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Cola di Rienzo, l`ultimo dei tribuni del popolo

di Enea Baldi - 25/05/2011

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Agli inizi del XIV secolo Roma era una città con 20-30mila abitanti afflitta dalla povertà e dal banditismo sanguinario ed impunito. La sede papale, alla guida di Clemente V, era stata trasferita ad Avignone nel 1305. Le egemonie nobiliari degli Orsini, Frangipane, Caetani, Savelli, Annibaldi e Colonna avevano reso la Città Eterna teatro di ingiustizie a danno d’una plebe vessata dall’aumento continuo delle tasse.
In questo clima, nei primi mesi del 1313, nel rione Regola, di fronte l’Isola Tiberina, nasce Cola di Rienzo, al secolo Nicola Gabrini di Lorenzo. Figlio di un oste e di una lavandaia, Cola studiò prima ad Anagni presso alcuni parenti contadini, poi tornò a Roma per frequentare la scuola notarile. Nella capitale si specializzò anche in Diritto Canonico e Storia della Roma antica, formandosi ai classici di Virgilio, Tito Livio, Seneca, Cicerone, Severino Boezio e Agostino d’Ippona.
Nel 1342 fu mandato ad Avignone presso papa Clemente VI dal governo popolare appena insediatosi in opposizione alle famiglie baronali romane, per denunciare le sopraffazioni della nobiltà romana. In Francia conosce Petrarca che si farà mediatore presso il papa per fargli ricoprire la carica di notaio della Camera capitolina.
Tornato a Roma col pretesto di cacciare i baroni, Cola si avvale di un largo consenso sociale, soprattutto della borghesia, il cuore dell’economia della città. Proprietari terrieri, mercanti, commercianti, artigiani… fino ad allora sottomessi al potere dei baroni, trovano nelle capacità oratorie del tribuno, un motivo di riscatto dal potere feudale della nobiltà romana.
Così il 19 maggio 1347, Cola e i suoi sodali occupano il Camidoglio; il giorno dopo, appoggiato dal vicario del papa, il vescovo di Orvieto Raimondo, il tribuno presenterà al popolo il progetto delle riforme: l’assemblea popolare concederà pieni poteri per la realizzazione del programma di riforma. Una parte della famiglia Orsini appoggerà Cola, mentre i Colonna prenderanno tempo in attesa della decisione del papa che, dal canto suo, inizia a sospettare di quel tribuno che si accanisce contro i baroni feudali, sui quali la Chiesa aveva sempre contato e di cui in larga parte era formata.
Ed è proprio a questo punto che la credibilità ma soprattutto il consenso popolare di Cola inizierà a scemare, seppure in un crescendo di azioni diplomatiche e di cerimonie simboliche, che raggiunsero il loro apice nell’agosto del 1347, con la sua incoronazione e il conferimento dei vessilli del potere. Cola, nello stesso mese di agosto mette in scena un finto arresto e un finto processo ai danni dei baroni che contrastavano la sua politica. I baroni, ricevuto l’appoggio del papa, cercano di destituire Cola che, dopo averli respinti alle porte di Roma, ai primi di dicembre, imprevedibilmente rinuncia al potere, viene scomunicato e imprigionato a Castel Sant’Angelo. Nell’autunno dell’anno successivo riesce a fuggire dalla prigione romana e trova rifugio presso i frati francescani in un paesino sotto la Maiella. Ma Cola, che non era certo nato per meditare all’interno di quattro mura, dopo due anni di vita monastica torna al suo progetto di restaurazione della Repubblica Romana chiedendo udienza all’imperatore Carlo IV, con la convinzione che il regnante dovesse essere lo strumento per la ricostituzione del regno della Chiesa Romana. Ma i piani non vanno proprio come pensa il tribuno che recatosi a Praga alla corte di Carlo IV viene invece arrestato. Cola rimane in Boemia fino al 1352 quando viene condotto ad Avignone e rinchiuso in una torre del palazzo pontificio. L’anno dopo, il nuovo papa Innocenzo VI decide di liberarlo e di affidarlo al cardinale Albornoz col quale Cola entra subito in opposizione. Malgrado ciò nell’agosto del 1354 il tribuno torna a Roma e viene nominato senatore. Ma ormai non è più il capopolo che si rivolgeva agli umili e ai diseredati grazie alle sue illustrazioni ai lati del Campidoglio, ora è un qualsiasi funzionario pontificio, un burocrate che è costretto ad imporre nuove tasse per finanziare la guerra contro le baronie. Saranno proprio i suoi antichi sodali, i popolani dei rioni Sant’Angelo, Ripa, Colonna e Trevi, fedeli ai Colonna e ai Savelli, plausibilmente istigati da queste famiglie, che l’8 ottobre del 1354 lo catturano e lo conducono in catene sul Campidoglio, dove viene ucciso nell’indifferenza generale.
Il cadavere, trascinato fino a San Marcello in via Lata, dove erano le abitazioni della famiglia Colonna è lì lasciato appeso in bella mostra per due giorni e una notte. Il terzo giorno viene trascinato a Ripetta, presso l’Augusteo e lì bruciato (commenta l’Anonimo: “Era grasso. Per la moita grassezza da sé ardeva volentieri”), e le ceneri disperse probabilmente nel Tevere. Finisce così l’avventura del tribuno Cola di Rienzo, una figura ambiziosa e rivoluzionaria ma ancora oggi a distanza di secoli, per alcuni critici storici, incerta e controversa, soprattutto per quanto concerne il suo ruolo politico. Chi lo disegna come un ingenuo capopopolo, chi uno spregiudicato in cerca di fama… e chi – come chi scrive - il precursore dell’Unità d’Italia?