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Alcune osservazioni sulla dittatura e sulla democrazia

di Mauro Tozzato - 25/05/2011

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Nel suo libro Il futuro della democrazia Norberto Bobbio scriveva:

<<Storicamente il governo dell’uomo fa la sua apparizione quando il governo delle leggi o non è sorto ancora oppure mostra la sua inadeguatezza di fronte all’insorgere di una situazione di crisi rivoluzionaria. Insomma è strettamente connesso con lo stato d’eccezione. Dallo stato d’eccezione nacque nei primi secoli della repubblica romana l’istituzione del dittatore. […]Il dittatore romano è il caso esemplare dell’attribuzione a una sola persona di tutti i poteri, dei “pieni poteri”, e quindi della  sospensione, se pure temporanea, della validità delle leggi normali, in una situazione di particolare gravità per la sopravvivenza stessa dello stato.>>

Il compito del dittatore nel modello “romano” è quello di ripristinare la sovranità delle leggi, sempre  che non intervenga una crisi “catastrofica” nella quale il dittatore stesso può diventare un “uomo della storia universale” e quindi protagonista di un cambiamento dell’ ordine politico e sociale.  Bobbio continua approfondendo il tema:

<<La distinzione, introdotta da Carl Schmitt, tra dittatura commissaria e dittatura sovrana, rispecchia la differenza tra i pieni poteri come istituzione prevista dalla costituzione e i pieni poteri assunti al di fuori della costituzione dal capo destinato a rovesciare l’antico regime e a instaurare il nuovo […]. Che poi la dittatura sovrana, o costituente, sia esercitata da un individuo, come Cesare o Napoleone, oppure da un gruppo politico, come i giacobini o i bolscevichi, oppure ancora da un’intera classe […]non muta nulla riguardo alla natura del governo dittatoriale come governo in cui l’uomo o gli uomini si contrappongono alla supremazia delle leggi tramandate.>>

La dittatura appartiene al campo delle categorie analitiche politico-istituzionali e quindi il suo utilizzo nel marxismo per connotare la funzione di una classe sociale ha sempre rivestito carattere analogico e metaforico. Particolarmente fuorviante è risultato il suo uso nel caso della nozione di dittatura del proletariato, dove non vengono messi in luce i ruoli sociali (direttivi e esecutivi ecc.) che si sono venuti a formare nelle congiunture rivoluzionarie e nei periodi seguenti, e tantomeno la conditio  sine qua non che la renderebbe, almeno teoricamente possibile: la formazione del lavoratore cooperativo associato con incorporate le potenze mentali della produzione, ipotesi euristica  adottata come postulato da Marx. Per quanto riguarda la democrazia commissaria, Alessandro Simoncini in una recensione (apparsa nel 2005) al libro di Agamben sullo stato di eccezione scrive:   

<<In Inghilterra, con l'Emergency Powers Act del 1920, verranno generalizzati i dispositivi governamentali di eccezione introdotti durante la Grande Guerra per contrastare ogni conflitto sociale. Infine negli Stati Uniti, fin dalla guerra civile, tra i poteri del Congresso e quelli del presidente si registrerà una drammatica tensione dialettica culminata in quella che Carl Schmitt ha chiamato la "dittatura commissaria" di Lincoln. E se Lincoln fu il primo "detentore della decisione sovrana sullo stato di eccezione", Woodrow Wilson durante la prima guerra mondiale, e Franklin D. Roosevelt, sia durante la 'grande' sia nella seconda depressione, ebbero "un potere illimitato di regolazione e di controllo su ogni aspetto della vita economica del paese" (p. 32). Non diversamente da Bush, che - nel contesto di un progetto imperiale - rilancia ora la pretesa di gestire sovranamente uno stato di eccezione ormai divenuto regola.>>

Il concetto di dittatura commissaria presenta inoltre diverse analogie con quello elaborato in Russia negli ultimi anni (e di cui si è già parlato in questo blog) di democrazia sovrana così caratterizzata da Paolo Calzini nel 2008:

<<Il merito di questa impostazione consiste nell’aver ancorato la nozione di democrazia, oggetto di un aperto dibattito quanto alla condizioni necessarie per la sua applicabilità nel contesto russo, a quella di sovranità che rappresenta tradizionalmente un solido punto di riferimento ideologico. In questo modo, facendo ricorso a una nozione di riconosciuto rilievo, viene a configurarsi un modello politico russo di democrazia che assicura allo stato il diritto esclusivo di supervisione nella definizione delle proprie forme istituzionali e delle procedure politiche. A rafforzare la legittimità di questa posizione contribuisce la particolare importanza che riveste nella memoria storica del paese l’impegno alla difesa dell’indipendenza, di cui l’esercizio della sovranità è logico corollario. La Russia— motivo di intenso orgoglio — è sopravvissuta in quanto nazione per cinque secoli a una successione di guerre e rivoluzioni devastatrici, riuscendo a conservare indenne il suo status di grande formazione statale indipendente. Da Pietro il Grande a Stalin, figure pubblicamente onorate per la fermezza dimostrata alla guida dello stato, la linea ufficiale si è indirizzata, a costo di ingenti sacrifici umani e materiali, alla difesa dell’identità e dell’integrità del territorio nazionale.>>

America e Russia hanno, quindi, praticato la dittatura commissaria in due maniere completamente diverse: gli Stati Uniti hanno sempre saputo, attraverso la loro repubblica federale presidenziale, convincere le masse del loro paese e l’opinione pubblica mondiale di essere sempre stati i paladini e difensori principali della “democrazia dei moderni” che coniugherebbe la libertà di scelta con l’”eguaglianza delle opportunità” mentre la Russia zarista, sovietica, e ora “capitalista” sarebbe comunque destinata a ripetere indefinitamente un modello autocratico tramandato dalla tradizione. Ma al di là di queste mistificazioni ideologiche si pone il tema dell’importanza - per determinate strutture politico-istituzionali, in lotta per la sopravvivenza, l’indipendenza e/o la supremazia nell’arena globale – di riuscire a coniugare la finzione della difesa dei diritti umani e della democrazia dei popoli con l’effettiva capacità del gruppo dominante di decidere nelle situazioni decisive senza intralci e con la massima efficacia sul piano politico e militare sfruttando al meglio le “armi” ideologico-mediatiche in loro possesso.