle patologicamente simulatrici.
Il punto è un altro: e cioè che, il pianto essendo connaturato alla natura femminile assai più che a quella maschile, esiste, per le donne, la forte tentazione, magari inconscia, di servirsene per raggiungere uno scopo recondito; così come chi è più debole si trova fatalmente esposto alla tentazione di farsi forte, per così dire, della propria debolezza, volgendola a proprio favore e servendosene per ottenere un vantaggio.
Basti pensare, a questo proposito, alle strategie istintivamente adoperate dai bambini per strappare un assenso degli adulti alla soddisfazione dei loro desideri e dei loro capricci (distinzione, quest’ultima, piuttosto problematica, e tuttavia essenziale ai fini educativi).
Dunque, la donna normale non piange a comando, non finge le lacrime e non se ne serve intenzionalmente, per commuovere o ricattare moralmente l’uomo; tuttavia, molte donne finiscono per smarrire il confine tra lo sfogo del pianto e la strategia del pianto, poiché le lacrime, quando sono viste dall’altro, esercitano comunque una particolare forma di potere: il potere segreto, ma neanche tanto, della debolezza che suscita turbamento in chi è più forte (o che, ingenuamente, crede di esserlo).
Non è facile riconoscere quel confine, nemmeno per la donna stessa che sta piangendo, dal momento che esiste una speciale voluttà delle lacrime che induce, talvolta, a prolungare e ad accentuare il pianto, senza nemmeno rendersene conto (come sanno, di nuovo, anzitutto i bambini, i quali, spesso, continuano a singhiozzare molto dopo che la causa delle lacrime è cessata); figuriamoci per un uomo, che assiste dall’esterno.
Le bambine e le ragazze, per esempio, sono capacissime di piangere abbondantemente, nel modo più vistoso, per un brutto voto preso a scuola, o magari anche solo per un voto sufficiente, ma inferiore alle loro aspettative; e ciò davanti a tutti i compagni, professore compreso.
Anche nei giochi dei bambini, le bimbe piangono con più facilità dei maschietti, per una caduta, per una sbucciatura o anche, magari, per una semplice esclusione, per una sconfitta, per un punto subito anziché guadagnato.
Sono molte, poi, le donne adulte che non riescono a trattenere le lacrime quando parlano dei propri problemi, talvolta con un estraneo, e che ricorrono al fazzoletto, mettendo l’interlocutore in uno stato d’imbarazzo.
Tutto questo sta a indicare che la donna ha un rapporto molto più confidenziale con la propria emotività, di quanto non lo abbia l’uomo; che sia anche un rapporto più naturale, questo è vero in parte, ma, per un altro lato, è possibile, se non frequente, che essa tenda ad accentuare la forza del pianto, o, se si preferisce, la sua irresistibilità, per una forma più o meno inconsapevole, più o meno mirata e deliberata, di strategia nei confronti dell’uomo.
Certo, questo avviene quando la relazione fra la donna e l’uomo è male impostata, cioè quando si basa su rapporti di forza e non su una limpida, franca confidenza reciproca.
In guerra e in amore, si suole dire, tutto è permesso: e le donne sanno fare tesoro di questa regola, parlando in generale, più di quanto sappiano farlo gli uomini; non c’è mossa proibita, non c’è colpo basso che non siano pronte a sferrare, pur di assicurarsi il controllo della situazione.
Il pianto è solo una delle tante mosse proibite cui ricorrono e, in genere, esse tendono a non abusarne, dato che la ritengono una delle mosse più facilmente riconoscibili, quando è insincera: ma si sbagliano, perché, mediamente, gli uomini non sanno riconoscere affatto il pianto autentico da quello inautentico e si fanno prendere in giro con una facilità sconcertante.
Del resto, il codice cavalleresco vuole che l’uomo non sospetti mai niente di male nella donna, questa debole e dolce creatura, tanto pura quanto indifesa; se egli avesse un atteggiamento diffidente, si squalificherebbe non solo agli occhi di lei, ma, ciò che più conta per un severo codice d’onore, di fronte a se stesso.
Tale è il ricatto di cui si fanno forti le donne calcolatrici, rotte ad ogni simulazione e ad ogni astuzia; può darsi che una lacrima, spuntata su un bel visino al momento giusto, abbia deciso della vita di molte persone, più di qualsiasi discorso o circostanza: per esempio, inducendo un uomo onesto e sensibile a sposare una donna che non amava, per un senso di fedeltà e di onore: con quali conseguenze per la felicità di entrambi, poi, è facile immaginare.
Non vogliamo certo dire, con questo, che la maggioranza degli uomini appartenga a quest’ultima categoria; al contrario, è certo che sono gli uomini migliori a cadere nelle trappole del pianto femminile, mentre i più cinici e rozzi se ne guardano bene.
Né pensiamo che la maggioranza delle donne faccia ricorso, deliberatamente, a simili meschine strategie; in ogni caso, non una donna che abbia stima di sé e che possieda tanto orgoglio quanto ne basta per non abbassarsi alla simulazione.
Perciò, non stiamo affatto puntando il dito contro il sesso femminile: e le donne oneste con stesse, che ben conoscono certi aspetti della natura femminile, crediamo siano le prime a convenire sul fatto che molte di loro usano con troppa disinvoltura l’arma delle lacrime, quando sono in gioco i rapporti affettivi con l’uomo.
Le donne migliori disprezzano simili strategie e si vergognano al pensiero delle misere vittorie che altre donne riescono a strappare, servendosi di mezzi tanto puerili quanto sleali: sicure di se stesse, ma senza presunzione, vogliono essere apprezzate per quello che sono e non per eventuali sentimenti di compassione che le loro lacrimucce, esibite al momento opportuno, potrebbero suscitare negli altri.
Del resto, un uomo che cede al ricatto delle lacrime femminili sarà anche una bravissima persona, ma, come uomo, non vale molto: e non perché sia tanto facile menarlo per il naso (è abbastanza normale, infatti, che le persone oneste vengano gabbate da esperti furbacchioni), quanto perché dimostra di non capire nulla della natura femminile.
Le donne vere piangono come le altre, ma non desiderano, in fondo, che le loro lacrime vengano prese troppo sul serio dagli uomini; ed è questo che simili uomini, troppo sensibili e troppo premurosi, non arrivano a capire: che fa parte dei diversi ruoli della donna e dell’uomo il fatto che la prima reciti un poco, il secondo non si lasci impressionare.
C’è una componente ludica, nella dialettica fra l’uomo e la donna, di cui i sospiri, le lacrime e perfino gli svenimenti, fanno naturalmente parte; e diciamo ludica nel senso più nobile del termine, come lo intendeva, ad esempio, Johan Huizinga: un gioco serio, come lo sono tutti i giochi autentici, per mezzo dei quali l’individuo scopre il mondo.
Del gioco fra uomo e donna, il pianto della seconda è un elemento caratteristico, che non va drammatizzato (tranne, si capisce, quando nasca da situazioni realmente drammatiche, nel qual caso è tutta un’altra cosa); un elemento, diremmo, quasi rituale, come rituali sono certi preliminari nel corso dei quali i due sessi si scrutano, si avvicinano, cercano di impressionarsi l’un altro.
La donna superiore, lo ripetiamo, non ne ha bisogno; ma ella non si rivolge all’uomo qualunque, bensì all’uomo superiore: e, fra persone altamente evolute in senso spirituale, i preliminari non servono, perché il gioco si fa subito serio.
Tra persone evolute, tutto è chiaro fin dall’inizio, perché il loro sguardo è limpido e trasparente.